La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 14 - aprile 1996

RIVISTA DELL'INTERVENTO SOCIALE

Il fondaco di MicroMega Paolo Flores d' Arcais Il populismo italiano da Craxi a Berlusconi pp. 106, L. 14.000 Biblioteca Elton Mayo Democrazia e libertà Saggio di logica sociale a cura di Enzo Bartocci Traduzione di Giuseppe Ciccarone pp. 160, L. 35.000 Saggi Roberto Bartalini Le occasioni del Sodoma Dalla Milano di Leonardo alla Roma di Raffaello pp. 280, L. 70.000 Vittoria Franco Etiche possibili Il paradosso della morale dopo la morte di Dio pp. 220, L. 28.000 DONZELLI EDITORE ROMA Saggine Umberto Colombo Energia Storia e scenari pp. 160, L. 18.000 · I centauri Gianfranco Dioguardi Incontri Seduzioni, itinerari, personaggi pp. 372, L. 35.000 Interventi Alfredo Macchiati Privatizzazioni Tra economia epolitica pp.176, L.18.000 Riviste Meridiana n. 24, Materiali Quadrimestrale di storia e scienze sociali Direttore Piero Bevilacqua pp. 208, L. 33.000 Storica n.3,1995 Quadrimestrale di storia Coordinatore Marcello Verga pp. 180, L. 33.000 Libri di idee

LA TERRA VISTA DALLA LUNA Rivista dell'intervento ~ N. 14, aprile 1996 VOCI sociale Piergiorgio Giacchè, Telepoli, la città delle elezioni (2), Rinaldo Gianola, Come gli industriali pensano al Sud (4), Marcello Ben/ante, Deaglio in viaggio per l'Italia (5). PIANETA TERRA. Mario Tedeschini Lalli, Israele e Palestina dopo Shamir (18), Giulio Marcon, Conferenze sull'Europa (21), Michele Colucci, Immigrazione, lingua e diritti (23). ARTE E PARTE. LIBRI. Paola Splendore, V. S. Naipaul, straniero a se stesso (38), CINEMA. Paolo Benvenuti, a cura di Emiliano Morreale, Dopo Rossellini ... ( 40), Roberto Alajmo, A proposito di "Casinò" (45). MEDIA. Federica Bellicanta, La moglie del "Corriere" (42 ), Jean Baudrillard,a cura di P. Pugliese, Media e potere (44). TEATRO. Gennaro Carillo, L'Orestea della Raffaello Sanzio (64), Davide De Sanctis, Antonio Neiwiller a Napoli (65); FOTOGRAFIA. Roberto Koch, La fotografia della Resistenza (67), Goffredo Fofi, La fotografia del neorealismo (69). SALUTE E MALATTIA HANDICAP Bardo Seeber, Coqdivisione, trent'anni dopo Basaglia (8), Giancarlo De Cataldo, Figli. Su un libro di Kenzaburo Oe (14), Luigi Berettoni, Se l'educatore perde il controllo (16). SCUOLA LA VALUTAZIONE Vita Cosentino, Il rispetto della diversità (25), Guido Armellini, Il posto dell'insegnante (27). IMMIGRATI I CINESI Antonella Ceccagno, "Notti cinesi" in Toscana (31), Lucia Maddii, Quando Li Lin va a scuola (34). PIANETA TERRA MESSICO. 1 Mimmo Càndito, America Latina, dal Messico ali' Argentina ( 47), Carlos Monsivais, Sulla morale pubblica di fine secolo (51), Juan Villoro, Città del Messico: la città e la sua rappresentazione (60). SUOLE DI VENTO Piero Pugliese, Centri sociali: Torino, Milano (71), Sandro Tovenac, Vittorio Veneto (73), Jacopo Lanzara, Assalti frontali (75), Ada Trifirò, Giovani in Albania (78), Andrea Beretta, San Vittore, appena fuori (82). IMMAGINI In co'pertina, Elsa Morante a Testaccio sulle scale della sua casa natale, nel 1974, in una foto di Luisa Di Gaetano. I disegni che illustrano questo numero sono di Alfredo De Santis. Direttore: Goffredo Fofi. Comitatodirettivo: DamianoD. Abeni, Guido Armcllini,MarcelloBcnfantc, Giorgio Cingolani, Giancarlo Dc Cataldo, Giancarlo Gaeta, PiergiorgioGiacchè,Vittorio Giacopini,Rinaldo Gianola, Roberto Koch, Stefano Laffi,Franco Lorcnzoni, Giulio Marcon, Roberta Mazzanti,MariaNadotti, Marino Sinibaldi. Collaboratori: Roberto Alajmo, Vinicio Albanesi, Ada Becchi, Federica Bcllicanta, Stefano Bcnni, GianfrancoBcttin, Alfonso Bcrardinclli, Andrea Bcrctta, Andrea Bcrrini, Giacomo Borclla, Marisa Bulghcroni, Massimo Brutti, Mimmo Càndito, Francesco Carchcdi, Franco Carnevale, Francesco Ccci, Luigi Ciotti, Giancarlo Consonni, Paolo Crcpct, Mirra Da Pra, Zita Dazzi, StcfanoDc Mattcis, MarcelloFlorcs, Grazia Fresco, Rachele Furfaro, Alberto Gallas, Fabio Gambaro, Saverio Gazzelloni, Bianca Guidctti Serra, Gustavo Herling, Filippo LaPorta, Daniela Lcporc, Luigi Manconi, Ambrogio Mancnti, Bruno Mari, Paolo Mcrcghetti, Santina Mobislia, Giancarlo Mola, Giorgio Morbcllo,Cesare Moreno, Emiliano Morreale, Marco Mottolcse, Grazia Neri, Monica Nonno, Sandro Onofri, Raffaele Pastore, Nicola Pcrronc, Giuseppe Pollicclli, Piero Pugliese, Silvana Qua·drino, Gcorgettc Ranucci, Luca Rasccllo, Angela Regio, Luca Rossomando, Bardo Secbcr, Francesco Sisci, Paola Splendore, Andrea Torna, Alessandro Triulzi,Giacomo Vaiarclli, Federico Varese, Tullio Vinay, Emanuele Vinassa dc Rcgny, Paolo Vincis. Grafica: Carlo Fumian. Redazione: Alessandra Francioni (segretaria), Claudio Buttaroni, Monica Campardo, Marco Carsetti, Michele Colucci, Elena Fantasia, Carola Proto. I MANOSCRrrn NON VENGONO RESTITUITI. DEI TESTI STRANIERI DI CUI LA RIVISTA NON t STATA IN GRADO DI RINTRACCIARE GLI AVENTI DIRITTO, Cl DICHIARIAMO PRONTI A O'ITEMPERARE AGLI OllBLIGIII RELATIVI La Terra vista dalla Luna iscritta al Tribunale di Roma in da;a 7.7.'95 al n° 353/95. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Edizioni La Terra vista dalla Luna s.r.l. Redazione e amministrazione: via Mcntana 2b, 00185 Roma, ccl.06-4467993 (anche fax). Distribuzione in edicola: SO.DI.P. di Angelo Patuzzi spa, via Bcttala 18, 20092 Cinisello Balsamo (Ml), ccl.02-660301, fax 02-66030320. Stampa/StilGraf della San Paolo Tipografica Editoriale - Via Vigna Jacobini 67/c - Roma Finito di stampare nel mese di aprile 1996.

MEDIA Telepoli, la citta' delle elezioni PiergiorgioGiacchè Finalmente tutti sanno che cos'è la politica. È l'arte di costruire "poli". Certo, se ci si fermasse a due si otterrebbe il bipolarismo perfetto, a immagme e somiglianza di questo nostro meraviglioso mondo, ma non si può avere tutto e subito. E però, cedendo un Nizza e Savoja alla Lega e regalando una rete televisiva a Pannella, chissà che non si possa raggiungere prima la mèta? Intanto i due poli maggiori ce l'hanno messa tutta per essere in sé e per sé "perfetti", anche se l'uno ha puntato sulla compattezza d1 un organigramma aziendale e l'altro su Ila costruzione di un programma plurale, persino intrattenendo con i temibili comunisti un patto di desistenza e con la compag\n~ g<?vernativa un patto d1 1ns1stenza. Non sono ancora i soli due poli, è vero, ma hanno ormai raggiunto una perfetta specularità, tanto da arrivare a copiarsi l'un l'altro il compito in classe (dopo essersi stipati nella stessa classe), in modo da prendere lo stesso voto. Lo stesso in termini di quantità (gli ininterrotti sondaggi continuano a darli felicemente alla pari), ma soprattutto ìn termini di qualità (se la parola non è esagerata), dato che la loro campagna pubblicitaria e il loro prodotto è destinato al cittadino medio, moderato, meglio se indeciso e dunque ovviamente di centro. Quel centro che nella loro fantasia raccoglie la massa dei teleutenti, la palude dei benpensanti, l'esercito degli ignavi di cui si vuole abitato il nostro e ogni altro paese. Quel centro dove non risiede più la maggioranza, ma la totalità degli elettori, se è vero - come giurano entrambi i tre poli - che è al centro che risiedono perfino i voti bianchi e nulli e gli astenuti (come sarà poi possibile che un elettore di centro non sia riuscito a votare, è un mistero, vista la infinita gamma di partiti e candidati che ha a disposizione!). Così non solo il programma è uguale per tutti, ma anche i candidati dovranno sembrare identici. Intanto identici a prima, giacché non sono state rare le conferme politicamente motivate dalla brevità della precedente legislatura, ma poi anche il più possibile identici fra loro: la consegna non è infatti quella di dover piacere a qualcuno, ma soltanto di non dispiacere o non sfi~urare al centro. Del resto, il nschio nello scegliere qualcuno soltanto un po' più chiassoso nel parlare o nel vestire, non è solo quello di perdere voti, ma quello che si perda addirittura il candidato: non sarebbe il primo che solo perché "bello nei capelli" si monta la testa e si mette in proprio. Sembrerebbe allora che la par condicio sia pleonastica, vista la sostanziale omogeneità e interscambiabilità dei prodotti. Ma invece è l'unica norma che permette al consumatore di distinguere un candidato dall'altro: essendo tutti più bianchi di Bianco e tutti decisi a raccogliere l'eredità di una Dc che non è mai stata così rimpianta e così rimpiazzata, come farebbe il telespettatore-e letto re a rendersi conto del passaggio da un polo all'altro, senza la pedante scansione cronometrica del tempo a disposizione? Si dirà che nei «faccia a faccia» si riconoscono appunto le facce, ma se ci si spinge al di là dei leaders più telegenici e più noti, come districarsi nel mare della esasperata e finanche bulgara uguaglianza? E per ~uesto che il ruolo dei giornalisti e dei conduttori televisivi si è ingigantito fino a diventare ricattatorio: solo loro, con continue istruzioni per l'uso, con gli involontari ammiccamenti e levolonterose imparzialità di trattamento, ci permettono di seguire l'incontro come fosse uno scontro. Solo loro, aumentando progressivamente il ritmo (incalzando con i "presto, che è tardi!") e aggiungendo colore e calore (ricorrendo a locuzioni come "si sta entrando nel vivo" "si fa incandescente" "il giallo si infittisce" ..), riescono a darci la sensazione di essere per davvero in campagna elettorale. Fra tutti, Funari è ancora una volta il migliore: la sua trasmissione combina insieme decine di politici - ciascuno abbinato ad una majorette che riesce a rendere attraente persino lo stemma dei popolari - con una platea alla Iva Zanicchi e un collegamento in esterni alla Michele Santoro. Certo, raramente si scatena una spettacolare bagarre, ma l'obiettivo di far apparire la politica come una babilonia incomprensibile e inaffidabile è comunque sempre raggiunto. In quella, l'unica cosa che si rende visibile sono appunto i due poli separati da uno steccato, e intervallati da un recinto riservato alla Lega. A seguire l'intera trasmissione, non si può evitare di pensare che nei poli abitino tutto sommato dei polli: il conduttore è difatti palesemente agricolo e il programma ha l'ambizione dichiarata di risultare ruspante. Anche per questo vi sono ospitati candidati magari di rango ma non di fama, di quelli a cui non deve importare gran che la distruzione totale della loro dignità purché si guadagni una quota di notorietà. E non importa se, proprio come per l'esposizione fotografica, più è lungo il tempo e più si sbiadisce il ritratto: è ormai finito il culto dell'immagine e si è di nuovo tornati dall'apparire ali' esserci! Un esserci purchessìa, del tipo "almeno una volta c'ero anch'io", sufficiente a togliere il candidato dall'anonimato e dunque a far scattare - nel suo collegio - una motivazione di voto in più, quella che fa la differenza: "dev'essere un tizio importante, è passato in una rete tivvù nazionale". La differenza è però davvero minima, e di nessun valore politico se è vero che tutti, teleastanti e teleutenti, sono per davvero "rappresentati" dal conduttore di turno: persino i politici ospiti sanno di essere riassunti nel carisma e sostenuti dalla popolarità

del "bravo presentatore" che gli è toccato in sorte. Loro non sono, né vogliono essere più, come un tempo, dei "personaggi": piuttosto credono di essere intervistati come effettivi "interpreti" della Gente e della Realtà. Ciascuno giura di essere depositario della doxa, di conoscere non soltanto i problemi sociali ma le sincere aspirazioni politiche degli italiani. È così che non solo il dibattito è archiviato,· ma lo stesso sondaggio è di fatto scavalcato da questi pochi "testimoni privilegiati" che ripetono come l'Italia esiga un nuovo sistema elettorale, ambisca a diventare una democrazia matura all'americana, reclami un maggioritario inglese e un semipresidenzialismo francese ... Per quasi tutta la trasmissione si rimproverano l'un l'altro di non parlare mai dei loro identici programmi, di non entrare nel merito dei problemi, di non proporre soluzioni; quindi, passano in rassegna i mali e le priorità nazionali, e si dà vita a un estenuante gioco di rilancio e di rivendicazione non su chi la sappia più lunga, ma su chi l'abbia detto per primo. E allora, "ridurre le tasse" o "aumentare il lavoro"? Liberare il nord o governare il sud? Ma anche: Presidenzialismo contro Scuola, Liberismo contro Giustizia, in un'orgia di libere associazioni che non sono frutto di nessun discorso ma risultato inevitabile di una televisione tritadiscorsi che ormai, più che riassumere o assorbire la campagna elettorale, si propone' come autosufficiente e arroccata città delle elezioni. Lì dentro, le elezioni si anticipano o si ripetono all'infinito: ogni incontro vale per il campionato, ogni programma_ equivale a una nuova occasione, a una nuova tornata. Al termine di ogni trasmissione non ci si chiede più per chi votare, ma si ha invece la sensazione che si sia già votato e che qualcuno - c'importa poi chi? - abbia vinto anche per noi. Alla convention dell'Ulivo il professor Eco, ingannato da una temporanea materializzazione di militanti e candidati, si è lasciato sfuggire l'errore più madornale della sua carriera: ha invitato i "presenti" a snobbare il mezzo televisivo e a girare per le strade e le piazze in cerca di voti "veri". Sul "Corriere della Sera", il solito Montanelli - se$uito da chissà quanti epigoni di destra e di sinistra - ha per l'ennesima volta invitato a votare "turandosi il naso". Avvertimenti utili un tempo, quando magari c'era il problema di conquistare il voto degli elettori astenuti, mentre oggi ogni giorno si constata - e in · Avviso.al lettore tivvù si celebra - l'astensione o meglio l'ostensione del voto sopra e oltre gli elettori. E perché poi si vorrebbe comunicare dal vero? Perché ci si dovrebbe turare il naso? Dev'essere che Eco o Montanelli sono rimasti a quando l'esercizio di voto era un diritto-dovere. Oggi, Funari e Vespa insegnano al telespettatore che è invece un distorto-piacere: è appena _per vedere come finisce la partita, per "esserci" nella conta dei risultati, rer scommettere su chi sarà i fortunato estratto, per compiacere e completare il gioco televisivo dello "scontro fra i poli", che una gran massa di cittadini anc1e stavolta andrà alle Urne. E, comunque vada, saranno in pochi (~andidati a p~rte) a confortarsi oppure a piangere davanti a un risultato più o meno duro. Anche se per uno dei poli arrivasse il sonno mortale. · Vero è ben, Pindemonte? ♦ ? È con molto rincrescimento che con questo numero cessi~mo, :sperando che sia soltanto per pochi ,mesi, la pubblicazione dei nostri reportages fotografici sulle zone :•a·rischio" del pianeta. Le.ragioni sono semplici: i,costi tipografici. E non quelli d'autore, poiché i fotografi che.abbiamo pubbJicato ci hanno tutti concesso i loro lavori con generosità e solidarietà militanti. "La ~erra vista ?~lla hi,na".,,.u~n rivis;~ priv~ ~i,qu~lsivogl_i~s?stegno o fi?anz1amento, e vive del lavoro gratuito dei suoi redatton e éollaboraton. WPerriuscire a fare più cose utili e bellerper riuscire se non a crescere a mante.: nere il livello di,qualità, pur imperfetto, che crediamo di aver raggiunto, essa 4 ha bisogno del sostegno dei suoi lettori, ha bisogno che il loro numero si ~:accresca~Dipendedunque anche dai lettori e dal loro contributo alla diffusio- ''ne della rivista e alla conquista di altri lettori che ne ignorino ancora l'esistenza, se nei prossimi numeri potremo ripristinare questa sezione, cui teniamo tutti moltissimo. Saremo oyviamente mol~o grati à'chi potesse suggerirci ogni altro possibile1 mo'do di raggiungere quest'obiettivo. (G. F.) ~. ,~

NORD-SUD La questione meridionale secondo la Confindustria Rinaldo Gianola C'è qualche relazione tra la crisi delle maggiori banche del Sud, come il Banco di Napoli e la Sicilcassa sicuri feudi del decennale dominio democristiano, l'elevata disoccupazione che supera il 50% per i giovani e il rinnovato interesse del grande capitale del Nord per il Mezzogiorno considerato non più un freno, ma bensì un'occasione di sviluppo? Certo che c'è. Ogni volta che nel nostro paese si manifesta una rottura degli equilibri di potere, negli assetti sociali, politici, economici consolidati, ecco riapparire la questione meridionale. La frantumazione del sistema democristiano, ne Sud più che altrove, ha rotto alleanze e blocchi sociali, ridimensionato la vecchia politica dell'assistenza e dei fondi pubblici a pioggia, eroso e disseminato enormi aree di consenso elettorale. Ma non c'è solo questo aspetto di vuoto politico che rischia di essere parzialmente coperto dalla solita destra populista e rissosa. C'è, ancora, una forte emergenza economica. La ripresa degli ultimi tre anni ha accresciuto, per dirla con l'Istat, "gli squilibri territoriali ?el _paese". Mentre il Nord v1agg1aa ritrni di sviluppo da record, il Mezzogiorno rimane fermo, anzi arretra. L'Italia a due velocità non è un'invenzione, è una realtà. Il volano della svalutazione della lira, che ha fatto decollare il ricco e sempre più rancoroso NordEst non ha provocato alcun effetto positivo al Sud che, anzi, ha dovuto accusare gli effetti negativi di un progressivo allontanamento dello Stato. La fine degli interventi straordinari nel Mezzogiorno - uno strumento che ad essere franchi nessuno può rimpiangere - ha rappreséntato in realtà, la fine di qualsiasi intervento, proprio nel momento in cui la congiuntur~ economica e l'emergenza sociale avrebbero reso indispensabile la presenza della mano pubblica. Fino al 1992 il Mezzogiorno ha ricevuto in media tra gli 8 e i 12mila miliardi come trasferimenti di fondi pubblici ogni anno, l'anno scorso sono stati circa 3mila miliardi, cioè l'equivalente del piano di salvataggio deciso dal Tesoro per il Banco di Napoli portato sull'orlo del fallimento da decenni di gestione democristiana, clientelare e sperperatrice e qualche volta, come ha riscontrato la magistratura, ai limiti della legalità. È in questo contesto - latitanza della classe politica, carenza di struttu~e produttive e di infrastrutture, gestione distorta del credito, presenza diffusa della criminalità - che viene lanciato da capitale privato un grande progetto di investimenti nel Mezzogiorno che dovrebbero finalmente emancipare il Sud dalle storiche arretratezze economiche e sociali. La novità è di un certo interesse, se si confronta con il vuoto delle proposte dei partiti. Qualche settimana fa Fiat, Banca di Roma, Mediocredito centrale, con l'imprimatur della Banca d'Italia, hanno tenuto un convegno su "L'Italia del Sud verso l'Europa", occasione per sottolineare in pubblico l'urgenza dello sviluppo del Mezzogiorno, "una necessità e un'opportunità - secondo Gianni Agnelli - che riguarda non solo il Sud ma l'intero Paese". L'industria e il capitale privato, dunque, si propongono come il nuovo soggetto politico-economico che, dopo il fallimento dello Stato, dovrebbe risolvere i problemi del Sud. Nel momento in cui si alimentano aspirazioni secessioniste nel Nord ricco e produttivo, è la grande industria che si pone come "collante dell'unità nazionale" come aveva spiegato la Fiat ai tempi del lancio del progetto di Melfi. Questa vocazione solidaristica e filantropica della Fiat e compagnia appare sinceramente fuori luogo. Il Sud, in realtà, è un mercato che deve essere sviluppato e conquistato come ha ben spiegato Cesare Romiti, abbandonando la filosofia e facendo concretamente i conti della serva: "Per le auto, fatto 100 il livello delle vendite del '90, nel '95 il Nord-Est era a quota '96, Il Nord-Ovest a quota 76, il centro a 73 e il Sud Crolla a quota 50". Ecco di cosa si tratta, bisogna portare il Sud allo stesso livello di auto del Nord. Il modello di sviluppo è quello del mercato attraverso la competizione e la flessibilità. E a questi totem indiscutibili, secondo l'impresa privata, sia la casse politica meridionale che il sindacato devono sottomettersi se vogliono ottenere i giusti benefici per le popolazioni merid_io_nali.È, in sintesi, la trasposmone del modello Melfi - il '.'prato :verde" dove la grande mdustna del Nord costruisce la rivoluzione industriale del Sud, impermeabile alle vecchie minacce classiste e conflittuali del Nord - in tutto il Mezzogiorno. Un modello dove la guida è il capitale privato, i comprimari indispensabili sono lo_Stato come erogatore di fondi (un po' di contributi pubblici ci devono pur essere) e il sindacato come ~arante della pace sociale. Poi sarà l'impresa a condurre i giochi, senza interferenze o disturbi. Questo processo di sviluppo non viene presentato alle elezioni, non ha bisogno di voti, viene discusso nei consigli di amministrazione ma necessità dell'aggregazione, del consenso delle istituzioni e delle forze sociali, attorno all'indiscussa leadership della grande industria e finanza. Non deve stupire questa aspirazione del capitale privato a fronteggiare la questione meridionale con una filosofia innovativa, almeno apparentemente, risJ?etto alle vecchie politiche assistenziali dello stato. C'è una logica evidente di potere, già manifestata in tante occasioni negli ultimi anni, con la quale l'impresa rivendica un ruolo ventrale e pervasivo nella guida del Paese, non solo nel1' economia, in sostituzione di una classe politica prima corrotta e poi inefficiente. C'è, poi, la chiara comprensione che l'economia italiana e la grande industria del Nord non possono più tollerare, se il Paese vuole restare legato all'Europa e rispettare i comandamenti di Maastricht, che mezza nazione rimanga a traino dell'altra età, senza un tessuto imprenditoriale, senza sviluppo, senza reddito. ♦

NORD-SUD Caro (e amaro) diario. Deaglio in viaggio per l'Italia MarceiloBenfante Passeggere - Credete che sarà felice quest'anno nuovo? Venditore - Oh, illustrissimo, sì, certo. Passeggere - come quest'anno passato? Venditore - Più più assai. (Giacomo Leopardi, Dialogo di un venditore d'Almanacchi e di un passeggere) A capodanno, in piazza Castelnuovo a Palermo, mentre l'editore Enrico Stassi recitava sul tetto del teatro Politeama l'invettiva contro l'anno vecchio, che sarebbe poi culminata nell'acrobatica accensione del pupazzo raffigurante "u nannu", ho avuto un sussulto superstizioso. Non sarà di malaugurio - mi sono chiesto mentre eseguivo meccanicamente (non si sa ma() i soliti gesti apotropaici - dire tutte queste nefandezze sul conto di un anno che poi, tutto sommato, non è stato così malvagio come forse all'inizio si temeva? Sarà poi di buon auspicio questo ingen"eroso dispregio funebre come viatico a un '96 bisesto? Mi dispiaceva financo veder bruciare il magnifico colosso vegetale che torreggiava sulla folla festante. In poche parole, questo mediocre '95 l'ho archiviato con la riluttanza dei pru- ?enti, perfino ~on _qualche inconfessato nmp1anto, e certamente senza la baldanza e la sicurezza dei giovani ch_emi attorniavano, altissin:n e ~pparentemente spensierati. A questo inusitato capodanno 111 piazza, trasformato in un rito civico collettivo, e ai miei tentennamenti scarama_ntici, m! ha fat_toripen~are 11sottotitolo d1 Bella aao (Feltrinelli, pagine 157, lire 23.000), il nuovo libro di Enrico Deaglio: "Diario di un anno che poteva andare anche peggio". Mi pare una . benevola - ancorché parziale (col beneficio del dubbio, diciamo) - assoluzione di un anno bigio, ambiguo, senza infamia e senza lode. Poteva andare peggio, certo. Al peggio, si sa, non c'è mai fine. Ma poteva andare meglio, obietterà qualcuno. Come dargli torto? E l'eterna storia, se vogliamo, del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. I temperamenti cauti avranno accompagnato il consuntivo finale con un mezzo sospiro di sollievo, immediatamente strozzato dall'ansia l?er il futuro. In fondo, molti pericoli paventati all'inizio del '94, quando il poltergeist del golpe televisivo berlusconiano sembrava refrattario a ogni esorcismo, sono stati tamponati. Non che si sia scialato, per carità. Ma, appunto, poteva andare pe_ggio, molto peggio. E infatti il guadro generale ha subito commciato a deteriorarsi con l'anno nuovo. Agli ottimisti invece è probabilmente restato il rammarico di non aver potuto fare di più e la convinzione che il '96 sarà comunque migliore, che le cose cambieranno. I pessimisti a oltranza avranno mvece concluso, come il passeggere leopardiano, che quest'anno vale trenta soldi proprio come l'anno passato. Besame mucho era stato il "diario di un anno abbastanza crudele". Crudele quanto basta, a sufficienza. Bella ciao è il resoconto di un anno "balengo" e "meschino". Strano e squallido, quindi, questo '95. Ma anche pieno di "sintomi" (come ha dichiarato Deaglio in un'intervista rilasciata a "Linea d'Ombra" di febbraio) che è come clefinire un anno malato, che soffre di un morbo oscuro, forse gravissimo, che si manifesta per segni di difficile decifrazione, la cui diagnosi è pertanto incerta e la prognosi ovviamente riservata. Un male che cova, i~somma. Questa è l'impressione. La geo-cronaca di Deaglio rivela "un'Italia inaspettata". Più che i grandi avvenimenti, è la microstoria degli sconosciuti a essere raccontata, a emergere dalla palude della provincia. Il giro d'Italia che compie Bella ciao sembra confermare quel che diceva Leopardi (citato da Dea$lio a proposito di un giudiz10 su Roma, città a suo dire più insulsa che malvagia) nel suo Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani: "v'ha migliori o men cattivi costumi nelle capitali e città grandi d'Italia, che nelle provincie, e nelle città secondarie e piccole. La ragione si è che in quelle v'ha un poco più di società, quindi un poco più di cura dell'opinion pubblica". Cronista e pellegrino (che per fortuna ci risparmia l'interrogazione desii oracoli delle città-santuano e le loro sibilline rivelazioni), Deaglio percorre il paese con una certa mestizia non priva però di solidarietà, pietas, curiosa attenzione per gli uomini e i fatti. Il suo percorso sembra la versione giornalistica del tour in pullman di Prodi (che ci racconta attraverso lo sguardo acuto e analitico dell'autista), o piuttosto uno di quegli spostamenti in corriera per strade interne e accidentate, con tante fermate per ogni frazione, che fanno quotidianamente i pendolari. Sembra allora che Deaglio voglia dirci che mentre il lontano si fa sempre più vicino (ed ecco allora l'Internet mondiale che scandisce e separa i vari capiYQç.J.

toli), il vicino ci è sempre più ignoto, e bisogna quindi andarlo a indagare di persona, sul posto, parlando con la gente. La provincia è quindi il nuovo hic sunt leones della cartografia giornalistica. Ma vi si trovano piuttosto iene. E lo spaventoso delirio dei "delitti domestici". Bella ciao è un viaggio nel tempo e nello spazio. Deaglio parte da Torino, tocca Civitavecchia, sfiora Caltanissetta, passa per l'Emilia cieli'" edonismo satanico", si sofferma su Milano, Napoli, Palermo, Verona e giunge infine in Calabria. Per ogni tappa si apre una finestra telematica sul mondo. Rwanda, Sudan, Sudafrica, Nuova Zelanda, Pakistan, Srebrenica, Seoul, Sierra Leone, Shenzen. D'altronde, tutti ormai si muovono su Internet, compresa la mafia. In più di un'occasione DeaP.lio lascia le meschinerie del 9 5 per risalire il corso della storia del nostro paese e interrogarsi sui grandi misteri irrisolti del nostro recente passato. Talvolta sembra usare la cronaca in modo metaforico, come quando, nel capitolo dedicato ai trapianti di fegato, parla di storie di ordinario coraggio di medici e pazienti e si sofferma sulle miracolose virtù della ciclosporina, un fungo che attenua i problemi di rigetto dell'organo trapiantato, "un antidoto alla xenofobia e al razzismo" che occorrerebbe anche per il corpo sociale. Oppure come 9.uando, descrivendo il culto sincretico di John Prum nella Melanesia, una primitiva religione nata nel corso della Seconda guerra mondiale, quando l'onni_eotenza tecnologica dell'esercito Usa appariva ai popoli del Pacifico del sud come una miracolosa epifania, Deaglio sembra rimandarci non solo a un certo misticismo popolare nostrano delle Madonne lacrimanti, ma anche a forme più crude (e profane, sacrileghe, blasfeme) di paganesimo come l'adorazione dell'or,ulenza, che parve inesauribile manna dal cielo, della Cassa per il Mezzogiorno, con il suo strascico di rituali clientelar-mafiosi. Ci sono nel libro molti fili sotterranei che, intrecciandosi, collegano fatti lontani e diversi. Così il latte offerto a New Delhi alla statua di Ganesh si converte, per transustanziazione o per iml?onderabili vasi comunicanti, nelle lacrime della Madonna di Medjugorie-Civitavecchia. E queste lacrime della fede diventano poi il pianto della Legge di Roma, la mastodontica statua che si trova nel palazzo di Giustizia di Milano, a cui una sorta di congiuntivite da inquinamento ha formato una macchia scura che colava (prima di un impoetico restauro) dall'occhio destro fino al collo. Lacrime nere, metropolitane. Come sangue misto a fango. Deaglio guarda con distacco deontologico ma anche con rispetto questa diffusa esigenza di una rivelazione divina che si riallaccia a una domanda ugualmente radicata e tenace di giustizia e di pulizia. C'è nel suo racconto l'umiltà tutta laica di fermarsi sulla soglia dell'assurdo (ricordando ad esempio la visione di Sant' Agostino, proprio a Civitavecchia, del bambino intento a travasare il mare in una buca aperta nella sabbia: ovvero l'immensità del mistero, che per la mente umana è improbo e inane sforzo comprendere). Ma c'è anche la denuncia dei falsi miracoli, delle speculazioni utilitaristiche (per la verità senza eccedere in stupore scandalistico), dei

presunti invalidi che, scoperti m buona salute, dichiarano di aver ottenuto la grazia a Lourdes, ma non per questo ritengono di dover rinunciare alla pensione. E poi c'è la cialtrona filosofia manageriale dei "fire walking", le camminate sui carboni ardenti (l'ordalia invocata anche dall'unto Berlusconi) con cui "accendere la voglia di successo" di intermediatori immobiliari alle prese con un mercato sempre più asfittico. Fra le cose più riuscite di Bella ciao ci sono alcuni ritratti di realtà marginali. Penso soprattutto alla ricchezza umana e al patrimonio di esperienza degli extracomunitari (e ha ben ragione Dea glio ad aspettarsi da loro "il romanzo italiano del nuovo secolo", perché dai nostri letteratini semplici o complessati sarà dura ricavare qualcosa che ci riscatti e ci redima dall'attuale piattume). Ma penso anche agli scavatori-rapinatori del sottosuolo na.l?oletano banditi poveruomim da cui è possibile trarre un'etica del lavoro, della fatica, dell'operoso ingegno e della solidarietà, assai più veritiera, nella sua tragica inesorabilità, di certo moralismo produttivista. E ancor di più colpiscono i ritratti delle città: la Milano ridotta a "borgo" e "latifondo urbano" dalla miope e provinciale politica della Lega, in cui la gente insegue soltanto il successo economico e "non fa più sacrifici", dove, se i giovani del Leoncavallo manifestano contro la distruzione inutile e selvaggia del loro centro, la borshesia insorge per lo "shopp111g interruptus'~ oppure la Napoli viscerale che vive tra "buio e chiarore, vuoto e pieno, silenzio e rumore", in un rapporto unico col segreto del suo antimondo sotterraneo; o ancora la Palermo che invece, attraverso l'opera di una alacre e tenace cooperativa di ex-detenuti, scava attraverso la città nascosta, sepolta dalle macerie e dai rifiuti, per portare alla luce la città negata (seppellita viva), farla rinascere, come è accaduto per lo Spasimo, uno splendido complesso cinquecentesco di cui s'era quasi perduta memoria. Ma anche la Palermo del Festino, grande orgia rituale che si celebra, per singolare antitesi nella ricorrenza della presa della Bastiglia, in cui la città inscena la sua voglia di vivere, di avere un'identità collettiva. Quella stessa voglia che gli tocca troppo spesso esprimere soltanto in occasione dei grandi funerali di Stato e di popolo. , Un altro elemento importante del libro è proprio questa auscultazione dei luoghi, del genius foci. Lo Spasimo è l'emblema della possibile rinascita di Palermo, così come i "~emelli" palazzi di Giustizia d1Milano e di Palermo sono gli emblemi di quella speranza di rinnovamento che mosse dal fenomeno felicemente denominato "Mani Pulite". Se lo SJ?asimo è l'esempio concreto d1 una città che recupera il suo passato, il palazzo di Giustizia è l'immagine di una città bunkerizzata, che sconta un drammatico isolamento. Mentre la cooperativa "Filippo Abbate - Pretoria Bellini" è stata capace di ripulire 350 anni di storia in 70 giorni, restituendo alla collettività un gioiello artistico d'inestimabile valore, nell'aula bunker, il santuario di una giustizia pachidermica, procede lentamente il già tardivo processo ad Andreotti. Alla celerità pra$matica di un gruppo di "sfasc1allitti", di reietti senza arte né parte, capaci però di promuovere un modello di sviluppo per l'intera città, fa da contraltare l'immobilismo di una classe egemone che sa di poter contare ancora su tempi lunghi, su infinite pastoie, e di poter dormire il sonno dell'ingiusto. Andreotti, nel processo che è stato definito "del secolo", viene sorpreso a concedersi un sonnellino mentre il suo avvocato svolge con acribia le argomentazioni della difesa. Che anche questa sia un'allegoria? Significa forse che al momento i potenti sonnecchiano, ostentando alterigia, impunità, sicumera nel1 'immutabilità delle cose? "Spasimo - scrive Deaglio - è parola che si addice a Palermo". È dolore atroce, fitta, spasmo, agonia. Ma anche doglia di partoriente. Dal corpo massacrato della città martirizzata può rinascere dunque la città nuova. Occorre però una maieutica sociale. La cooperativa "Bellini" ha aperto, a colpi di pala, la via per disseppellire quanto (ed è tanto) di vivo è rimasto sotto le macerie dopo gli innumerevoli terremoti e cataclismi politici e malavitosi che hanno funestato la nostra storia municipale. Nel mentre però la parte produttiva e sviluppata del nostro Paese, e cioè quel Nord che ci rimprovera di essere sporchi e d1 avere scarso senso civico, sta seppellendo la Calabria sotto una montagna di rifiuti altamente tossici, trasformando una delle più belle regioni d'Italia in una immensa discarica. "Il fatto che la Calabria sia stata prescelta come pattumiera, che questo sia diventato il suo ultimo, reale, modello di sviluppo, davvero non era stato previsto da nessun sociologo e fa male al cuore". È come uno spasimo. Un male che trafigge. Ci si aspetta di veder miracolosamente sgorgare lacrime radioattive dai Bronzi di Riace, i simboli della Magna Grecia sottratti a quello stesso mare che oggi sta diventando il cimitero di navi dal carico scomodo e imba-- razzante. Nel mentre una teoria di Tir va giù e su lungo la penisola per scaricare le sue scorie nelle 360 discariche abusive censite da Legambiente in Calabria. Bella ciao è "un saluto a tante cose belle che potevano esserci". E che non ci sono state. Un arrivederci, concede Deaglio. Speriamo. Intanto non scordiamoci delle tante cose brutte che ci sono state, che continuano a esserci. In fondo un diario serve proprio a questo: a non dimenticare. "Forse tutti noi scherziamo troppo sulla nostra memoria, vogliamo tirarla troppo da tutte le parti. Forse bisognei:ebbe smettere, sarebbe giusto anche il diritto all'oblio": così la pensa il vecchio professor Amedeo Molciani, citato nell'ultimo capitolo del libro. Mi sembra però che troppi scherzano troppo con le dimenticanze, con gli omissis e gli insabbiamenti. Ed è di questo (e per questo) che vale la pena di scrivere. ♦ Y.QQ_

SALUTE E MALATTIA HANDICAP Bardo Seeber Giancarlo De Cataldo Luigi Berettoni CONDIVISIONE TRENT'ANNI DOPO BASAGLIA Bardo Seeber Bardo Seeber insegna in una scuola elementare dei Castelli romani. ♦ Tragico epilogo "Sapevo che soffrivano molto pe_ri pro?lemi del ragazzo. Ma 1;1essuno_poteva 1i:nmaginare un così tragico epilogo. Siamo tutti sconvol- .,, ti . Parla don Dario Malagutti, parroco della chiesa di quartiere. Il "!r~gico ep_ilogo'.' è il suicidio di Ernesto Ugolin1, 64 anm, e Giann~ Bonfiglioli, 62 an1;1i,mo:ti in~ieme la notte d1 natale respirando 1gas d1 scanco della loro auto, nel garage della palazzi:1a co_ndominiale di via Dozza 32, un nuovo insediamento della periferia di ~olo$na. . . Causa del suicidio "i problemi" del f~glio Gianluca di 32 anni. "Una persona mite e gentile, si' capiva però che ave':'a. seri problemi psichici - co~ì l_odescriv_e un vicino -. La condizione del figlio angustiava soprattutto la madre, che qualche volta aveva confidato 1~ s_ue angosce. Il padre era_un signore molt<?,d1~t1nto pensieroso. era diventato ancora p1u nserva~o da quando era andato in pe1:1sione:•. La famiglia non conduceva vita sociale. Sono venuto a conosce:1za di questi fatti unicamente dalla lettura d1 un articolo sulla "Stampa" del 27 dicembre scorso. Ma \o stess_o mi chiedo: davvero "nessuno poteva 1mmag1nare un così tra$ico ~pilogo"? . . . , Guardiamo 1fam: due coniugi vanno in la con gli anni, lui va in _pen~i~ne, ma. in casa continua a vivere un u111cof1g_l10o~m.a1_grande - nell'articolo non si parla d, altn f1sli - che "la mamma rimproverava per la sua immaturità e le ossessioni di cui era prigioniero". , All'inizio davanti a un figlio psichicamente labile, il difficile è "accettare". Col tempo, un po' alla volta, l'accettazione viene. Qu_ello che diventa difficile, via via che la famiglia attr~- versa le diverse e "naturali" fasi della sua esistenza è dare senso, rinnovare il "senso": dare SALUTEEMALATTIA senso alla vita di ognuno, dare senso alle relazioni, quelle interne alla famiglia e quelle esterne, con "gli altri". . Un figlio che costruisce la sua auto_no_m,ae si allontana un po' alla volta dalla famiglia per conoscere e vivere il mondo può essere fonte di ansia e freoccupazione per i genitori perché si sa i mondo non è facile da conoscere e da ~ivere'. Ma tutto questo è nelle cose, rientra nel senso comune delle cose. Quando un figlio si attacca ai ge1;1itori,incapace di affrontare autonomamente 11mondo, col tempo che passa cresce l'ansia per le prospettive future e rischi~ di svuotarsi ,1i sens~ lo stesso presente. Ho 1n mente un 1mm_agine precisa: una coppia anziana che passeggia per strada; tra di loro, in mezzo, come per proteggerlo, un figlio grande con lo sguardo ,da _bambino; una barba ben curata, strana sull e111gmatico sorriso. Gli occhi gentili guardano lont~- no. Gli occhi dei genitori, invece, guar1ano diritto dinanzi a sé, ma pare che guardino, costantemente dentro d1 sé. Il terzetto avanza tra la gente ~he passeggia come in un invisibile sfera trasparente. Neanche la bandiera sul tetto La famiglia può diventar~ un sistema chi_uso, origine di insopport_abil_e ~lau~trofob1a; quello che evita questo nsc~10 e, 11 sol_1to,la sua natura dinamica, la continua d1alett1ca tra presente e futuro. Via vi~ che i fig)i, ma a1;1ch~i genitori, crescono, cambiano ruoli e !unz10111.. La famiglia può divenire fonte d1 p~ofond1 dissa~ori e contrasti fino alla completa 1~_comprens10ne e rottura, ma anch~ _ques~oall 11;1terno di un divenire che mod1f1ca d1 continuo punti di vista e prospettive. . Un figlio, d1 cui si _perde la ~pe~anza 111un pieno e autonomo sviluppo ps1ch1co soprat_- tutto se è figlio unico, è_come se fe~masse _il flusso del tempo, cristallizzando la vita fam1~ liare: cadono prospetti-:e e sp~r.anze, _cessa d, esistere un futuro. La vita familiare diventa la ripetizione di giorni tutti uguali, ~na routine d1 gestire rituali se~pre pi~ stanchi, 1:1nluogo dove comportam~ntl e ruoli :1on c?rnsI?ond<;>- no più all'invecchiamento dei corpi e de, volti. C'è il rischio, allora, che accada come nella fiaba della bella addormentata del bosco, dove il tempo e il cambiamento delle cose, si sono bloccati e dove "intorno al castello - alla casa, alla fa~iglia - crebbe _una siep~ 1i spin_i, che ogni anno diventava più alta e f1111col c1rc<?ndarlo e ricoprirlo tutto cosicché non se ne vide più nulla neanche la bandiera sul tetto".

Una famiglia che si chiude in se stessa, nella propria sfera esclusiva, a governare una vita assente dalle consuete dinamiche temporali, rischia di perdere un po' alla volta il senso di appartenenza alle altre sfere, quelle sociali, fino al completo mimetismo. E se all'esterno, apparentemente, nulla trapela, la famiglia e i suoi componenti vanno perdendo la loro identità, il loro status, fino a che "non se ne vede più nulla, neanche la bandiera sul tetto". Chi è fuori da tutto questo un primo dovere credo ce l'abbia: smettere di sorprendersi se, e quando, l'epilogo è appunto tragico. Perché la _m~rte di quella _famigli~:come di altre} commciata molto pnma del gesto estremo . La famiglia handicrppata Sappiamo come ie famiglie, tutte le famiglie possano avere due facce: una pubblica, sociale, quella che "appare", e una privata, intima, protetta, e nascosta, dalle mura domestiche. Difficili e delicati equilibri possono garantire la convivenza di queste due "anime". Ma se questi equilibri saltano, se addirittura "scoppia la tragedia" e la famiglia improvvisamente, diventa oggetto delle cronache dei giornali, svanisce in un attimo la faccia P,alesee appaiono, in tutta la loro evidenza, le difficoltà e le sofferenze a lungo rimaste nascoste. Quante volte abbiamo ascoltato le dichiarazioni di "vicini" che non sanno darsi spiegazioni, "sorpresi" per qualcosa che "non si sarebbero mai aspettati che accadesse". Vivere accanto, e insieme, al disagio mentale, vuol dire vivere quotidianamente accanto a qualcosa di misterioso: al non compiuto, al non risolto, al non espresso, al non capito. Quando un bambino, un ragazzo, un giovane, un adulto, un vecchio, non sono autonomi, in tutto o in parte, quando i pensieri di una persona sono inadeguati al vivere individuale o al vivere sociale, è necessario che qualcuno si occupi di lui o di lei. Per chi se ne fa carico vuol dire di aver cura di un altro corpo oltre al proprio, vuol dire sostituire, con la propria mente, la parte inadeguata della mente di chi ci sta accanto. Vuol dire protrarre le cure parentali, rivolte al bambino o al ragazzo nei primi anni della vita, oltre il tempo naturale. Il disagio mentale non modifica profondamente soltanto i rapporti e gli equilibri interni di un nucleo familiare, il disagio mentale modifica gli equilibri interni di ogni componente della famiglia. E la famiglia, e ogni suo membro, vanno caricandosi di sentimenti contrastanti: di slanci e delusioni, di voglia di reagire e di frustrazioni, di generosità e di risentimenti. Stanchezza e rassegnazione possono prendere il sopravvento. Il confronto con ''l' esterno" può diventare faticoso e penoso. L'autoisolamento _euò apparire la scelta più facile, la forma di difesa più a portata di mano. Ricordare, e insistere, su guesti aspetti è necessario perché, se non li temamo ben presenti, non si capisce il fatto che l'handicae psichico non riguarda quasi mai soltanto il suo cosiddetto "portatore" ma è all'interno e riguarda un "sistema" che, facendosene carico, ne condivide e sostiene il peso. In altre parole, dietro, o forse meglio "intorno", al "portatore di handicap" psichico, c'è quasi sempre una famiglia che vive il disagio e il disadattamento, nella vita quotidiana e nei rapporti sociali, c'è in sostanza una "famiglia portatrice di handicap". Dalla nave dei folli al manicomio Credo sia la famiglia, oggi, la struttura che si trovi ad assumere un ruolo centrale di fronte al disagio psichico. Non solo perché, nella maggior parte dei casi, se ne fa carico direttamente almeno per un lungo periodo di tempo, ma anche/erché rappresenta la "continuità" rispetto a altre istituzioni e ai diversi tipi di "intervento esterno". È la famiglia inoltre a essere caricata e gravata dal peso e dalla responsabilità delle decisioni: spetta a lei la scelta degli specialisti per la diagnosi, le cure, la terapia; è la famiglia che si trova di fronte all'alternativa tra il richiedere o il non richiedere l'intervento a scuola dell'insegnante di sostegno; è la famiglia a interrogarsi se, come 6 quando rivolgersi a un centro o a un istituto di accoglienza. Sappiamo bene che non è sempre stato così. Fino a non molti anni fa !'"istituzionalizzazione" e !"'internamento" erano provvedimenti quasi inevitabili e automatici per la maggior earte delle persone che soffrivano di disturbi psichici: per i bambini e i ragazzi c'erano gli istituti o le scuole speciali per gli adulti le cliniche psichiatriche o i manicomi. I primi due articoli delle "Disposizioni sui manicomi alienati" (legge n. 36 del 14 febbraio 1904) erano espliciti in questo senso: "Articolo 1 - Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a se e agli altri o riescano di p_ubblicoscandalo e non siano e non possano essere convementemente custodite e curate fuorché nei manicomi ... Articolo 2 - L'ammissione de~li alienati nei manicomi deve essere chiesta dai parenti, tutori o protutori, e può esserlo da chiunque altro nell'interesse degli infermi e della società..." I problemi posti dal SALUTEEMALATTIA

disturbo mentale venivano ridotti essenzialmente alla presunta "pericolosità" e all'eventuale "scandalo". È naturale, partendo da tali premesse, si parlasse prima di "custodie" che di cura. Una sfilza di "autorità" risultavano "preposte" ad occuparsi e decidere la sorte dell"'alienato": dai pretori ai pubblici ministeri, dai presidenti di tribunali ai notai, dalle autorità di pubblica sicurezza ai direttori dei manicomi, dai prefetti allo stesso ministero degli interni. Tutti mobilitati, "nell'interesse degli infermi e della società", per garantire "il potere disciplinare" e la "vigilanza". Dunque una questione essenzialmente di ordine pubblico. E i medici? E gli specialisti? Chi doveva occuparsi delle diagnqsi, delle terapie, delle cure e dell'assistenza? La legge menzionava marginalmente un "medico provinciale", e un non meglio definito "medico alienista", oltretutto "nominato dal ministero dell'Interno". Non solo le famiglie e gli "alienati" venivano in massima parte esclusi dalla possibilità di decisione e di scelta, ma la legge poneva le stesse autorità mediche in una posizione marginale e di secondo piano. La separazione e la segregazione del "matto" hanno caratterizzato le disposizioni di legge, ma anche la morale e il sentire comune, attraverso tutta l'epoca moderna. "Nell'età medievale il folle, pur incarnando con la sua patologia devianza e trasgressione, per altro, ferocemente punite, era non di meno ammesso ai margini della comunità. Ma al declino del medioevo (la 'nave dei folli', strano battello ubriaco che fila lungo i fiumi della Renania e i canali fiamminghi, ne è il sintomo) i pazzi cominciano ad essere espulsi dalle città e rimossi dalla comunicazione sociale con la comunità dei savi che producono, obbediscono e comandano. SALUTEE MALATTIA Da questo momento in poi si costituisce la 'criminalizzazione' della follia, la sua segregazione e repressione nel manicomio" (dalla presentazione de La storia della follia nell'età classica di Miche! Foucault). Gli istituti "- ... poveri ragazzi, quando si entra per la prima volta nell'Istituto dei ciechi, durante la ricreazione, a sentirli suonar violini e flauti da tutte le parti, a parlare forte e ridere, salendo e scendendo le scale a passi lesti, e girando liberamente per i corridoi e per i dormitori, non si direbbe mai che sono quegli sventurati che sono ... Derossi domandò se non si poteva andarli a vedere. - Si può, - rispose il maestro; - ma voi, ragazzi, non vi dovete andare per ora. V'andrete più tardi, quando sarete in grado di capire tutta la grandezza di quella sventura, e di sentire tutta la pietà che essa merita. È uno spettacolo triste, figlioli". "Oggi ho fatto vacanza perché non stavo bene, e mia madre mi ha condotto con se all'Istituto dei ragazzi rachitici, dove è andata a raccoma,ndare una bimba del portinaio; ma non mi ha lasciato entrar nella scuola ... -Non hai capito perché, Enrico, non ti lasciai entrare? Per non mettere davanti a quei disgraziati, lì nel mezzo della scuola, quasi come in mostra, un ragazzo sano e robusto: troppe occasioni hanno ~ià di trovarsi a dei paragoni dolorosi. Che tnste cosa!" "- Ma volevo domandare: come va l'istruzione della mutina, dica un po'? Io l'ho lasciata che era come un povero animaletto, povera creatura.( ...) E grazia che s'è trovato un signore caritatevole che ha fatto, le spese dell'Istituto. Ma tanto ... prima degli otto anni non c'è potuta andare. Son tre anni che non è in casa... La porta s'aperse: entro una maestra, vestita di nero con una ragazza per mano.( ...) La ragazza era vestita di rigatino bianco e rossiccio, con un grembiule bianco". Quello che oggi colpisce nel romanzo, considerato un vero e proprio "vangelo laico per i fanciulli" di varie generazioni, è comune la spinta a capire, il sentimento di pietà, lo slancio generoso verso chi soffre, non suscitino il minimo dubbio, non scalfiscano in alcun modo la c~rtezza in una 1:-ecessaria,rigida, separazione e segregazione. Tanti erano gli "istituti" nell'Italia di De Amicis, e tanti erano i bambini e i ragazzi dietro quelle porte. Nel suo Cuore insiste e ritorna spesso per descriverne la vita. Le risposte sono diverse, le giustificazioni e motivazioni sono diverse, quel che ne consegue è unico: vivere in condizione di separatezza, per chi è "diverso", è qualcosa di ineluttabile e immodificabile. Il romanzo è del 1886. Per molti anni ancora le cose non sono cambiate in modo significativo. Quelli della mia generazione difficilmente hanno avuto l'occasione di conoscere e frequentare bambini e ragazzi che oggi ci siamo abituati a chiamare "porta-

tori di handicap", e comunque non a scuola. La loro realtà, la loro vita, era l'istituto: un istituto diverso per i diversi possibili "casi". Durante un viaggio, un amico paraplegico per una poliomelite infantile volle portarmi, a Salerno, a visitare l'istituto dove era cresciuto da ragazzo. L'istituto si affacciava direttamente sul mare, ma guardando dalla parte, opr.osta, di fronte a un muro, alto e impenetrabile, mi disse: - Noi non potevamo vedere "la città", ma dai suoni e dai rumori che ci giungevano da oltre il muro, cercavamo di immaginare come scorreva la vita "fuori". E noi sentivamo di esistere in un altro mondo. Da Ivan a Carla Nell'immaginario collettivo il "matto" e il "manicomio" sono diventati indissolubilmente legaci l'uno all'altro. Era il "manicomio" il luogo per i matti, e non era nemmeno pensabile immaginare una realtà diversa. Chi si poneva degli interrogativi e dei dubbi, rispetto a questa certezza, proiettava la possibilità di un cambiamento in un futuro ipotetico e lontano. "Andrèj Efìmyc ( ... ) volle dirgli qualche cosa di gradevole, e calmarlo; si sedette al suo fianco, sul letto; meditò, poi disse: - (... ) Aspettate, quando in un avvenire lontano non ci saranno più prigioni né manicomi, non ci saranno più finestre con inferriate, né camici da ospedale. ( ... )Senza dubbio quel tempo verrà, presto o tardi. Ivàn Dmìtric sorrise ironicamente. - Voi scherzate, - disse socchiudendo un po' gli occhi - (...) e burlatevi pure di me: ma splenderà l'alba di una vita nuova, la giustizia trionferà ! Ci sarà gran festa per la nostra strada ! Io non la vedrò, sarò morto, ma i nipoti di qualcuno la vedranno. Li saluto di tutto cuore, e mi rallegro. Mi rallegro per loro. Avanti ! Che Dio v1aiuti, amici miei! ..." Andrèj Efìmyc è il medico, e Ivàn Dmìtric è uno dei cinque pazzi del padiglione psichiatrico, della Sala numero sei, nell'omologo racconto di Anton Cechov. Il racconto è del 1892. Passeranno più di settant'anni perché Carla possa così raccontare: "Adesso l'area è praticamente aperta a tutti, perché al posto del così frequente:·'è severamente proibito entrare se non ecc. ecc.', c'è un cartello che invita la gente a far visita agli ammalati quando e come vuole. ( ... ) Superati i cancelli, che sono sempre aperti, il visitatore occasionale avanza lungo i viali del parco ( ... ). Durante il tragitto avrà modo di incontrare numerose persone, uomini e donne che passeggiano, che stanno seduti all'esterno dei padiglioni, che giocano a bocce e che lavorano a maglia. Arrivato al bar troverà una piccola folla attorno ai tavolini all'esterno sotto un'ampia tettoia, oppure in una sala rumorosa e fumosa come quella di tutti i bar di periferia. A questo punto egli si sentirà completamente a disagio, perché non saprà più riconoscere l'ammalato, il medico, l'infermiere. Allora nel tentativo di ristabilire dei termini di parasone chiederà inevitabilmente: dove sono 1pencolosi ?" Carla è una degente della comunità goriziana, la comunità voluta e organizzata da Franco Basaglia e dai suoi collaboratori in alternativa al manicomio. Siamo negli anni sessanta (Basaglia dirige l'Ospedale psichiatrico provinciale di Gorizia dal 1961). È dunque Carla una di quei "nipoti" di qui parlava Ivàn, e sembra davvero rivivere la "grande festa", la "giustizia trionfante" che Ivàn aveva augurato, salutando e rallegrandosi, agli "amici" che verranno. Siamo realmente giunti all'"alba di una nuova vita" senza più "prigioni né manicomi", senza più "camici" né "111ferriate"? L'entusiasmo fu grande in quegli anni. Ne' sembrava esserci spazio per mediazioni o compromessi "perché l'azione ha preso l'avvio da una realtà che non può che essere violentemente rifiutata: il manicomio" (da L 'istituzione negata a cura di Franco Basaglia, Einaudi 1968). Eppure ci vollero ancora molti anni per arrivare a superare la "famigerata" legge n.36. Legge 180 "Articolo 11 - Sono abrogati ~li articoli 1,2,3, e 3 - bis della legge 14 Febbra10 1904, n. 36 (...)" La legge 180 è del 13 Maggio 1978. Nota fin dal suo nascere come "nuova legge sui manicomi", in realtà la "180" ha assunto il significato di "abrogazione e fine dei manicomi", o almeno l'avvio per il loro definitivo superamento. In questo senso l'articolo 11 assumeva un significato anche simbolico. Gli altri articoli hanno un linguaggio involuto e poco esplicito, forse frutto d1 difficili compromessi. Così li commentava Annarosa Pizzi, per cercare di chiarirne lo spirito, in occasione della prima pubblicazione della legge: "La legge n.180 è essenzialmente e precipuamente volta a disciplinare il regime dei ricoveri obbligatori per malattie mentali( ...) Nella linea indicata , si pongono, in particolare, le disposizioni volte ad eliminare il principio custodialistico, la caratterizzazione poliziesca del concetto di pericolosità sociale, l'estensione delle ipotesi di ricovero coattivo, ridotta ai soli casi di urgenza terapeutica motivata quindi, esclusivamente, in base a considerazioni di natura medica." Obiettivo principale delle legge era dunque quello di "assimilare i malati di mente a tutti gli altri malati, onde porre fine alle discriminazioni di cui i primi erano destinatari". Anche la dizione cambia: non si parla più di "alienazione mentale", come nella legge precedente ma di "malattia mentale". Sono passati più di trent'anni dalle prime esperienze innovative del gruppo di Basaglia, e meno di venti dall'approvaz10ne della nuova legge. Esiste ancora una tensione morale e un interesse diffuso intorno a g.uesti problemi, che coinvolga e vada oltre agli addetti ai lavori e a chi ne è direttamente coinvolto ? Ho invano cercato nelle librerie il testo e un commento alla legge. Mi sono rivolto a una libreria specializzata in testi giuridici: la libraia, dopo lunghe ricerche, ha scovato una sbiadita ultima copia stampata nel 1978, l'anno di approvazione della legge. Nella prima metà di marzo, nel corso di alcuni teleg1ornali, si è riparlato di manicomi per ricordare al vasto pubblico che sono ancora 23.000 gli "internati" in questi istituti. Sono state riproposte interviste e immagini dure, in tutto sunib a quelle che si imposero con forza SALUTE MALA7]'[A

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