La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 13 - marzo 1996

PICCOLI CYBORG CRESCONO. L'ESORDIO DI TIZIANO SCARPA Emiliano Morreale lo ho l'impressione che ormai le cose siano la proiezione pornografica di se stesse; chi oggi volesse fare della pura poesia descrittiva, temo che rischierebbe un processo per oltraggio al pudore. (Walter Siti, Scuola di nudo) Un atto di sfiducia preventiva nella saldezza e consistenza della quotidianità e del reale come quello della citazione d'apertura, comune a molta lettera tira dell'età del consumismo, è fatto proprio con lucidità anche da Tiziano Scarpa, critico letterario trentaduenne e romanziere esordiente con Occhi sulla graticola (Einaudi, pp.103, L.18.000). Anzi, all'inizio e per quasi tutta la prima parte, il romanzo d'esordio di Tiziano Scarpa viene condotto negandosi a ogni moto di pietà per "le cose", pesanti e irredimibili, con coerenza sconcertante. Sullo sfondo abbastanza inedito di una Venezia di studenti universitari e pendolari, Alfredo, laureando in lettere perseguitato dalla vacuità dei propri studi, assiste alla grottesca scena di un attacco di diarrea che assale una ragazza su un vaporetto. Quando questa si getta in acqua, egli la salva e la ospita in casa propria, intraprendendo, più che una relazione, uno studio di lei. E, parallelamente, si mette a raccontare la vicenda di colui che è "la penultima storia d'amore" vissuta dalla sua ospite: Fabrizio Rumegotto, studente che l?er pagarsi l'affitto produce sperma ogni mattma per le magiche creme di bellezza della padrona di casa. Il Rumegotto è (anche per ragioni professionali) un assiduo consumatore di fun,etti erotici giapponesi, la ragazza (si chiama Catalina) di mestiere aggiunge a questi fumetti le parti anatomiche censurate nell'edizione originale. Ma il racconto, che mima i meandri perversi di una mente di universitario, segue la forma e le convenzioni di un saggio accademico, sbizzarrendosi in divagazioni virtuosistiche tipo un'analisi comparata tra Venezia e la vagina, un ampio excursus sulla natura dell'erezione mattutina, la visione del mondo di un editore di manga ecc. Nonostante l'inventiva spumeggiante di Scarpa narratore, su tutto aleggia una cappa di gelo, una distanza ironica che pare mascherare indifferenza o addirittura antipatia per il contenuto narrato. La superficie scintillante e postmoderna della scrittura di Scarpa, programmaticamente distaccata e "oggettiva", nevroticamente cyberistica, non coinvolge il lettore. L'arcano si svela quando, a metà romanzo, entra in azione come narratrice la figura di Carolina, l'oggetto del desiderio intellettuale di quello che è stato fino allora il narratore, e ci viene fornita l'altra gamba del discorso. L'espediente, quasi settecentesco, delle pagine di diario trafugate e inserite nell'opera consente un mutamento di prospettiva radicale e sbalorditivo. La prima folgorante entrata di Carolina Groppo narratrice racconta di un incontro con una punk che tiene in tasca una pantegana nera: Scarpa riesce qui a cambiare completamente registro, ingoffendo la sua levigatissima scrittura e togliendole leggerezza per ancorarla a un personaggio e a una tonalità emotiva e soprattutto per saltare da una prospettiva intellettuale trattenutissima e programmaticamente amorale a un punto di vista morale sul mondo. Il mondo visto con gli occhi di graticola di Carolina Gro·ppo è tutt'altro dal mondo del narratore precedente: è un punto di vista coinvolto in ciò che guarda, che si sa immerso nell'orrore del mondo. (Guardando la "darkina" che ostenta la sua fetida pantegana: "No, non erano in questione le mie remore ad avere sereni rapporti con l'orrore. Mi deprimeva piuttosto non poter sfruttare i vantaggi sociali di questa intimità con il disgustoso, il terrificante. Probabilmente, anzi sicuramente i miei incubi erano altrettanto orripilanti di quelli della darkina, la mia indole era altrettanto esplosiva, devastante, solo che io non avrei mai avuto la naturalezza di portare in tasca la mia identità, non avrei mai saputo sfoderare dalla tasca dell'impermeabile una zoccola schifosa per fare vedere a tutti chi ero." (p.57) Tutta la seconda parte del libro sta in questo confronto di due piani narrativi (e di due visioni del mondo), abilmente orchestrati, duello tra un Faust che ha venduto l'anima ai manga e una Gretchen nevrotica e insicura. Da quando si inserisce il diario di Carolina, il libro diventa la lotta fra i due narratori: all'inizio sembra avere la meglio Alfredo: non si sporca le mani con la realtà, con una battuta ironica rende ridicolo il piccolo mondo tormentato di Carolina. Ma a poco a poco quest'ultima fa valere le sue ragioni, anzi i suoi dubbi, e in un finale a sorpresa apparirà chiara la sua amara vittoria. Quantomeno, apparirà chiaro che anche l'autore, che fino a quel momento si è quasi finto solidale con l'ironia manierata di Alfredo, sta dalla parte della ragazza. Alla luce della figura femminile del romanzo, è possibile recuperare anche la funzione del gelido personaggio narratore Alfredo. Il quale, in sostanza, ha un grande problema: non sa confrontarsi con gli altri ed è, come Scarpa ce lo svela infine, una figura di tristezza immensa, terrorizzato dalla vita, che rifiuta l'ingenua e dolente moralità del personaggio femminile solo perché ogni dimensione morale implica all'inizio, o mette di fronte alla fine, a una scelta, e lui preferisce invece vorticare da una non-scelta all'altra, in un falso movimento che è quello delle mille scelte sempre uguali del consumo di immagini e parole. Insomma, non è che il post-moderno Alfredo sia "più avanti" o più disincantato della "tardo-moderna" Carolina Groppo. È lui, anzi, il vero illuso, perché non considera il lato tragico, conflittuale della perdita di consistenza dell'individualità. La protagonista di Occhi sulla graticola sa di essere una creatura in parte sintetica, ma sa anche la tristezza luttuosa di vivere da androide: "La mia anima è un cyborg, un organismo pieno di storie immaginate da qualcun altro e trapiantate nella mia identità come delle protesi, degli organi sintetici: dalla barSUOLE DI VENTO

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