La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 13 - marzo 1996

ARTE E PARTE Una foto per un anno Roberto Koch Il fotogiornalismo internazionale sta vivendo una piccola stagione di ripresa, dopo alcuni anni di difficoltà molto dure dovute ad un atteggiamento generale della stampa che da una parte blandisce la fotografia ma dall'altra cerca in qualsiasi modo di farne a meno. È un ciclo di alti e bassi, che sembra inevitabile, e con il ql)ale abbiamo imparato a fare i conti ormai da molti anni. È in questo quadro che si è svolta la riunione annuale della giuria del World Press Photo, alla quale ho partecipato quest'anno, per scegliere la foto del 1995 e i servizi che in ogni categoria (otto in tutto) hanno ottenuto i premi relativi. Il World Press Photo è il concorso di fotografia giorna1 is tica più importante del mondo, ed è l'unico davvero internazionale (altri premi come il Pulitzer o il Robert Capa, pur importanti, sono però circoscritti alla stampa statunitense). A testimonianza di ciò quest'anno sono pervenute alla sede di Amsterdam oltre 29 mila fotogra- , fie, inviate da giornali, fotografi, agenzie, scattate dalla bellezza di 3068 autori provenienti da 103 paesi diversi. Il meccanismo di selezione delle immagini è rodato ormai da oltre 40 anni e anche se obbliga a turni di proiezione da forzati dell'immagine, funziona effettivamente molto bene. Il carattere internazionale della organizzazione. si riflette nella vastità dei soggetti affrontati, ed è consolidato anche dalla provenienza dei membri della giuria, quest' anno dall'Italia, Francia, Libano, Russia, Usa, Messico, Hong Kong, Olanda e Inghilterra. Scorrendo le immagini presentate (e va qui fatta una nota confortante per il livello molto alto di qualità generale dei lavori inviati) risultava chiaro via via come il carattere di "linguaggio universale" attribuito con eccessiva enfasi alla fotografia nel passato, abbia sempre meno rasione di esistere. Non mi rifensco soltanto all'argomento scontato che in ogni immagine, o ancor più in ogni storia per immagini sono ben presenti il retroterra culturale dell'autore, la sua appartenenza geografica e linguistica che ne sottolineano le particolarità, ma anche al fatto che spesso il "centro" del soggetto, il cuore della storia fotografica viene interpretato in modo fortemente diverso a seconda dell'osservatore, delle sue origini culturali e geografiche: la stessa sensazione mi aveva colpito quando, durante il masterclass del World Press Photo lo scorso novembre, assistevo insieme ad altri "esperti" alla proiezione dei lavori di giovani fotosrafi di grande talento riumti per qualche giorno ad Amsterdam e invitati a presentare i loro lavori sul tema del patriottismo. Una ragazza tedesca, Eva Leithof, aveva affrontato l'argomento prendendo spunto dalle continue violenze accadute in Germania contro gli immigrati e aveva concentrato il suo sguardo sulla dimensione quotidiana delle famiglie dei violenti, dei quartieri in cui abitano e dove si organizzano. Le sue foto, rigorose e piene di dettagli, proponevano la "normalità" degli ambienti, delle case, di un benessere ostentato e apparentemente tranquillo, ma evidentemente potenziale di violenza. La lettura di queste immagini però, che agli occhi di noi occidentali sembravano fornire spunti interessanti sia dal punto di vista fotografico sia da quello sociologico, urtava contro la sensibilità dei fotografi degli altri f aesi che ne sottolineavano i carattere a loro avviso accondiscendente nei confronti di persone violente, e comunque avevano difficoltà a recepire la costruzione formale delle immagini, che risultavano alla fine per loro quasi incomprensibili. È ovvio che questo accada, e l'errore è al contrario in chi vuol fare assumere alla fotografia, soprattutto a quella di documentazione sociale, una valenza ideologica o di propaganda, negando la funzione che forse appartiene in modo particolare al linguaggio dell'immagine fissa, e cioè quella di porre domande, di suscitare interrogativi piuttosto che affermare verità. Così nell'esaminare in giuria le immagini provenienti da tutto il mondo una gran parte di tempo è stata dedicata alla riflessione nel tentativo di raggiungere un punto di vista comune anche se non necessariamente omogeneo di fronte a servizi che spesso hanno suscitato reazioni opposte tra i vari membri. Negli ultimi anni, dopo un lungo periodo in cui l'enfasi del World Press Photo era stata posta soprattutto sulla funzione strettamente giornalistica della fotografia, privilegiando quindi spesso l'evento rispetto al modo in cui era stato fotografato, la qualità delle immagini è stata riportata al suo giusto ruolo, con segnalazioni e premi attribuiti con continuità a fotografie e autori impegnati piuttosto nell'approfondimento, con uno sguardo appassionato e partecipe, verso una dimensione più interpre- _ tativa e potente della fotografia d'autore. La direzione che il premio prende è fortemente accentuata nella sceha della foto dell'anno, cui viene affidato il "messaggio" della giuria. Il meccanismo di selezione della foto finale infatti attraversa tutte le categorie e riapre, dopo sei giorni di intenso lavoro passati ad osservare decine di migliaia di foto, la discussione sulla forza simbolica di una immagine, sulla sua costru - zione formale e sul suo potere evocativo, sulla sua complessità e sull'importanza dell'avvenimento ripreso all'interno di tutto ciò che è avvenuto nell'anno passato: è il momento più intenso e appassionante e si avverte la responsabilità di una scelta che, seppur limitata nel contesto, contribuisce a dare un indirizzo ai fotografi di tutto il mondo. Si è detto, più o meno scioccamente negli ultimi tempi (soprattutto in Italia), che il fotogiornalismo è stato sconfitto dalla televisione. Oltre a non essere vera in

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