La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 13 - marzo 1996

LA CIITÀ Alto e basso a Chicago Maria Nadotti Cosa ci fa un maiale accanto a un grattacielo? E cosa ci fa Chicago, presa tra i due termini dello spettacolare ossimoro che dà titolo al bel libro - saggio, reportage, romanzo storico, collage di racconti brevi, pantagruelica compilation - di Marco D'Eramo? Siparla di Il maiale e il grattacielo. Chicago: una storia del nostro futuro, edito da Feltrinelli (pp.406, L. 35.000). E cosa significa raccontare una città facendo - come indica l'altrettanto ossimorico sottotitolo - "una storia del nostro futuro"? Se, come in genere di crede, il passato (la Storia?) si ricostruisce guardando rigorosamente all'indietro, facendo der presente niente più che la stanza da cui si affaccia e guarda lo storicostoriografo e del futuro una variabile indipendente, cosa mai vorrà dire fare - come afferma sia in apertura sia in chiusura di libro l'autore - un'archeologia del futuro? "Come avrai capito, lettore", scrive a pagina 358 D'Eramo, a meno di cento righe dalla conclusione di un testo densissimo (letteralmente saturo, nel senso etimologico del termine) e corredato da otto pagine di fonti bibliografiche e da un indispensabile indice analitico di persone, luoghi, periodici e argomenti, "né io sono americanista, né questo è un volume di studi americani, tanto meno una storia di Chicago. Anzi, avrai notato che ho cercato di riportare intatto il mio ricorrente sguardo alieno, lo stupor~ da straniero. Sarà ee~c~é ho incontrato questa cttta m un momento particolare della mia vita, ma subito ho sentito la sua puzza, la puzza di modernità. Chiunque viaggi sa che, a vivere troppo a lungo in una città, non si annusano più i suoi odori; ma quando vi si torna dopo una lunga separazione, per quanto sia pulita, ogni città ti accoglie con la sua puzza fortissima, insopportabile e familiare. Ecco, Chicago puzza di moderno. Non è un'aroma, è un lezzo forte. Forse così si spiega 'il paradosso per cui questa città sta più a cuore agli europei che a noi' (chicagoans), come scrive Nelson Algren". Chicago "città del cuore" dunque, e intanto, per quel- !' anomalo viaggiatore-ricercatore - e accanito frequentatore di emeroteche -, che sembra essere D'Eramo. Ciò che lo attira a fare di Chicago un testo - nel duplice senso di opera e di corpo testuale da attraversare, descrivere, interpretare - è per l'appunto la sua esemplarità di metropoli moderna, organismo abnorme e paradossale, luogo eccessivo e pertanto ideale di prova (misura) per la curiosità e l'insaziabilità dell' osservatore 'distante'. Il ritratto di città che esce da un "momento particolare" nella vita, da due anni di lavoro sulle fonti più disparate e dal computer di D'Eramo non è infatti - come ben dice l'autore -, o non è solo, la storia di Chicago, bensì un formidabile esercizio. Di retorica e di analisi testuale. Intanto Il maiale e il grattacielo si apre con una mappa - non citata in sommario - di Chicago. Chi legge va a impattarsi, a freddo con il reticolo di strade, acqua e verde che è, oggi, la windy city, la città ventosa. Spolpato e astratto, lo scheletro del testo-città è questo. Da qui si parte, da una geografia (o, meglio, da una planimetria), per farne la storia. Poiché la storia è fatta di uomini e donne che dormono, mangiano, lavorano, abitano, muoiono in un luogo concreto, fisico, con un proprio clima, stagioni, servizi, disservizi, rumori, odori suoni, colori, luci. Penso a Gertrude Stein e ai suoi C'era una volta gli americani o La storia geografica dell'America, alle sue acutissime ipermetonimiche osservazioni sullo 'spirito americano'. Com'è un popolo, si chiedeva, tanto per dirne una, la più gerarchica degli autori\trici statunitensi, che non ha bisosno di bagnare il cibo con il vmo, perché il suo cibo è già, di per sé, umido abbastanza? Nella prima delle tre parti del suo libro D'Eramo sembra adottare appunto uno sguardo altrettanto metonimico e\o induttivo. Niente categorie astratte o paradigmi interpretativi preconfezionati (altrove), niente vertiginose discese dal generale al particolare. Semmai il contrario. Il testo-città parla attraverso dettagli, ti spiazza, ti sorprende, non ti dà quel che sapevi ma, se sai suardare, può darti qualcosa d1 più. Ecco dunque che i capitoli di questa prima sezione sono dedicati al particolare, visibile o sedimentato nel corso della città: i binari ferroviari, il maiale, i future, la forma grattacielo, il legname, il tram, la casetta monofamiliare del suburbio, la banca. Ognuno di questi oggettitema, in una specie di scatenata e 'onnivora' (come il suino del titolo?) catena associativa, fa da esca al narratore per dire d'altro. Da esca, non da pretesto. Nonostante il campo visivo si ampli talora fino a un ideale fish-eye, lo sguardo resta fisso su di essi. Non li abbandona né li sfoca. Semplicemente li contestualizza, li mette in prospettiva. Un po' come si fa, fotografando, quando si passa dal macro allo zoom e poi a una lente quadrangolare. Il particolare fa da centro allo sguardo, ma non lo esaurisce né lo ingombra. Ecco, per esempio, che partire dal binario e ragionare di trasporti su rotaia permette di risalire a ciò che, nel giro di un pugno d'anni, fa di Chicago la metropoli che è stata e, in un altrettanto veloce lasso di tempo, la rende obsoleta, preistorica, paesaggio umano e architettonico in rovina. Quest'arco temporale non abbraccia però solo la crescita e il declino di un mezzo e del sistema economico e produttivo a esso sotteso. Di nuovo occorre parlare di geografia e di geografia umana, di disponibilità (i flussi migratori dall'Europa, dalla Cina, dal sud degli Stati Uniti; il crumiraggio) e resistenza (le lotte, gli

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==