gnità all'abilità tecnica e al lavoro ordinario, rendere il consumo meno isolato, più inserito nel processo complessivo"(p. 97). Non erano (non sono) obbiettivi da poco. Anarchico coerente, Goodman sapeva che non bisogna mai chiedere troppo alla politica (" il fine della politica non è quello di produrre una società buona, ma una tollerabile" p. 103); che anche tra "il possibile e l'impossibile della politica" bisogna sempre riuscire a tracciare un limite, una sottile, intelligente, duttile linea di demarcazione. Il resto sarebbe poi venuto dopo: "una bella lotta su una questione specifica ha effetti tonific1rnti su tutta la società" (158). A chi lamentava la fine delle ideologie, lo sfaldamento e il crollo delle visioni unitarie del mondo, l'estinzione del pensiero utopico, Goodman contrapponeva la cristallina semplicità di un credo diverso, un altro genere di convinzioni e di parole-chiave: oggi "sono davvero ami-ideologiche parole come impegno, dialogo, confronto, comunità, fai di testa tua" (99). "Anarchico conservatore", Goodman coniugava sempre l'intransigente severità del giudizio sulle cose e sui fatti del mondo, sugli eventi della società, con una sorta di calmo, creativo, "ottimismo" laborioso. Con grande fiducia in una specie di intuitiva, personalissima "immaginazione sociologica", Goodman adorava le "modeste proposte", le risposte immediate, le "soluzioni" parziali e provvisorie ("sui problemi grandi e piccoli io cerco Y.QQ di escogitare degli interventi semplici che non seguano le solite procedure" p. 74). A volte - capita - le sue proposte non convincono. A volte - è ovvio - sono velleitarie. Ma l'ottimismo di Goodman, la s~a costante passion~ costru!- t1va, non celano mai una visione beota della cose, un punto di vista "stupido" o troppo arrendevole sui meccanismi, le cerimonie, i destini sfuggenti della società. Senza nessuna ingenuità, Goodman diffidava della retorica estremistica, del gergo rivoluzionario, delle recriminazioni apocalittiche. "Per come la vedo io - scrive in un passo d~cisivo - non si può_ dis~mamzzare nessuno, lo s1puo solo rendere infelice" (p. 179). Critico radicale dell'universo idiota dei consumi, dei fasti inutili, del micidiale conformismo della società opulenta, Goodman conservava anche nella protesta un lucido senso della storia, un equilibrio e una "misura" davvero preziosi. Come si può fare ancora critica sociale dopo Auschwitz? Forse è questa la domanda (inespressa) che rende utile la singolare lezione di Paul Goodman. Anche nelle situazioni pio estreme di rottura - quando invita a "far scoppiare il casino", quando ipotizza una risoluta, coerente "secessione" dalla società - Goodman ci tiene a ricordare che il "quadro sconfortante" del presente resta comunque incommensurabile all'atroce, "disumanizzante", ombra dei campi, alle nebbie del gulag, a quel deserto privo di oasi che abbiamo - miracolosamente - attraversato. È uno sguardo onesto sulla storia. Abulici, conformisti, rassegnati, possiamo soltanto essere "infelici". Ecco: "davanti a oltraggi come questi la risposta da dare è semplice: smettiamola e basta"(p. 181). Non lamentiamoci. Diamoci da fare. Questo ottimismo equivale, mi sembra, a un'assunzione di· responsabilità: "l'amicizia, il sesso, le arti e le scienze, la fede, tirare su bambini con gli occhi splendenti, avere l'aria e l'acqua pulite ....": le "cosepiù importanti dell'esistenza" (p. 165) in ogni caso dipendono da noi. Non lamentiamoci. Diamoci da fare. Ma Individuo e comunità è soprattutto la storia di una vita. Il riassunto - parziale, provvisorio - di un'avventura umana interessante; il (frammentario) racconto di una vicenda molto singolare. Goodman doveva essere una "bella" persona. Si dice spesso che gli anarchici sono strani, che vivono in mondo tutto loro, che non sanno stare con i piedi per terra. Può essere vero. Ma Goodman era probabilmente troppo inquieto, troppo curioso degli altri e del presente per augurarsi di vivere in un mondo diverso da quello - spiacevole, confuso - che gli era capitato di avere in sorte ("l'altro mondo è questo", ha giustamente osservato Serge Daney). A modo suo, Goodman restava sempre coi piedi per terra. Mentre in molti vagheggiavano una rottura assoluta o il Grande Rifiuto, la fine dei tempi o l'improbabile genesi di un'Esistenza (definitivamente) Pacificata, Goodman insisteva su un altro modo di
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