La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 13 - marzo 1996

MODELLI Paul Goodman, "anarchico conservatore" Vittorio Giacopini "Il carattere si forma dai nostri comportamenti. Se facciamo cose che non ci interessano alla fine stiamo male". I saggi, le invettive, gli articoli di Paul Goodman pubblicati da Eleuthera (Individuo ecomunità, 26.000 lire) possono anche essere letti come una specie di strana confessione o di diario in pubblico; come una lunga, molto sincera, affas ci n ante autobiografia mentale. Individuo e comunità non è la storia di una persona "facile". Discusso guru del Movimento degli anni sessanta, autore di un famoso saggio che avviò il nuovo dibattito sulla condizione giovanile (la Gioventù assurda, Einaudi 1964, più volte ristampato), Paul Goodman aveva molti interessi e infinite passioni teoriche e civili. Anarchico "conservatore", psicologo, romanziere edificante, urbanista, sociologo libertario, "negro" omosessuale, Goodman ha speso in effetti tutta una vita, un'intera esistenza di battaglie teoriche e politiche, di brevi polemiche, di allegre provocazioni fulminanti, semplicemente a tracciare un limite (Drawing the Line è anche il titolo di uno dei saggi più forti e più belli del libro); a cercare testardamente di capire come sia ancora possibile mantenersi liberi, parzialmente innocenti, coerentemente autonomi e indipendenti in un universo violento e conformista; nel contesto appannato e scialbo dei rituali, delle fissazioni, delle gerarchie obbligate di una Società "mista", ambiguamente indecisa nel guado limaccioso che separa la "natura" dalla "coercizione"(p. 36), il dominio dalla libertà. W. H. Auden ha evocato una volta "l'anarchico nascosto in ciascuno di noi", "l'anarchico autentico e assennato". Paul Goodman è stato forse per prima cosa un anarchico serio e intelli$ente. Un grande pensatore libertario. Individuo e comunità restituisce molto bene il senso di questa opzione politica e morale, lo spessore di questa vocazione esistenziale. Tracciare un limite, disegnare il profilo di una linea; imparare a capire sempre dove si colloca quel confine incerto "al di là del quale non siamo più disposti a collaborare"(p. 129); Saper anche decidere quando dire di "no". La visione anarchica di Goodman non ha niente di dottrinario, di ottusamente statico o ideologico. Sempre molto legata a scelte, alternati ve, spericolate e ardue scommesse personali, l'anarchia non si fissa mai in uno "stato di cose permamente" (p. 125), in un Sistema oppure nella Storia. Difficile, estremistica, "ipotesi psicosociologica", singolare modello di "esame di coscienza", piccola, utilissima, "angoscia purgatoriale", l'anarchia vive soltanto nel corso mobile e inarrestabile del tempo: "è un continuo misurarsi con una nuova situazione, una vi$ilanza continua", uno stile d1 vita e di pensiero. Ostile per istinto a ogni dogmatismo - alle certezze dell'ideologia, alle fumisterie del pensiero utopico - Goodman vede nell'anarchia per prima cosa un modo di ~ssere e di fare; un esercizio permanente dell'intelligenza, un'essenziale forma di attenzione. Per Goodman, questo fatto di stare attenti è molto importante. Può sembrare scontato. Ma quando siamo distratti la Società si insinua dentro di noi, ci plasma, ci rende stupidamente docili o banali (o - è ovvio - anche inutilmente aggressivi e diffidenti). Così dobbiamo reagire; spesso da soli, sempre - comunque - in termini strettamente personali: "il solo modo per mutare l'atmosfera attuale è spezzare le consuetudini, specie quell'atteggiamento difensivo che consiste nel dire che non si può fare niente e nel ritirarsi nel conformismo e nell'isolamento"(p. 77). Goodman pensava in effetti che ci fosse sempre qualcosa "da fare"; che fosse sempre possibile cambiare (in meglio). Le accuse di "riformismo", di scarsa radicalità, di moderazione, tutto sommato non lo scomponevano. Il "libertario" - replicava - " non ha lo sguardo rivolto verso un futuro stato di cose" (p. 130). Vive, lavora e - quando serve - lotta, profondamente immerso nel presente. Goodman non condivideva la filosofia della storia, il fatalismo dialettico, il culto .masochistico della Necessità (la logica del "tanto peggio, tanto meglio") di molti attivisti, di molti poli tic i e cri tic i sociali che come lui scorgevano nei luccicanti meandri della società opulenta, nei riti del consumo e della scienza, le prime avvisaglie di ·un nuovo, pesante, modello di oppressione. Incorreggibile "scettico erasmiano" (p. 225) cocciutamente allergico all"'utopismo scientifico", al lenismo inconsapevole, al rigido linguaggio politico di molte frange - quelle più "forti", quelle più organizzate - del Movimento, Goodman recuperava piuttosto in senso libertario la sobri a lezione "morale" del pragmatismo, la sua insolita, tenace, voglia di fare. "I pragmatisti aggiungevano valore, soprattutto nelle faccende quotidiane"(p. 97). Davanti alla svolta marxista o neofunzionalista delle scienze sociali (e dei comportamenti collettivi), Goodman preferiva indicare un'alternativa meno totalizzante, meno arrogante, ma certamente molto più esigente nei confronti del proprio modo di stare, oggi, nel mondo, di vivere - criticamente - nel presente. Non si tratta di fare un "grande balzo in avanti" (se non nella propria esistenza personale). L'infinito gioco di pazienza che l'anarchismo pragmatico di Goodman sceglie invece di sperimentare delinea anche una strategia della presenza, un tipo di sguardo sulle cose, un punto di vista molto differenti. Forse, si tratta ancora una volta di attenzione: "dimostrare come i mezzi definiscano e diano colore ai fini, scoprire il valore nelle operazioni e nei materiali, dare di-

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