La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 13 - marzo 1996

ricreazione una "bestemmia del tempo", "vi siete divertiti?" è addirittura una "domanda pornografica". Non si tratta di una critica paragonabile, per esempio, alle condanne dell'edonismo reaganiano degli anni '80: da questa requisitoria, ben più profonda e radicale di quelle in voga dieci anni fa, escono malconce le abitudini sociali e lo stile di vita per lo meno degli ultimi cinquantanni. Ma di quale Italia parlava don Milani alla metà degli anni 'SO? Era, il paese di cui scrive don Milani, quello che faticosamente si liberava dalla miseria dell'immediato dopoguerra e, al ritmo della musica dei primi juke box, si avviava verso il miracolo economico. Era l'Italia delle prime tv, dei flipper, dei film americani e del rock & roll, della triade - come scrive Paul Ginsborg - "cattolicesimo, americanismo, fordismo". Don Milani, prete integralista ma proprio per questo non integrato, isolando il primo termine dagli altri due, rompe la compattezza dell'ideologia dominante, individua un reale terreno di scontro con il potere e pone un discrimine tra progressisti conformisti e conservatori reni tenti a fare gli alfieri del- !' Avvenire. Con l'opera di don Milani non ci troviamo di fronte a un nuovo Sillabo, a una rinnovata dimostrazione della cronica arretratezza della chiesa italiana perché, paradossalmente, in questi anni di cambiamenti è proprio l'atteggiamento tradizionalista ad apparire, in prospettiva, rivoluzionario. Come Pasolini, come Chiaromonte, come Adorno - anche se in altro contesto - don Milani non si preoccupa di apparire inattuale e non esita a indicare la pericolosità della mutazione antropologica a cui allegramente stava andando incontro la società civile italiana. Don Milani vedeva che il vento di un americanismo agnostico stava omologando tutto e tutti, atei e credenti, comunisti e cattolici, non più riconoscibili in base alle scelte e all'impegno, ma solo dagli atteggiamenti, dalle frequentazioni e dalle divise. Il Pepp one e il don Camilla di Guareschi ne sono l'esempio ormai classico: un po' più ottuso e accecato dall'ideologia l'uno, più saggio l'altro, ma comunque entrambe furbi e YQQ scaltri, a proprio agio con una modernità che nessuno più osa mettere in discussione. Invece, fer don Milani, "accettare i tono della società in cui viviamo" significa "rinunciare a dare un tono al mondo". Quando poi il soggetto in questione è un prete che, per compiacere i fedeli, si riduce a un "continuo giocare al margine della moralità", allora la cosa si fa veramente seria. Non si può essere un po' morali, con la scusa che è necessari tenersi aggiornati. "L'uomo di Dio" deve essere "un uomo diverso dagli altri, un uomo che valuta con un metro con cui nessuno valuta. Che stima ciò che disprezzano gli altri e disprezza ciò che ognuno stima". Così, con questo stile prescrittivo, definitivo e definitorio, don Milani delinea il proprio compito di prete, maestro, educatore, adulto responsabile che vuole essere per gli altri - e soprattutto per i giovani - un punto di riferimento saldo e non ambiguo. La "ricreazione" contro la quale merita accanirsi con tanto impegno è il tempo libero o meglio il tempo vuoto e tuttavia organizzato sui ritmi del consumo. Ecco che il lavoro e soprattutto lo studio diventano baluardi contro la coercizione di questo vuoto organizzato, week end dello spirito e vacanza del'intelligenza. Dieci anni dopo, Nicola Chiaromonte avrebbe guardato, a posteriori, a quella vita fagocitata dalla "ricreazione" con il medesimo sdegno - forse però con un maggiore rassegnazione - di cui grondano le pagine di don Milani. Nel 1964 Chiaromonte scriveva nei suoi Taccuni: "La società opulenta - the affluent society - offre come scopo della vita il divertissement pascaliano, ossia la "diversione" da quelli che sempre furono i problemi dell'uomo. Il divertissement tuttavia è da conquistare a prezzo di un assoggettamento completo alle esigenze del meccanismo sociale". Quel che ne consegue è un mondo di consumatori isolati, senza più la coscienza del vincolo sociale che li lega. Nei primi anni '70 il Pasolini corsaro e luterano faceva delle osservazioni molto simili quando parlava della scomparsa delle periferie e dello strapotere del Centro, della vecchia e autoritaria chiesa che, ormai inutile al potere, in qualche caso diventava antagonista all'ideologia dominante, dei giovani cappelloni e conformisti, del consumismo dilagante e appiattente ... Quel che è straordinario di questo prete di campagna è la sua capacità di anticipare, nei primi anni '50, senza le ardite elaborazioni teoriche della Scuola di Francoforte, senza gli strumenti filosofici e ideologici della sinistra, quella critica del Potere, del Mercato, del Consumo che sarebbe diventata il leit motiv della seconda metà degli anni '60. Religioso e classista, integralista e insofferente del potere, fedele alla chiesa e ribelle, don Milani comprende i processi socio economici in atto grazie ali' esperienza e al suo spirito di osservazione, esercitato nel contatto quotidiano con allievi e parrocchiani. Come ha scritto Michael Walzer, il vero critico sociale non è il misantropo che si rinchiude nella torre d'avorio della teoria, ma colui che sa utilizzare le proprie armi intellettuali insieme a quella percezione sociologica che può derivare solo dalla prossimità e dalla militanza. Chi vede in don Milani l'oscurantista reazionario e antimoderno, chi si fa sviare dall'estremismo delle sue affermazioni, finisce per stare al gioco dei sacerdoti del progresso ad oltranza. Evangelicamente, i precetti morali possono essere interpretati alla lettera o secondo lo spirito. Nel caso di don Milani chi enfatizza la lettera cerca solo un pretesto per negare le potenzialità dirompenti dello spirito. ♦

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