"La terra": un anno di vita GoffredoFofi Questo numero di "La terra vista dalla luna" sarà distribuito a ridosso delle elezioni, in piena campagna elettorale. Non vogliamo essere disfattisti, e vogliamo riaffermare una collocazione, per quanto generica, all'interno di uno "schieramento" ormai così variegato che comprende di tutto (e che porterà, in caso di una vittoria di centro-sinistra che ovviamente auspichiamo, alla continuazione di un tipo di governo affidato al padronato di sempre, ai potentati finanziari, e in parte secondaria e condizionata a vecchi gruppi politici di una sinistra rinnovata a metà). Tutto è cambiato? Mah. I dati di fondo di una situazione, che prima ancora che politica è sociale e culturale, sono assai preoccupanti e il paese Italia ci appare sempre meno amabile, sempre più amorale nei suoi comportamenti, nelle sue scelte, nelle sue chiacchiere (il cui punto più basso e più risibile è risultato a chi scrive il dialogo tra Scalfari ed Agnelli su una "Repubblica" di qualche settimana fa). Con questo numero "La terra vista dalla luna" entra nel suo secondo anno di vita, e un consuntivo, per quanto provvisorio, si impone. Rileggo il breve scritto con cui introducevo il numero uno nel febbraio dello scorso anno, e mi pare che i compiti che ci eravamo assegnati siano stati in sostanza rispettati. Altri nuovi ne sono insorti nel frattem ~o, e hanno avuto una parziale, iniziale risposta. Prima di tutto occorre però indicare le nostre debolezze, le nostre fragilità. Non vorremmo essere piagnoni e lamentosi - direttori, redattori, collaboratori - e riversare sul "pubblico" quelle che possono essere state e forse sono state le nostre inadeguatezze e mancanze (organizzative, per cominciare, ma anY.QQ che di chiarezza di propositi e di "tattica" dei comportamenti), ma certamente la risposta che la rivista ha avuto, trovando i lettori cui aspirava e ai cui bisogni - espressi o inespressi, coscienti o non - intendeva rispondere, è stata relativamente scarsa. I lettori che, agenti nel "sociale" come operatori o volontari, siano davvero interessati al "sociale" altro che il loro e si dimostrino bisognosi di riflessioni, informazioni, conoscenze che non appartengono solo al loro settore di intervento, sembrano essere poco numerosi - anche se è consistente la minoranza che ci ha seguito in questo primo anno di vita. Abbiamo constatato più in generale, entrando in contatto anche con "mondi" che non conoscevamo, con settori di intervento con i quali prima non avevamo rapporti diretti, che il "sociale", se così si può dire, esprime ahinoi lo stesso tipo di difetti che il "f olitico", l' "assistenziale", i "privato": molta presunzione, molta autodifesa dei propri spazi (e in alcuni casi dei propri privilegi), molta paura di doversi mettere in discussione assieme ad altri d'altri campi che pure condividono le loro medesime istanze di fondo, molta approssimazione teorica e metodologica, una esasperata e trista autoreferenzialità. Il "protagonismo di massa" degli anni Settanta si è rovesciato dunque, anche nel "sociale", nel "narcisismo di massa"? Sembrerebbe proprio di sì. Il vecchio e il "normale" (cioè i difetti abituali della nostra società che sappiamo accresciuti a dismisura dalla corruzione e dalle complicità degli anni Ottanta) nelle organizzazioni del sociale, istituzionali, istituzionalizzate, nazionali, locali, volontaristiche, eccetera, sembrano essere altrettanto presenti che in ogni altro settore, e i membri di questo "sociale" non sempre sembrano essere particolarmente migliori degli altri comuni cittadini. Anche nella minoranza attiva che si dedica all'intervento sociale esistono dunque, è una conclusione a cui è plausibile arrivare, una maggioranza e una minoranza, esistono logiche simili a quelle di tutta la società italiana di oggi e logiche che invece ne sfuggono e che riguardano però una parte ridotta di questa vasta, e crescente, minoranza attiva che forse, nella sua massa, va rapidamente perdendo la sua connotazione di minoranza, e aspira decisamente a inglobarsi nel resto, a diventare come il resto. È altresì evidente che noi, con le nostre miserrime forze (nessuno di noi, salvo una segretaria a metà tempo, è pagato per fare questa rivista: lo diciamo senza particolari orgogli, ma va tuttavia detto, perché anche questa è una differenza), non siamo in grado di raggiungere quella parte delle minoranze che più ci interessa, e che potrebbe trovare nella rivista un referente serio, un luogo di confronti e magari di scoperte, e una più vasta "cassa di risonanza" per i p_ropr_i~r<;>blemi,per le pr<?- pne m1z1at1ve,per le proprie idee. Per farlo occorrono, ci si dice, denari, e cioè pubblicità; o passaggi televisivi di qual-· cuno di noi, per esempio, e amicizie e solidarietà nei grandi media - e sono cose che ci mancano tutte, in gran parte per nostre specifiche incapacità, in gran parte perché i grandi mezzi di comunicazione non sono interessati a noi, mentre lo sono, magari, per ovvie consonanze, a riviste che si proclamano e di fatto sono molto più "liberal" di noi, ostinati "radicals" vuoi un po' "stupidi" (non ingenui, proprio stupidi, e questo può essere una colpa), vuoi un po' "aristocratici". Noi non siamo stati in grado di far circolare di più la rivista e di farla conoscere di più, per ragioni obiettive e per ragioni soggettive. Dall'altra parte, se non sono arrivati lettori in numero sufficiente a garantire la vita "normale" della rivista (stipendi, pubblicità eccetera) è davvero soltanto per nostra incapacità a farci conoscere, o non è anche per una opacità e ottusità
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==