La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 13 - marzo 1996

damento divino; non di un'etica come manifestazione assoluta del bene. Proviamo infine a partire dall'idea di Dio come buono, come benevolmente e sommamente generoso. Come non essere legati a Lui dal dovere di gratitudine? Questa motivazione è valida, ma non è fondante dell'etica cometale. Dire che mi lega a Dio il dovere della gratitudine, significa supf>orre che già esista il dovere come tale, di cui la gratitudine è un settore e Dio un oggetto: il più munifico dei benefattori e dunque il più alto dei destinatari della gratitudine. Ma chi fonda la gratitudine come dovere, chi la trasforma da bel gesto a vincolo incondizionato? Dunque, l'etica non pane da un'idea di Dio che il soggetto possegga preliminarmente. Questo non vuol dire che essa non sia fondata sulla presenza viva di Dio nella coscienza umana; ma tale presenza, riconosciuta in una prospettiva di fede, non ha bisogno di esserlo da parte del soggetto etico come tale. b) Ma lo stesso vale dall'altra parte e cioè quando, in nome dell'autonomia del soggetto etico, si dice: "non f>Ossiamoobbedire ad una autorità esterna, l'istanza etica è dentro di noi": la Ragione, l'Io, la Storia, la Società, l'Essere... Ora, se è vero che l'istanza etica è dentro di noi, è altrettanto vero che essa è "fuori di noi"; l'istanza etica, quel qualcosa per cui uno sente di dover agire in un certo modo, è insieme dentro e fuori di noi, immanente e trascendente. Alla coscienza etica sono necessari due poli: da un lato sono io come volontà, come libertà e capacità progettuale, dall'altra è l'istanza del dover essere nella sua presa su di me, qualunque sia il nome che le conferisco. Ma allora ritorna la domanda: la Ragione (o la Storia, o l'Essere ...) devono essere conosciuti anteriormente per poter poi convalidare l'imperativo morale? Ma non si ritrova qui l'im{'ossibilità già denunciata nei confronti dell'idea di Dio? Perché dovrei obbedire alla Ragione e vivere in conformità ad essa? O ascoltare la voce dell'Essere, o agire in sintonia con la Natura o con le leggi della Storia? Per quanto alti siano questi ideali, non lo sono più di quanto lo è l'idea di Dio. Come posso da essi dedurre il dover essere? Si dirà èhe "è giusto" vivere secondo la Natura, consentire alla Ragione, ecc.; ma, ancora una volta, quest'affermazione presuppoillJ.QJ:i.J. ne che già si conosca l'istanza del "giusto", del "doveroso", e la si applichi a un certo modello di vita (secondo Ragione o Natura o altro, appunto) negandolo ad altri modelli. Ma da dove viene quell'istanza? c) A me pare che non si possa dedurre da nulla il fatto della coscienza etica, poiché essa è un'esperienza e dunque strutturalmente una conoscenzaprima, di quelle che non hanno né possono avere altro alle spalle. Il costitutivo dell'eticità non è il riferimento a un'idea religiosa o filosofica: il costitutivo dell'eticità è l'esperienza che la mia vita non mi appartiene, che non ne posso disporre, che il mio agire non è ad libitum, non riceve il proprio senso ultimo, la propria positività, dalle mie scelte, ma che viceversa queste sono vincolate a un'istanza che è la condizione assoluta della loro positività. Questo carattere di esperienza e, quindi, di originarietà riguarda sia la forma dell'eticità, il sentimento del dover essere, sia i suoi contenuti principali: per esempio il fatto che non posso disporre della vita altrui ("non uccidere"), che anzi la vita umana ha valore "sacro" (di qui anche il carattere di valore etico e spesso magico legato sia al sangue sia alla sessualità, per la sua relazione con l'inizio della vita). Queste convinzioni, per quanto assumano configurazioni diverse a seconda delle culture, non vengono ultimamente da un calcolo razionale né da una rivelazione positiva, né da un'idea filosofica di Dio, di uomo o di cosmo; nascono da dentro, certo anche in forza dei bisogni vitali e della loro affermazione, ma con un sovrappiù di intenzionalità che è precisamente la loro caratura etica. Chiamo questa originarietà dell'etica nuova laicità, sia rispetto a una visione di etica fondata sulla religione, sia rispetto ad una visione di etica laica, cioè - nell'accezione tradizionale del termine - fondata sulla ragione, sull'idea di natura, insomma fondata filosoficamente. d) Le considerazioni appena svolte non significano che il rapporto etica-religione o quello etica-ragione vadano buttati alle ortiche come irrilevanti. Significano invece che religione e/o ragione, in luogo di essere il fondamento della vita etica, ne sono la denominazione spontanea, sono un'in~erpretazione dell'esperienza etica. Un'interpretazione non necessariamente postuma, ma che può anche es-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==