RIDEFINIRE LA LAICITA' Armido Rizzi Armido Rizzi, teologo, dirige il Centro Sant'Apollinare. Ha recentemente pubblicato La carità, Edizioni Cultura dellapace 1995. ♦ Le pagine che seguono sono parte di un testo più ampio (" Quaderni di Sant' Apollinare"n. 42, Fiesole) in cui sono state trascritte le conversazioni di un seminario sulla laicità. Nel testo vengono condotte sia una breve indagine semantica sia una rapida analisi storica dell'idea di "laico" (nella tradizione prima cristiana e poi moderna); dove appare che il punto di convergenza delle diverse accezioni è la definizione in negativo: laico è detto di volta in volta in opposizione a sacerdote/religioso, a credente, a ideologico ... Ma, mentre nella tradizione cristiana questo carattere di opposizione e di sottrazione comporta anche una svalutazione dello stato di vita laicale, nella modernità il giudizio si capovolge: il termine dotato di valenza negativa è fede e/o ideologia, mentre laicità diventa sinonimo di razionalità, e rivendica perciò il diritto esclusivo all'universalità e alla pubblicità, relegando il religioso (e le sue mimesi secolarizzate) nell'ambito del particolare e del privato. In queste pagine si tenta di ridefinire in positivo la laicità come costituzione del soggetto etico, anteriore alla distinzione tra religioso e "laico" (nell'accezione tradizionale), e di situare in rapporto ad essa queste due posizioni (e le loro differenziazioni interne) come momenti interpretativi invece che, secondo le rispettive pretese abituali, come momenti fondativi. Il testo mantiene il carattere parlato, con le inevitabili sbavature che questo comporta; il lettore è pregato di tenerne conto. Per una ridefinizione della laicità Per ricostruire un'etica comune bisogna trovare una base di principi e di valori che, da un lato, non si identifichino semplicemente con le leggi dello Stato ma ridisegnino un costume, uno stile di vita; dall'altro, non contrappongano etica religiosa ed etica laica, ma ne colgano e raccolgano - o ne riscopr?rno - gli elementi condivisibili da ambedue le prospettive. Chiamo questa comune base etica nuova laicità. Intendo con questa formula la posizione del soggetto umano in quanto soggetto etico, strutturalmente anteriore alla distinzione tra coscienza fondata sulla fede e coscienza fondata sulla ragione. Dicendo "strutturalmente anteriore" voglio sottolineare che non si tratta di una soggettività che esista al di fuori di una certa concezione religiosa o razionale, e possa poi eventualmente rivestirsene; la coscienza etica non esiste prima della motivazione di fede o di ragione ma dentro di essa, e tuttavia non trova in fede o ragione la propria fondazione ma il proprio involucro linguistico, il mondo entro cui capirsi. Può essere illuminante l'analogia con la concezione del laico all'interno della chiesa: il punto d'arrivo della ecclesiologia contempranea concepisce il laico non più come una parte della comunità ecclesiale (la parte non clericale e non monastica) ma come la condizione cristiana in quanto tale, qualificata dal battesimo. Così, analogamente, la "nuova laicità" non è la parte non credente dell'umanità ma l'intera comunità umana in quanto soggetto etico, di cui credenti e "laici" (nell'accezione tradizionale) sono le figure alternative. Mantenere il termine di laicità ha più d'una ragione: anzitutto, quella di ricuperare nella sua accezione più ampia il laòs, intendendolo ormai come il popolo di tutti i soggetti responsabili, come la qualificazione etica degli umani; e poi, mettere in luce come, all'interno di questa laicità veramente universale, vi possano essere soltanto posizioni "di parte", cioè prospettive particolari sull'universale; siano, tali prospettive, legate a una fede religiosa, siano invece legate a una visione filosofica o scientifica. Chiamo dunque laicità il carattere originario del soggetto etico; originario vuol dire non deducibile da altro, che si dà come un primum, dal quale si può soltanto partire e a cui non si potrebbe arrivare partendo da altro. Autonomia del soggetto etico a) Partiamo dal rapporto tra la dimensione etica del soggetto e la dimensione religiosa. Parlare di autonomia del soggetto etico significa qui affermare che non c'è bisogno di un previo riconoscimento di Dio per fondare la validità degli imperativi etici: né del riconoscimento religioso né, tanto meno, di un'idea filosofica di Dio. Non c'è bisogno che l'uomo abbia quel rapporto con Dio che è il rapporto religioso perché la coscienza etica sia valida, cioè il soggetto sia motivato ad agire in maniera eticamente positiva; con il Vaticano II si può dire: Dio parla nella coscienza anche di coloro che non lo conoscono o riconoscono religiosamente. Ancor meno, dicevo, c'è bisogno di un'idea di Dio; né sarebbe possibile, a partire da quest'idea, derivare l'imperativo etico dell'agire umano. Da quale idea di Diò dovrei infatti partire? Dalla sua potenza? Ma la potenza di Dio è un attributo extra etico; come potrebbe allora fondare l'agire etico? Si può avere paura del Dio potente, della sua sanzione ineludibile; ma l'etica non è basata sulla paura della sanzione; può esserne, al più, accompagnata. Partire dall'intellisenza divina? Poiché Dio è sommamente intelligente e razionale, e d'altra parte le sue ragioni sono troppo alte per essere capite, obbedirgli è come partecipare a questa sua superiore razionalità. In fondo, è quello che si fa con i bambini: non potendo essi comprendere le ragioni intriseche dei comportamenti buoni, si impongono loro questi comportamenti in nome di un'obbedienza che non si discute. Pur riconoscendo a questo tipo di motivazione un alto valore, non mi pare che si tratti ancora di valore propriamente etico. Si tratta di accortezza, di saggezza, non di bontà morale; si tratta di un'etica nobilmente condizionale: se vuoi essere saggio, segui il comanLEZIONI
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