La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 12 - febbraio 1996

stesso, "non riesce a essere infelice", non riesce cioè a non vedere o a non immaginare, pur nella visione atterrita degli orrori che ci circondano, vie d'uscita, elementi incoraggianti e posi_tivinel proprio tempo. Per dirla con Calvino "cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno" e Calvino è certamente uno dei nomi che subito vengon'o alla mente leggendo il libro, uno dei nomi che Benni deve avere avuto presente mentre attuava questa sua sorta di risposta "ariostesca" all'omologazione: una delle prove che i protagonisti devono compiere per salvare la propria periferica contea dalla omologazione del Zentrum consiste nel ritrovare il senno di-Elianto, e l'inizio del libro è proprio da Cosmicomica. Eppure se nel Calvino ariostesco e cosmicomico c'era ancora una vena di ottimismo neocapitalista, in Benni lo stato d'animo è più quello della resistenza attiva ma disperata, e c'è al fondo una tristezza a cui l'immaginazione scatenata non è che una reazione. Nel vertiginoso avanzare del romanzo, poi, s1 incuneano schegge di dolori sconcertanti, quasi grida di rabmorbo può diventare fecondo, può aiutare a salvarci e a salvare gli altri, proprio_ perché è il sintomo di una ribellione globale. Benni sembra convinto che perfino all'interno del male si trovino gli elementi di riscatto, che la storia e la società producano nonostante tutto degli anticorpi e che paradossalmente siano le giovani generazioni, quelle che non hanno mai conosciuto altro che la compatta omologazione del Zentrum e il trionfo delle maggioranze, ad avere più possibilità di sopravvivere senza disumanizzarsi, ad avere meno illusioni sul presente e forse più ipotesi sul futuro. Certo, niente di più lontano da Benni dell'apologia del consumo creativo, anzi in un passo egli ci regala una delle satire più pungenti delle idee di riciclaggio o rielaborazione camp-post-moderna: lo scimmione Rangutan presenta a tre personaggi un ricco e un variegato menù, che è però in realtà composto esclusivamente di cibi 111 scatola per animali, cucinati in tutte le più bia, come nell'episodio, di alta retorica, in cui la tru- -=..:::::-~-=-~· ::=cs;;~S<:~-~--· cida cuoca Persefone, riciclatrice di ogni tipo di scorie a fini alimentari, avvisa i tre eroi, tre intrepidi combattenti bambini delle periferie alla Mad Max, di stare attenti - perfino loro irriducili marginali non riconciliati - al "virus velenoso" che potrebbe cambiarli nel loro crescere e renderli inoffensivi, respingendoli del tutto ai margini o assimilandoli. Nella visione in avanti di Persefone appare la povera Boccadimiele su una panchina, "si è messa nel sangue un frutto amaro, una spada affilata di crack talvin eroina"; Iri (che per tutto il libro ha seguito l'avventura con una videocamera) diventa una regista celebre che ha cominciato raccontando la propria emarginazione ma adesso è sola e triste, e in una lussuosa camera d'albergo si uccide di disperazione; Rangio il teppistello, "è un omaccio robusto che sa farsi valere, tutti lo mettevano da parte e lui è diventato un duro", ha una signora moglie e una signora macchina e quando incontra i teppistelli di quartiere gli spara addosso. È quest'ultima una della parti più sorf rendenti e raggelanti del libro, in cui anche i tono da frenetico videogioco cambia improvvisamente verso un vibrante patetismo, degno di un Dickens anarchico e post-atomico. Anche lo slancio utopico è in fondo assai ambiguo, e su questa ambiguità Benni gioca molto. In Elianto, l?er esempio, è assai più presente che negli altn lavori dell'autore una vena ipocondriaca e nevrotica, e anzi il romanzo è esf licita mente una riflessione sulla malattia, su malessere e il rifiuto della società che possono farsi fisici, corporali. La malattia è per Benni il segno di una ribellione, ma è anche bella di per sé, pericolosamente seducente. Il personaggio che dà il titolo al libro deve essere risvegliato dal coma di una strana malattia, il "morbo dolce", o "morbo solitario", per salvare la propria contea dall'invadenza del Zentrum. E quanti di noi non hanno sentito qualche volta il fascino del "morbo dolce", di lasciarsi vivere o negarsi al mondo? Pure, ci dice Benni, se attraversato e digerito questo dolce raffinate salse (Slade de viande Retour de Lassie, Delice de Minet alla Manet, Kitkat alla magrebina). Ma, cucinalo come vuoi, sempre cibo in scatola per cani è. · Semmai, l'ambigua utopia reificata di Benni si può avvicinare a quella di certi scrittori di più nera e radicale visionarietà, Ballard o soprattutto Philip K. Dick di Ubik, in cui non sai se la Sul?er-Merce può neutralizzare le altre merci o finirti e comunque non c'è via d'uscita al mondo alienato. L'inguaribile ottimismo di Benni si esprime piuttosto nel valore eversivo dato all'immaginazione e alla fantasia (il che significa anche, con molta umiltà, all'arte). Pur nutrendosi di scarti e aggirandosi tra le macerie, è possibile e anzi necessario per Benni non rinunciare alla creatività e perfino ai miti e crearsene di buoni perché tra i miti, anche quelli prodotti daWindustria culturale, si può trovare l'energia per tradurre in rivolta cosciente le energie masochistiche del "dolce morbo". Benni immagina uno di questi miti di ribellione, che si autoconsumano e però hanno un fondo di verità che li rende non com1letamente di~eribili dalle maggioranze: è il c 1itarrista Snadhand Slim, bluesman maledetto e dionisiaco che accompagna con le sue ballate la disperata ricerca del senno di Elianto. Quando infine Elianto, già più volte visitato in sogno dai suoi salvatori, ha bevuto il proprio senno, si chiede "E se avessi sognato tutto?" Gli viene risposto: "Se avessi immaginato tutto, saresti comunque guarito". Troppo facile, magari, ma non si può dire che l'idea di Benni non sia chiara e condivisibile: l'immaginazione è nemica del potere, e anche quando questa immaginazione si nutre di rimasugli e falsità. E compito di tutti gli ammalati di "dolce morbo" è risvegliarla, coltivarla e darle spago, perché non si avverino poi le tristi profezie di Persefone, e non ci si trovi del tutto ai margini né inghiottiti dal Zentrum. ♦ SUOLEDI VENTO

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