La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 12 - febbraio 1996

della parola, e c'è stata una Convenzione per cui noi paghiamo un affitto simbolico per questo s.eazio che ci è stato dato in concessione. Paghiamo noi le bollette con i soldi che tiriamo fuori dalle varie iniziative. Quest'anno abbiamo pure costruito una caldaia che ci consente di stare qui anche d'inverno senza diventare dei pezzetti di ghiaccio" I centri sociali sono spesso accusati di essere nicchia per emarginati. Di fronte all'insresso laterale del Pedro c'è scritto a caratten cubitali: uscire dal ghetto. Pietro se ne assume la responsabilità ideale. "Se il ghetto è inteso come posto per emarginati, qui non è così. lo personalmente mi sento a contatto con gente che mi fa sentire fuori dalla normalità che vedo altrove. La normalità di altrove è un ghetto perché è fatta di tante pedine che si muovono alla stessa maniera, in un assoluto appiattimento di quella che è la propria capacità di decidere." La visita vera e propria dura poco perché gli spazi architettonici sono essenziali. Dopo la grande sala concerti c'è l'aula di italiano e una segreteria con tanto di collegamento Internet. Nella parte centrale dell'edificio, un forno a legna per pizze cambia la scenografia: è rigorosamente autocostruito ed è pensato per una dieta che sia vegetariana. In fondo, superata la pizzeria, c'è "l'unità di crisi". Pietro illustra divertito che cosa si nasconde dietro questo bizzarro nome. "È il gioiellino, è la parte più lussuosa del centro sociale. C'è un altro bar, con im.eianto musicale indipendente dalla sala concerti, c'è il calcetto per chi vuole giocare. Le sculture alle pareti sono dell'artista Morgen, sono opere cyberpunk fatte con materiale di rec~pero. Sul soppalco c'è una cosa nuova: un cofjee-shop occupato. Noi ~rediamo nella liberalizzazione delle droghe leggere e quindi abbiamo deciso di dare un taglio al proibizionismo. Molta gente accetta l'alcol che è una sostanza tanto pesante quanto marijuana e hashish, se non di più. Eppure quelle stesse persone magari sono contro le droghe leggere". Effettivamente il soppalco ha un'aria di intimità, con poltrone in pelle e cartelli ai muri con la scritta: non bere alcolici. Il bar in linea d'aria, àl piano di sotto, dista quattro metri. Del resto è una caratteristica propria dei centri sociali ricercare una coerenza a tutti i costi, nelle differenze da una stanza all'altra, anche dal bar al soppalço. Calcetto, canne, birra e musica. Attività, tante: metà creative metà politiche. Questo è il contenuto della bolla di sapone. Oltre il fastidio per la musica ad alto volume, che cosa s_paventa i vicini di questo particolare tipo di ntrovo? Murales colorati, treccine colorate, motorini colorati. Niente eroina, niente armi se non nei manifesti inneggianti al sub-comandante Marcos. Dirimpetto al Pedro c'è un deposito di carta da riciclare. Balle cuboidali bagnate, una sull'altra, e il rumore elettrico della macchina elevatrice. "L'ideale sarebbe avere le nostre case tutt'intorno al Pedro, così non disturberemmo nessuno" ha detto a un certo punto Lilith parlando dell'integrazione col quartiere. ♦ SUOLE DI VENTO ARTE E PARTE L'IMMAGINAZIONE E IL POTERE: SENNI ED ELIANTO Emiliano Morreale "Buongiorno cittadini della Nova Repubblica e siate maggioranza!". È questo il saluto che il mezzobusto Fido Passpass dà ogni mattina dai teleschermi, nel fornire agli abitanti di Tristalia la solita calibrata miscela di notizie allarmanti e rassicuranti, per tenere sotto controllo le paure e le speranze della po_polazione. È di maggioranze e minoranze che s1narra nei toni della fiaba e del racconto filosofico per tutto l'ultimo libro di Stefano Benni, Elianto (Feltrinelli, L. 28.000). Per questo, nonostante i media ne abbiano già discusso ampiamente, riteniamo di dover aggiungere qualcosa sull'ultimo lavoro dello scrittore bolognese. I temi di 9.uest'ultimo romanzo di Benni li sentiamo infatti particolarmente "nostri", sono quelli su cui continuiamo a interrogarci vedendovi un punto di partenza da cui ridiscutere l'attuale politica della sinistra. A Benni, da quel che si vede nel libro, una delle cose che fanno più paura nella società attuale è l'omologazione, la riduzione al silenzio delle voci fuori dal coro, la compattezza centralizzata del sistema (il Zentrum che nel romanzo è il luogo dove si prendono le decisioni e si irradia lo spettacolo in tutto il paese, è quasi una visualizzazione babilonica-bladerunneriana del Palazzo di Pasolini) e insieme la sua capillare pervasività. All'omologazione delle morali e del susta, come artisti si può rispondere in molti modi, con una gamma di modelli che va da Beckett a Vonnegut. Benni sceglie cioè di dare libero sfogo alla propria fantasia di favolista e di creatore iperbolico e visionario. Assai spesso, dal binario del racconto filosofico sw1ftiano il libro deraglia verso la fiaba o la farsa, attuando spesso un deciso recupero del basso-corporeo alla Rabelais (il libro è un continuo fuoco d'artificio di peti, rutti, erezioni ed eiaculazioni di insolita giocosità nella nostra repressa e sessuofobica letteratura, senza la volgarità abituale ai comici perché pensati con spirito infantile). Il fatto è, ci sembra, che per Benni minoranza è sinonimo di varietà, pluralità e vivacità di esperienze. La maggioranza è tutta uguale, compatta limacciosa tnste; le minoranze sono diversificate colorate mosse. Per questo molta parte dei lettori potrà essere tratta in inganno dalla superfice luccicante e dalla tenera fantasmagoria delle trovate, e il libro potrà anche passare all'interno della cultura italiana per un libro "buonista". Ma il "buonismo" di Benni è invece il contrario del "buonismo" dei politici attuali: è apertura e valorizzazione delle minoranze, ascolto e apologia della diversità, rifiuto quasi istintivo del pregiudizio e dell'intolleranza, uscita di sicurezza dall'omologazione. Insomma Benni, come Savinio diceva di se

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