mento si fortificano certi gruppi e matura l'esigenza di uno spazio per dare continuità alle lotte intraprese (successe la stessa cosa per Officina 99 dopo la Pantera). Fuori, a partire da quei ~iorni, uno spazio più grande lentamente si trasforma e in parte viene consuistato: at- . torno alla città universitaria si studia e ci si incontra come sempre, ma da più di un anno, ormai, le piazze del centro si riempiono anche di sera, si discute, si suona, aprono nuovi locali e si riconvertono i cinema a luci rosse; di giorno intanto i torpedoni scaricano su Spaccana poli colonne di pacifici tedeschi e nel week-end i napoletani dei quartieri alti calano meravigliati su una città che non conoscono; appaiono suonatori, mimi, saltimbanchi, artisti di strada e meno artistici questuanti, sulle bancarelle si vendono lunghe sciarpe fatte a mano e cibi biologici ... Le nuove occupazioni nascono a distanza di quache mese l'una dall'altra, in mezzo a tutte queste · cose. La loro storia si fa durante questi mesi, in questi luoghi che cambiano, nel centro della città, spesso anche "contro" alcuni aspetti di questo cambiamento. Officina e Tien'a ment hanno resistito a Gianturco e Soccavo. La loro ingombrante presenza nei "vuoti" della periferia è stata e continua a essere importante almeno quanto il lavoro più silenzioso delle associazioni di volontariato e di intervento sociale; i gruppi più consapevoli tra questi, laici ma quasi sempre di provenienza cattolica, hanno avviato da tempo una rete di collegamento e di scambio che gli consente di stimolare progetti e sollecitare interventi anche da parte della pubblica amministrazione. Sono gruppi strettamente legati a un territorio, a un quartiere, spesso consolidati da una lunga esperienza, che soprattutto in periferia nascono e hanno ragion d'essere. I nuovi centri sociali non sono più respinti in perifertia, nascono al centro e ci restano, posono farlo; si vive, si mangia, si dorme, si abita lì dentro; si continua a progettare iniziative politiche, si discute molto, si proiettano film, si presentano libri, nascono spettacoli teatrali e laboratori per lavorare il ferro o il vetro; i rapporti di vicinato sono più distesi e a volte di collaborazione; la scelta di un luogo di passaggio, sempre vivo, accessibile, dove sono più frequenti gli incontri, ed è più facile tessere una rete di rapporti, non è casuale, ed è forse la scelta più adatta per far crescere un centro di iniziativa politica e culturale. Un discorso a parte meritano i primi sei mesi (scadono il 25 febbraio) di occupazione del Dam, ancora pochi per dire quello che potrà diventare ma abbastanza per fare alcune considerazioni su cosa è stato finora e sulle questioni più generali che ha sollevato la sua presenza in città. Il centro vero e proprio ha sede in una palazzina ·di tre piani all'interno di un grande parco all'aperto piantato nel mezzo di Montesanto, popolare e popoloso quartiere del centro. Come per molte altre opere della ricostruzione post-terremoto i soldi sono finiti poco prima che la ditta incaricata completasse i lavori e il posto è stato immediatamentee abbandonato. Gli occupanti hanno reso accessibile al quartiere questo enorme spazio verde e si sono insediati nei tre piani dell'edificio, che era destinato a diventare un archivio. Qui adesso si avvicendano, nel corso della settimana, la palestra di boxe e il training autogeno, il teatro e il corso di aiki-do, i laboratori con i ragazzi e con le donne del quartiere. All'inizio era ancora possibile fare concerti all'aperto, e quello di Daniele Sepe, a ottobre, aveva coinvolto un pubblico finalment": misto, per età e provemenza - mentre d'inverno gli unici spettacoli._che si possono organizzare senza rovinare i rapporti con il vicinato sono i concerti acustici, il teatro, o serate come quella della domenica, con musica ambient, proiezioni di diapositive e spazi dove chiacchierare, leggere una rivista o prendere un tè. Chi ha deciso di stare nel Dam attraverso la proposta e la costruzione di un'iniziativa, di un percorso e soprattutto partecipando all'autogestione, spesso è stato attirato dal carattere aperto, dalle grandi potenzialità e forse anche dalla bellezza del luogo. Ma l'altra faccia di questa medaglia, cioè la mancanza di un gruppo lli======:=:::::=~forte che conferisca a un posto (occupato e da autogestione) un'identità precisa e riconosci~ bilità d;il di fuori, è stata l'instabilità, la ricerca a volte vana, sempre logorante, di un punto di vista comune, e poi l'amara constatazione che di fronte alla realtà di uno spazio liberato, aperto, ricettivo, nc,l cuore della città, una parte della città stessa, in molti da cui era lecito attendersi una presenza attiva, se non altro _perle parole spese a lamentare la mancanza di spazi, hanno preferito tacere e tenersi lontano piuttosto che assumersi finalmente delle responsabilità. Adesso l'identità del Dam oscilla ancora tra il centro sociale di quartiere e il laboratorio culturale, tra la non facile ricerca di un intervento incisivo sul territorio e il desiderio di sperimentare linguaggi e forme di espressione in uno spazio liberato, a prescindere dalla sua collocazione territoriale. Avendo in mente la prima ipotesi, in particolare con l'intenzione di costruire delle esperienze con le decine di ra$a2:zi1;1ic~e ~a:1no "invaso" il parco_ fin dai primi g10rm, si e creato un gruppo piuttosto SUOLE DI VENTO
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