La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 12 - febbraio 1996

metodo", anziché lasciarlo in balìa di se stesso, di manuali, appunti o ripetizioni. E poi quello che si apprende in università, çiopo tanta fatica, non c'entra niente con quello che è richiesto nel mondo del lavoro. La lentezza e l'irresponsabilità dello studio universitario non hanno equivalenti nel lavoro (e, direi proprio, nella vita), fuori dalle mura universitarie non ci sarà più un luogo in cui si concede tanto tempo per leggere, studiare, pensare. Bello o brutto che sia, sarebbe almeno giusto dirlo agli studenti, valorizzando così questi anni, facendone un prezioso periodo di formazione intellettuale e non il miraggio dell'adolescenza infinita. Invece no, e l'università riesce a esser anche luogo in cui ci si disabitua (quindi si disimpara) a scrivere (con buona pace del metodo), come se nella vita fosse possibile farne a meno. Fino al paradosso delle facoltà (compresa psicolosia!) dove i pochi esami scritti sono fatti col sistema di domande chiuse, con opzioni di risposta predefinite, e lo studente annerisce la casella, come al totocalcio, perché a correggere è un lettore ottico. Certo, le obiezioni sono già pronte: gli studenti universitari sono troppi per poter pensare di correggere temi come al liceo. Vero, ma · molto più tristemente vero è il fatto che la didattica è spesso l'ultima delle (pre)occupazioni del docente, impegnato in tornei di convegni, pubblicazioni, consulenze che rendono residuale il rapporto con gli studenti. Come nei casi in cui la cattedra diventa una credenziale di scientificità da giocare col committente o l'interlocutore esterni, e gli studenti la manovalanza a costo zero con cui eseguire pezzi di lavoro o pubblicazioni (che approderanno in tesi e tesine degli studenti, e reciproca soddisfazione), spiazzando così anche la concorrenza di chi la mano d'opera la paga o di chi prova a scriversi tutto da solo. Senza parlare del cannibalismo interno a dipartimenti e istituti, per i pochi posti disponibili, del triste capitolo dei concorsi e delle borse, della stasi assoluta in cui versa la situazione delle cattedre, senza più chance di ricambio e con ricercatori.condannati ad una vita attesa. • Immobili e elefantiache, istituzioni totali attentissime ai meccanismi di riproduzione interna del sapere e del loro establishment, le università sono state, assieme alle caserme militari, non a caso l'ultimo luogo in cui è arrivata tangentopoli. . L'impressione è che ci sia allora un contributo terribilmente formativo dell'università, l'aspetto per il quale rispecchia di più la realtà: per chi la frequenta e l'ha frequentata, l'università rappresenta purtroppo anche la scoperta della corruzione morale, dell'utilità dei servilismi, trucchi e sotterfugi per arrivare alla meta nella nostra società. Temo per altro che questo apprendistato funzioni, attecchisca, perché gli studenti, lungi da qualunque innocenza originaria, sanno esser perfettamente complici del sistema. Che dire del mercato di tesi e persino di esami, praticato nel sottobosco universitario? Come qualificare il florido neonato fenomeno dei corsi di preparazione ai test di ammissione nelle facoltà più o meno chiuse, dove ex-studenti cannibalizzano aspiranti studenti vendendo il nulla teorico che sta dietro la preparazione a una prova attitudinale? E quali sono le nuove quotazioni dei finti contratti di lavoro ali' estero, ricercati dagli studenti per saltare il servizio militare? Per non parlare delle ben note miserie che circondano ogni esame, con quella piccola rasioneria di appelli giusti, appunti miracolosi, docenti buoni o supposti sensibili al fascino dell'abbigliamento succinto. La furbizia, i compromessi, la corruzione morale, il calcolo individualistico sono purtroppo parte integrante del metodo acquisto in accademia: fa impressione il cinismo con cui lo studente solitamente descrive alla fine degli studi il proprio ambito accademico. Non c'è studente che non attribuisca all'assistente di turno, a torto o a ragione, una penosa quotidianità di rincorse e favori. Se poi qualcuno crede nello studio e nella ricerca, spesso rinuncia a tentare la carriera accademica, per un senso di sfiducia e di nausea, temendo il grigiore che lo attende. Certo, non tutti gli studenti rischiano il disadattamento sociale o la precoce adozione della corruzione morale come chiave comportamentale, non tutte le università sono uguali e al loro interno è ancora possibile trovare dei veri maestri. Ma il vissuto dello studente è ormai negativo e quel che dispiace è il fatto che l'accademia non è più un modello di riferimento, capace di trasmettere una limpida passione per lo studio e la ricerca. Eppure di università c'è bisogno, perché una società che non studia è una società triste, alienata, che non permette nessun senso di identità, priva com'è di storia e progetto. È triste e pure rischioso non avere un luogo dove si sedimenti il sapere, si sposti la frontiera della conoscenza: è come un'industria farmaceutica priva di laboratorio, che immette sul mercato prodotti senza averli testati, rischiando la vita della persone. ♦ SUOLE DI VENTO

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