gio contemporaneo dell' arte diventino a pari delle cose naturali, comuni, pezzi di vita, forme familiari, oggetti che ci appartengono a cui apparteniamo, questa è a potenza dell'arte: trasformare il mondo in un concetto e il concetto in mondo. E dunque, dislocandosi sempre altrove, rovesciare continuamente ogni luogo comune. Al suo attivo Paladino ha u1:a bibliografia•~riti~a sterminata e una carnera internazionale disseminata nei quattro angoli del pianeta tra musei e collezioni private, eppure le mostre napoletane hanno quasi colto di sorpresa, entusiasmando i visitatori e sconcertando la critica. Che cosa è successo "in più" a Napoli? È accaduto che Paladino, protagonista amato e/o odiato del sistema dell'arte (mostruosa e ormai prosciugata catena di S. Antonio determinata dai flussi finanziari dei poteri economici, ramfanti negli anni Ottanta) ha inalmente oltrepassato il confino dall'esperienza del pubblico. Perché di questo si tratta e non certo di una chissà quale alchimia linguistica, se s1vuole discutere del fenomeno Paladino a Napoli. Se la critica si ostina a ripetere stancamente i pregi o i limiti dell'estetica paladiniana, con supponenza specialistica non comprende per l'ennesima volta che la questione dell'arte contemporanea e dunque della sua malinconica evacuazione dalle polis, è che l'arte non ha destino fuori dalla comunità. Il grande pittore delle atmosfere mediterranee, il profeta della defunta transavanguardia, genius arcaico e modernissimo, il magnifico cesellatore di arcane forme scultoree, Mimmo Paladino, quarantotto anni da Paduli, nòn ha cambiato linguaggio ma la sua armatura linguistica dislocata nel contesto metropolitano ha diffuso altri bagliori spargendo nuovi pensieri. L'arte contemporanea ha trovato a Napoli un meraviglioso campo d'azione, tornando ad essere questione politica: luogo di condivisione e conflitto tra corpi e linguaggio, vita e storia, futuro e memoria. E noi dunque torniamo a credere che si possa parlare di rinascita culturale. ♦ ARTE E PARTE Safe: ricerca di salute e ricerca di senso GoffredoFofi L'interpretazione "medica" di Sa/e (di medicina ambientale, e di sociologia delle nuove malattie, del new age che ci contamina) è senza dubbio corretta, ma Safe non è solo una denuncia, una per1 ustrazione, un viaggio nei "nuovi" modi di star male che le nuove tecnologie e i nuovi sviluppi dell'industria ci impongono. Safe è a suo modo un piccolo grande film "kafkiano". Quest'aggettivo ha una storia molto ridicola: migliaia di volte è stato usato a sproposito, rarissime a ragione. Bastava che si vedessero in un film i corridoi di un ministero, gli scaffali sovraccarichi di un archivio, che si raccontasse il girare a vuoto di qualche povero cristo preso nelle maglie di qualche insensata burocrazia o di una dittatura, e l'aggettivo ''kafkiano" saltava immediatamente alla penna del giornalista, del recensore ... Ebbene, questa è una delle poche volte, per l'appunto, in cui si può citare con ragione il triste e lucidissimo praghese. . Caro!, la protagonista di Safe, cos'ha di diverso dal protagonista della Metamorfosi, o da quello del Processo? È una normalissima borghese sposata a un normalissimo borghese assai ricco che ha già un normalissimo figlio, e provvista di normalissime amiche - e cioè complessivamente attorniata da "mostri" quotidiani e banali, da freddi e omologati produttori-o-consumatori soddisfatti del loro mondo e del loro ruolo. Anche Caro! (mirabilmente interpretata da Julianne More) è come loro, antipatica fredda mediocre ornalo-· gata consumatrice come loro. In nulla sembrerebbe distinguersi. Il giovane regista di Safe, Todd Haynes, insiste molto freddamente, con molto distacco, e si direbbe con nessuna partecipazione umana - secondo un suo estro e un suo stile, che denotano un'insolita forma di genialità - sulla freddezza dell'ambiente, dei luoghi, dei mobili, dei soprammobili, delle macchine, degli oggetti, delle strade, dei colori, delle luci, dei bambini, dei volti ... Anche gli esterni e anche la seconda parte quasi tutta en plein air, montanara di Sa/e, sono freddi, e nella loro sporca misura (la prima parte) o asettica (la seconda), comunicano un algido sentimento di insicurezza e di minaccia. Con calibratissima e "giapponese" precisione scenografica, il giovane regista Todd Haynes "colloca" la protagonista in un ambiente raggelante: una casa che non lo sembra, tanto è calcolata in essa la disposizione delle cose, una casa da ufficio o banca o museo in cui le cose sono geometricamente esatte, matematicamente perfette. Ed .è risibile la collocazione al centro delle inquadrature in formato cinemascope, il formato più irreale di tutti (buono per l'epica!) della donna, dell'uomo, centro dell'universo, padrone del mondo e delle cose! Non il realismo, interessa Todd Haynes, ma una sorta di iperrealismo che consenta un'immediata distanziazione, una lettura non psicologica della scarna e progressivamente angosciosa vicenda ·vissuta da una "normalissima" e inutile, "oziosa" e ricca signora del nostro tempo.• Carol comincia a soffrire di disturbi che i medici non sanno diagnosticare. Questa sofferenza ben reale, e affatto incompresa dal suo ambiente, la isola e la rende più sensibile al dolore e alla solitudine, ma non riesce a renderla più intelligente: Caro! è irrimediabilmente un'anti-eroina, rimane sempre una persona assolutamente mediocre. Ma ecco che un giorno scopre da una trasmissione televisiva che ci sono tanti che
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