La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 12 - febbraio 1996

bilità per l'arte, potrà servire a equilibrare questa convivenza di atteggiamenti dissociati. Ogni sbilanciamento da una parte o dall'altra ci riporterà in avventure antiche ma sin tro{)po presenti: l'esoterismo o l'mtegralismo. Protezione con la. rete Grande metafora di questo stato delle cose e, nello stesso tempo, sua conseguenza è la "Rete", quel mondo cioè virtuale e reale, contemporaneamente, costruito sulla connessione di una infinità di computers dialoganti. Lo straordinario sviluppo che· essa ha avuto negli ultimissimi anni (e l'intricato e fascinoso paesaggio che ha generato) non può pass,are mosservato e non si puo pensare che esso sia scollegato da alcune delle considerazioni precedenti. È infatti la manifestazione palese di una volontà di praticare il "perdersi". Un perdersi con la Rete. Perdersi con la protezione, verrebbe da dire. Il gioco di parole ci porta a una constatazione. E nota la condizione di spersonalizzazione che provoca lo stare collegato a un network. I dialoghi hanno interlocutori dai connotati indefiniti, l'identità è il più delle volte non necessaria, se non addirittura falsata. Vige anche un certo travestitismo con cui ci si può "perdere da sé". Così.come il fascinoso paesaggio che ha generato mostra una geografia indefinita e solo dopo percorsi casuali e labirintici puoi trovare un sito con una informazione preziosa. Tutto ciò con la protezione della Rete, con il fatto cioè che il tuo viaggio, il tuo rischio è totalmente virtuale. La tua mente viaggia, come in un sogno o nell'immaginazione, mentre il tuo corpo, fragile entità biologica, è a casa custodito e protetto, comodo davanti al computer. Nella vita normale di questa società il corpo è, per molti, pingue e avvolto in una cortina protettiva di confort e di surplus, cui il rischio del solo perdersi è devastante. Punto di equilibrio Tra presente e futuro, tra perdersi e trovarsi, la cultura e in particolare l'arte dovrebbero ritrovare un ruolo di punta. Non nel senso che si riapre la stagione delle avanguardie (che corrispondevano al mito ciel progresso) ma in quello che, con una decisa assunzione di responsabilità, essa può divenire l'elemento generatore dell'equilibrio. Si potrà obiettare che proprio l'arte, per definizione, è semmai l'elemento destabilizzante dei codici. Questo può valere per altre epoche, ma oggi l'arte (il cui concetto è mobile come quello di democrazia) si confronta con una situazione in cui già tutto è destabilizzato, trasgredito, collassato, e non è un caso che tutto può essere definito con leggerezza "arte". Il codice contemporaneo è il caos: trasgredirlo significa trovare degli equilibri. E questi ci sono richiesti a gran voce dalle persone "sperse" che incontriamo quotidianamente, dagli studenti rifugiati in questi ospizi per giovani che sono le scuole ... ma ci sono richiesti anche da quellè condizioni "oggettive" (si può tirare fuori dalla naftalina questo concetto?) che ci troviamo intorno. Intendo sopratutto quella condizione ambientale, stravolta e abbrutita, razziata delle sue risorse, portata ai limiti di un tracollo, e quella condizione umana, esasperata nella .materialità e inaridita nella spiritualità. Ci dobbiamo assumere queste responsabilità, come probabilmente molte altre. Dobbiamo rappresentarci dei riferimenti invalicabili. Raffigurarci un'etica, un sistema di vincoli da esplorare creativamente: etica dell'immaginazione - mi piacerebbe definirla - per un'arte responsabile. Scriveva Raymond Queneau, che il classico che scrive là sua fragedia osservando un certo numero di regole che conosce è più libero del poeta che scrive quel che gli passa in testa ed è schiavo di altre regole che non conosce. E poiché tutti concorriamo al progetto di quel futuro che ;11onriusciamo più a immagmare, non conoscere certe regole, non riconoscere certi limiti può significare avventurarsi verso una catastrofe. Per digerire questo l'arte dovrà pagare il prezzo di una importante ridiscussione delle sue molte certezze, quelle profonde i,ntendo, non quelle dibattute in eterno per esigenze estetico-esistenziali; dovrà accettare dei limiti, come abbiamo detto sopra, dovrà chiarire alcuni equivoci e ambiguità, dovrà saper resistere alla seduzione di nuç>- vi sfavillanti palcosceniçi. Ma, contemporaneamente, p-otrà ritrovare un'utile combattività, dopo decennj di inquietudine torcigliosa, e potrà cogli ere, senza timori, le impressionanti opportunità che la tecnologia e questo contradditorio sviluppo hanno generato. L'arte, confusa, nella comunicazione La cultura, l'arte e la poesia, la ricerca sono sempre meno considerate nei programmi scolastici, occupano meno spazio nei media, vengono continuamente confuse, mescolate con lo spettacolo, le persone ne sentono sempre meno il bisogno. Verrebbe da dire che da qui a poco occorrerà inventare un Wwf dell'arte. Eppure c'è un gioco equivoco che occorre capire: nel parlare poco di arte perché tanto affannarsi nel dilatare la nozione di arte? La pubblicità è arte, la televisione è arte, la moda, l'economia, la rete è arte; tutto, vien detto, può essere arte. Ma quando tutto diventa arte, quasi niente lo è. Dai recinti sacrali, dai templi inviolabili in pochi anni ci si è distesi in territori sconfinati, senza bussola né altri riferimenti. Negli anni SessantaSèttanta, e forse anche prima, c'è stata una definitiva incrinatura dei confini, in corrispondenza del potere acquisito dai media, e della volontà di liberare la cultura da un dominio di classe. Lo si è dimostrato nell'azione di molti artisti che hanno coniugato queste tensioni. Ma il fine non era di confondere ruoli e posizio1:i, semm~i di, aprire_confronti · rifondanti ali alba di una vera e propria rivoluzione comunicativa. L'equivoco postmoderno ha colto al volo il disagio e ha sfruttato questa tensione. Ha sciolto energie, incanalandole al contempo in una dimensione liberistica e cinica. E il liberismo, anche nella cultura, magari produce idee, ma è facile che faccia perdere loro il senso. Questi sono gli anni Ottanta. La cultura immessa in quel mercato diviene fabbrica di idee. Pura dimensione decorativa che avvolge operazioni economiche. Nell'ottica del business, la corsa era ad avere un'idea migliore, non ad avere una idea che avesse senso (se non nell'operazione in se stessa). Una

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