La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 12 - febbraio 1996

ARTE E PARTE Punto e Caos. Nuove tecniche, nuovi costumi PaoloRosa Paolo Rosa, riminese, ha fondato a Milano con alcuni amici lo Studio Azzurro. È autore di videoinstallazioni e film (L'osservatorio nucleare del signor N anbf, Miracoli). ♦ Trascrivo, in un ordine minimamente logico, alcuni appunti scritti su un'agenda personale. Sono considerazioni, riferite in particolare alla condizione dell'arte e alle nuove tecnologie, che nascono da un lavoro sul campo di ormai diversi anni. L'incertezza dell'al di q.ua Non mi accorgerei, m modo così lacerante, cieli'enorme spreco di energie, di intelligenze e di sensibilità se non fossi testimone di una quotidiana e, in qualche modo, disperata processione di giovani che arrivano nel nostro studio chiedendo di poter partecipare, assistere, "stare solo a vedere" le attività che svolgiamo. La gran parte non vien.epe~ chiedere un lavoro ma, .s1capisce, per avere un suggerimento, uno spunto, per fare una prova. Non è un cercare soldi (che comunque è un'emergenza che viene subito dopo) è la ricerca di un punto di fuga, di un 1:notivo, un_o scopo per crearsi una propria idea di vita. Non evidenzierei così questo problema se non ritrovassi le stesse angosce, le medesime preoccupazioni nei miei studenti. In queste persone, intorno ai vent'anni, c'è lo stesso buio di fronte al proprio futuro, la medesima incertezza per il proprio al di qua. Qualche tempo fa, questo stato di cose ci portava .a dire che, proprio per mancanza di futuro, si tendeva a vivere in un presente continuo ed esasperato e, in quanto presente, il "tutto e subito" era la parola d'ordine, il cinismo il modo per praticarla. Quello che verifico ora è che si incomincia da parte di queste nuove generazioni, che sono il cuore e il polso di questa società, ad avere la consapevolezza della necessità di una prospettiva, ad accusare il senso d1vuoto che sta di fronte. L'idea di futuro appare loro necessaria non solo per darsi obiettivi (che è sempre più difficile distinguere), ma anche per darsi una carica immaginativa che genera il senso, l'idea della propria esistenza. Ma, un po' perché la situazione complessiva è divenuta illeg'gibile, un po' perché i nostri immaginari si sono scaricati (l'esperienza attraverso il mondo-fiction è divenuta superiore a quella del mondo-reale), questa idea di futuro non emerge. Non emerge in modo convincente dalle affermazioni dei sociologi e dei tecnologi (Negropon te in testa), e persino la fantascienza, la letteratura cyborg, epigono immaginativo del futuro, stentano a fornirci suggestioni, specie non catastrofiche e inquietanti. Come se esse stesse ormai fossero coincidenti con un presente già in atto. L'assenza dell'idea di futuro è dunque un'emérgenza da segnalare. Senza di essa non si può pensare di scatenare alcuna forza ideale, di mettere in moto alcuna energia costruttiva, di attivare una qualsiasi necessità culturale, di titrovare un senso nella storia, nel passato. E se il futuro non riusciamo più a immaginarlo occorrerà prendersi la responsabilità di iniziare a progettarlo. A cominciare da chi, come gli artisti, nel dialogo con il futuro dovrebbe trovare la propria identità. Perdersi e trovarsi Nell'epoca in cui abbiamo gli strumenti perfino per modellare il tempo (una condizione mai prodottasi prima) accelerandolo, rallentandolo, traducendo la simultaneità, paradossalmente sembriamo girare sempre nello stesso tempo e sempre sullo stesso punto. Senz'altro più velocemente, ma solo su noi stessi. Dimenandoci con tanta foga in un presente continuo non facciamo altro che crescere la ·misura di quel labirinto che ci sta intorno, allontanando sempre più la possibilità di scorgere qualche spiraglio utile d1 orizzonte. Preso atto di un presente così destabilizzante, un modo per affrontarlo può essere il coltivare la capacità a trovare l' orientamento attraverso una consapevole attitudine a perdere l'orientamento stesso. Questo apparente paradosso in parte è dettato dal fatto che molti degli strumenti interpretativi si rivelano inadeguati e alcuni dei riferimenti ideali appaiono come semplici miraggi, neppure così attraenti. Ma in più c'è anche il desiderio latente di sostituire la pretenzios~ certezza r~~ionale con una mcertezza piu consapevole. C'è una timorosa esigenza di passare dall'illusione di riconoscersi nel dominio, ali' emozione del perdersi nel caos. Il perdersi è una condizione dell'uomo contemporaneo che bisogna saper accettare. Positivamente può aiutarci a recuperare una curiosità esplorativa, una sensibilità alle cose e ai segnali, un gusto della ricerca . Di fronte a questo impatto forte si potranno scoprire i limiti dimenticati della nostra superiorità e _costruire nuove, avventurose narrazioni . Subire la dispersione, altrimenti, crea irreversibili patologie: depressioni, droghe, intolleranze non sono estranee a questo stato. Forse anche da lì si generano certi paradossi come il crescere dell'incomunicabilità nella società della comunicazione, dell'abbaglio nell'era della massima visibilità, della diment~canza nell'epoca delle memorie espanse. Però ... C'è un però, a questa coscienza del perdersi dobbiamo necessariamente affiancare una altrettanto forte capacità di ritrovarsi. Rifugi protettivi, luoghi acco- .glienti come la memoria o gli affetti sono essenziali contrappesi. Così come il riconoscerci nel senso di appartenenza a una comunità, nel valore di certi sentimenti, nella cura per le cose. In mezzo, la nostra cultura, la nostra sensi-

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