La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 12 - febbraio 1996

ministrazione cittadina. Il centro di Palermo non è certo decaduto negli ultimi due anni di governo orla.ndiano: langue, agonizza, rantola, spasima da un pezzo. Il "sacco di Palermo" - lo sciagurato, dissennato, orrendo strazio e sterminio della città operato in primis da Lima e Ciancimino, ma anticipato e proseguito da mille altri atti di vandalismo, negligenza, inefficienza, cecità, abulia, idiozia - si è consumato nel corso di decenni in cui la nostra comunità è stata in balia di uno strapotere mafioso che solo ora e in minima parte è stato ridimensionato, e ·che peraltro si dimostra agguerrissimo e pronto a recuperare le posizioni perdute. Il "sacco di Palermo" consisteva proprio in questo: speculazione selvaggia nelle periferie, svuotamento e distruzione del centro storico, cementificazione dei giardini di agrumi. Cioè sconvolgimento totale della fisionomia della città, che perdeva d'un colpo (di piccone: si pensi alla distruzione notturna della brasiliana villa Deliella) parte del suo straordinario patrimonio artistico, il suo assetto urbanistico, economico e sociale, e infine il tessuto paesasgistico e produttivo dell'entroterra. Non equivale a dire (eufemisticamente, anzi) che così perdeva la sua identità? Perdeva la faccia, la città, incompiuto, ormai uno scheletro corroso dal tempo e dall'incuria, celato alla vista da un pietoso telone, torreggia innanzi al porto e accoglie i naviganti col suo silente monito. Per usare la straziante metafora della Ortese, il mare non bagna Palermo. Le ragioni dell~ speranza si sono molto affievolite anche tra i più tenaci di noi. Borsellino diceva di avere imparato ad amare la sua Palermo proprio perché non. gli piaceva. In un certo senso dobbia-mo fare il contrario (cioè la medesima cosa rovesciata), ovvero imparare a non farcela piacere, ma proprio perché l'amiamo. Dev'essere chiaro però che ciò che amiamo non è il, brutto, è semmai la perduta bellezza, il riscatto potenziale. L'equivoco della bellezza di Palermo è d'altronde antico. Già Sciascia nel suo saggio Palermofelicissima scriveva: "Quando Vitaliano Brancati, trentenne, viene per la prima volta a Palermo e scopre che se i suoi giorni fossero stati contati fmo al 5 maggio 1938 egli si sarebbe presentato a Dio ignorando che la sua isola sostiene una così grande e vera città, avrebbe avuto un'attenuante in più - oltre a quella di essere 'siciliano della costa orientale' - mettendo un aggettivo in meno o sostituendolo. Senz'altro grande, senz'altro bella - ma non vera". Per Sciascia, dunque, Palermo non ha un cuore, non ha una vera identità, si è solo creduta una città ma non lo è mai stata, è stata solo la "rappresentazione" di una città, ma ciò nonostante è indubbiamerte bella. Sembra l'esatto opposto del discorso di Fofi (ma in realtà le due analisi in più punti coincidono). Il ...,,.-e pessimismo estetico di Fofi deriva - ~=.::::i.!:::::::,~t==---::l!..:i~-==--==::=::~::__Più rigorosamente - da una disillusa i:\ analisi politica. Non a caso Orlando ------ accusa anche Fofi di ritenere Palersfigurata col vetriolo delle demolizioni, dell'abusivismo, dello sviluppo canceroso, caotico, orrendo, smisurato. Perdevano la faccia anche · i suoi amministratori, che però a· lungo, troppo a lungo, non persero i voti. Può dirsi ancora bella questa città stravolta e senz'anima? Io credo che chi finge di vederla bella non la ama, o perché vorrebbe violentarla ancora o perché, accecato dal proprio narcisismo, non sa amare che se stesso. Certo Palermo, benché martoriata, ha ancora un suo fascino, contiene molte gemme artistiche e scorci assai suggestivi, ha ancora brandelli di popolo che resistono alla massificazione culturale, qualche (rara) intelligenza non omologata, ma è drammaticamente una città boccheggiante. Non sono soltanto il centro storico fantasma e l'urbanizzazione della Conca d'oro a farne un relitto alla deriva. Palermo (la città "tutto porto") è drasticamente tag_liata fuori 1al suo m~_re,con i Cantieri navali che non riescono piu ad assumere un ruolo trainante nell'economia cittadina, l'antica marina sbarrata da un terrapieno brullo e da un sordido luna-park, la Cala raddoppiata, i resti del Castellammare (distrutto pnma da Garibaldi e poi da Mussolini) sepolti e occultati da brutture e superfetazioni, il litorale Romagnolo in uno stato di degrado terzomondista, Mondello ridotta a una fogna, le borgate dei pescatori snaturate. Chi giunge per mare a Palermo ha di fronte a sé lo spettacolo intollerabile di una costa aggredita, inquinata, deturpata, umiliata e offesa. Da decenni un palazzo mo, proprio come Sciascia, "irredimibile". L'inferenza non è molto solida, né ha riscontri di sorta, ma nelle polemiche, si sa, non si va mai per il sottile, soprattutto quanto a logica. Ciò che davvero importa non è la teorica e innagabile redimibilità potenziale di Palermo, della Sicilia, dell'Italia, dell'uomo e del mondo, ma cosa concretamente si fa, giorno per giorno, per realizzare questa ipotesi di redenzione. Disto$liere l'attenzione dal presente e occultare la ventà (magari per malinteso amor "patrio") non è un buon viatico in questa prospettiva. Può una città essere falsa e bella? In cosa consiste dunque questa sua bellezza? Si dirà che all'incirca consista nel suo corredo artistico, nel- ]'eleganza e nel valore dei suoi palazzi, delle sue chiese, dei suoi monumenti. Ora, non v'è dubbio che Palermo di ciò sia ricca. Ce lo ricorda perfino la Comunità Europea, rimproverandoci la nostra incuria e provvedendo finanziamenti che non sappiamo utilizzare. Ma immaginiamo allora che il patrimonio artistico venga infine recuperato, restaurato, ristrutturato, e che sia finalmente a disposizione dei cittadini e turisti, bello lindo e integro. È un'ipotesi su cui non ci sentiamo di sputare, certo. Ma sarebbe sufficiente per ridare vita al centro storico e alla città tutta? Nient'affatto, lo sappiamo bene tutti. Ciò che occorre è un risanamento culturale e morale non meno che sociale ed economico. Solo allora potremmo dire che Palermo è viva, vera, bella. ♦ LA CIITÀ

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