LA CITTA' PALERMO Marcello Benfante Giacomo Vaiarelli IL MARE NON BAGNA PALERMO Marcello Benfante Per qualche tempo (poco più dello spazio di un mattino: poi, come sempre in questa obliosa città, tutto è caduto in prescrizione) c'è stato subbuglio a Palermo, con parole grosse e grossolane, isterie di "primedonne", proclami bellicosi, è stato, per così dire, un reato di lesa bellezza. "È bella Palermo? Io direi di no": così - ex abrupto - esordiva Fofi in un suo articolo apparso su Il Sole 24 ore del 24 settembre scorso. Scandalo! Una levata di scudi accoglieva la provocazione. Il sindaco Orlando esprimeva tutta la sua indignazione per l'ingenerosa e lacunosa descrizione che l'articolo forniva della città, non riuscendone a cogliere il nuovo, il buono e il bello. Ovviamente ho tradotto in termini urbani una querelle molto più rozza. Anche il tono e il lessico del dibamto sono importanti. Parafrasando: è sguaiata Palermo? Io direi di sì. Poco tempo dopo si proiettava finalmente nelle sale cittadine Lo zio di Brooklyn di Ciprì e Maresco. Anche questa volta Orlando s'indignava ed esprimeva il suo dissenso, con un po' più di garbo, ma sempre con la stessa egocentrica f resunzione: "Il sindaco che vuole costruire i futuro della città non accetterà mai che ci sia solo la Palermo di Ciprì e Maresco" (sibillina dichiarazione riportata dal "Giornale di Sicilia" del 13 ottobre, in cui non si capisce se non viene accettato il film, la realtà, o che un simile degrado possa proseguire anche in futuro). Capisco che ciò potrà sembrare irriguardoso e perfino blasfemo tra le fideistiche schiere della Rete, ma oggettivamente la sortita di Orlando contro Lo zio di Brooklyn somiglia molto a quella di Andreotti contro Ladri di biciclette. Il senso di entrambe è: perché mostrare le nostre piaghe? I panni sporchi si lavano in famiglia. Orlando non è Andreotti, per carità. Ci mancherebbe altro. Però il commento-ostracismo di Andreotti era meno incongruo e senz'altro più attinente, riferendosi almeno a LA craA un film neorealista. Orlando invece sembra non cogliere completamente il senso metafisico dell'opera di C1prì e Maresco. Il che, beninteso, è solo un'aggravai1te, perché anche dal realismo non si pretende tutta la realtà. La verità è che a dare fastidio è ancora una volta il ritratto impietoso di Palermo, la sua laidezza, la sua bruttura, la sua miseria materiale e morale. Ciò che urta è che il volto orribile, devastato della città, non venga in alcun modo nobilitato da artifici retorici, dai toni alti della tragedia classica, da una pietà convenzionale, rituale, ripetitiva. E che invece si ricorra alla crudele volgarità, allo sberleffo caustico, ali' abnorme scatologico, alla disperata rappresentazione del day-after. Il tallone di Achille di questa amministrazione è proprio l'avere rimosso il "prima", l'aver creduto di potere annullare con la "presa del palazzo" - e cioè con una rifondazione simbofica - una storia lunghissima di scempi, massacri, devastazioni. Il ragionamento d1 Fofi, nell'articolo citato, e la rimozione che ne ha fatto Orlando sono in tal senso emblematici. La Palermo che ho conosciuto da giovane - scrive Fofi - non esiste più; non esiste più quella sua aria "levantina" (ed è significativo che invece la si voglia europea), quella sua vitalità fatta di voci, gente, odori, rumori. Il fatto è che Palermo non ha più un centro, un cuore: "il centro è morto, nessuno si preoccupa molto di ridargli vita. Se è vero che il centro storico di una città dà alla città la sua identità, allora Palermo non ha più un'identità, o ha un'identità di caso e maceria. Intendo maceria morale, maceria culturale". Che il centro storico di Palermo abbia perso la sua funzione pulsante, che sia lugubremente spopolato, che sia depauperato d'ogni vitale risorsa economica, che cada a pezzi e stia perdendo la sua cultura e la sua memoria, lo sa bene anche Orlando, i suoi assessori, la sua giunta. Tant'è che hanno messo al centro del loro programma il risanamento dei quattro mandamenti, che hanno preso provvedimenti limitati ma sacrosanti come l'adozione dei monun:ienti da parte delle scuole o la chiusura al traffico del Cassaro, che hanno recuperato (e giustamente se ne vantano) un gioiello come lo Spasimo, destinandolo peraltro a una funzione culturale propulsiva e non cristallizzandolo in una mera operazione di restauro. Sono primi (lodevoli) passi. Forse la giunta poteva marciare un po' più speditamente e forse no, il punto non è questo. Stupisce invece la reazione biliosa del sindaco davanti al resoconto obiettivo e incontestabile delle malefatte storiche dell'am-
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