La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 12 - febbraio 1996

un confine ribadito coralmente da tutti coloro che non siano "buonisti" o "razzisti", cioè da tutte le voci che trovano spazio sulle pagine dei due quotidiani. Non sorprende quindi ritrovare il concetto· di lavoro alla base di molti degli articoli del decreto sull'immigrazione: le nuove norme garantiscono l'afflusso periodico di lavoratori stagionali extracomunitari (Art. l e 2), permettono la regolarizzazione solo per chi lavora regolarmente o ha lavorato regolarmen te per almeno quattro mesi nell'ultimo anno (Art.12), concedono il ricongiungimento famigliare solo a chi possa dimostrare di disporre di "un reddito medio mensile pari a due volte l'importo dell'assegno sociale calcolato su base mensile" (Art.11). Il fatto è che, come tutti sanno, trovare un lavoro non è poi così facile, se poi questo lavoro deve essere regolare e garantire un certo reddito, t:ovarlo p~ò essere ?iffi~ilissimo, specie per un immigrato, da cui ci si aspetta generalmente che sia disposto a lavorare in nero e pagato poco. Si crea così una si tu azione di doppio vincolo 10: il lavoro diviene un confine simbolico e giuridico fondamentale ·per stabilire i diritti di una persona proprio quando gli stessi organi preposti c).lgoverno economico mondiale (Fmi, Banca Mondiale) ammettono es1;1licitamente nelle loro analisi che una larghissima e crescente disoccupazione è divenuta una caratteristica strutturale di lungo periodo del capitalismo avanzato 11 • Evidentemente la "buona volontà" e la "voglia di lavorare" non sono più condizioni sufficienti a trovare un lavoro, eppure è proprio il possesso o meno di un posto di lavoro regolare a determinare il diritto o meno di un immigrato a restare in Italia e il suo status di 1;1ersonaonesta di fronte all'opinione pubblica. Quando il discrimine tra legalità-lavoro e illegalità-disoccupazione si costituisce a livello simbolico come confine tra buoni da premiare e cattivi da punire, nonostante sia evidente a tutti coloro che conoscono direttamente degli immigrati che la normalità è nella grande maggioranza dei casi quella del lavoro irregolare, in nero, discontinuo, sottopagato e non delinquenziale, è facile immaginare che si stiano gettando le fondamenta su cui costruire le nuove mura della fortezza 12 che proteggerà le cittadelle della società opulenta dalle orde barbariche dell' emarginazione13. La frontiera nazionale Già il 14 settembre, il giorno dopo la prima intervista a Piero Gallo, sulle pagine de La Stampa il responsabile provinciale dei carabinieri Michele Franzè chiede una nuova legge che permetta di espellere i delinquenti immigrati con maggiore facilità. La stessa richiesta viene avanzata nei giorni seguenti da molti altri, tra cui Neppi Modana, Castellani, Camon, Stelo, Grassi e i sindaci delle metropoli italiane in riunione a Torino, e viene ripresa dai cronisti in conclusione dei loro reportage. Col passare del tempo, la soluzione dell'"emer- ~enza immigrazione" viene identificata con sempre maggiore sicurezza con il "mandare via i cattivi". Ancora una volta si mette in atto· il consueto processo di semplificazione: il problema della frequente marginalità sociale de~ gli immigrati e dell'avversità dell'opinione pubblica all"'accoglienza indiscriminata" viene territorializzato all'interno dei confini nazionali e congiunturalizzato in una. carenza legislativa. Cambiata la legge e rafforzate le frontiere, lasciano pensare i giornali, le cose andranno meglio. Le considerazioni sull'immigrazione sulle pagine dei due quotidiani sono percorse da una nota continua ossessiva del "punire", dell'"isolare", del "far sparire", del "vigilare", del "controllare", del "fermare", del "combattere", del""limitare", del "rimpatriare", dell'"allontanare", dell'"espellere", del "cacciare via". Non si tratta insomma di una questione con cui confrontarsi, ma di un territorio da proteggere, e la soluzione che si cerca non consiste in un cambiamento, ma in uno spostamento. Se f eri "cittadini esasperati" i territorio è rappresentato da un quartiere o addirittura dal "sotto casa"14, per i legislatori è rappresentato dal territorio nazionale. La frontiera diventa così l'incarnazione simbolica di quel bisogno di ristabilire dei confini che ossessiona il discorso dominante sull'imm1graz10ne. Anche se già nei giorni che precedono l'emanazione del decreto alcuni dubbi sul1'efficacia reale del sistema delle espulsioni trovano spazio, soprattutto su La Stampa, unanimemente si afferma il valore simbolico dell'articolo 7 ( che prevede la misura dell'espulsione "come misura di sicurezza", "come misura di prevenzione", "a richiesta di parte" e "come provvedimento amministrativo"): finalmente la frontiera nazionale torna ad avere un senso. Ma quale è il fondamento reale di questo senso? Una risposta a questa domanda viene data, in totale dissonanza con la linea editoriale del quotidiano, da Umberto Galimberti su La Repubblica dell'8 ottobre: "la nostra arretratezza culturale pensa di affrontare il problema dell'immigrazione usando 9uel ferrovecchio che è la frontiera quando la storia procede a grandi passi nel senso della deterritorializzazione (...) la diversità sarà il terreno su cui far crescere le decisioni etiche, mentre le leggi del territorio si attorciglieranno come rami secchi di un albero inaridito". Che cos'è realmente la frontiera nazionale in un momento in cui gli stati si sgretolano sotto la spinta delle identità locali, tutte le decisioni politico-economiche significative vengono prese da organismi sovranazionali, e le cause di ogni questione sociale, e in modo macroscopico dell'immigrazione, sono globali? Cosa significa cacciare fuori gli "immigrati cattivi" ora che il pianeta è divenuto un unico mercato interconnesso e occidentalizzato e sempre meno esiste un altrove 1S? Ora che un "fuori" forse non esiste più, dietro l'espulsione sogghigna lo SJ?ettro silenzioso della pena di morte. Il razzismo È il 18 novembre, mi trovo nell'atrio di un cinema, e rimango coinvolto in questa conversazione: lei: "Io non sono razzista, però li sterminerei tutti", lui: "E no ! Io sono razzista", lei: "Intendevo dire che io non sono razzista, però li sterminerei tutti". Sto parlando con due persone assolutamente normali, che dicono, con agghiacciante leggerezza, cose assolutamente normali.

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