mare l'illegalità", lanciata da Don Gallo nell'intervista del 13 settembre, è il leit motiv ossessivo della campagna stampa: urlato dai "cittadini · esasperati", sussurrato dai commentatori di ogni colore politicos, affermato come conclusione inevitabile di ogni reportage. La ripetizione finisce per naturalizzare la formula, facendo perdere di vista il fatto che non capita tutti i giorni che ci si pongano in modo così unanime obiettivi così ambiziosi. È come se, parlando di immigrati, la criminalità diventasse non più un elemento strutturale di ogni sistema sociale e economico, ma un evento congiunturale, territorializzato in alcuni punti specifici della città e causato da una ragione ben precisa e individuabile: "l'immigrazione selvaggia". Si mette in moto così un incredibile processo di sur,erficializzazione: si parla di illegalità ma si intende evidenza spettacolare dell'illegalità e si dà per scontato di potere affrontare questioni come quella del narcotraffico o della prostituzione "mandando via chi delinque", come se si trattasse di malefatte dovute alla cattiva volontà di alcuni individui e non di fenomeni globali del· mercato. Così il concetto di legalità (o di onestà) non viene mai problematizzato, ma anzi diventa una parola magica che permette di tracciare quel confine netto per cui non è più accettabile utilizzare il concetto di razza o nazionalità. È Castellani a sintetizzare al meglio quest'uso della parola, dichiarando il 22 settembre su La Repubblica che "il vero confine è quello che divide gli onesti dai disonesti". È questo un concetto assolutamente indiscusso sulle pagine dei due giornali: dal pidiessino Garrone al leghista Borghezio, dal missino Martinat al cardinale Saldarini, da Baravalle a Neppi Modona, da Ciotti a Vattimo, da Tranfaglia a Gallino, a tutti viene fatta ripetere la stessa cosa: ci sono immi~rati buoni e immigrati camvi, i primi lavorano o cercano lavoro e vanno aiutati, i secondi delinquono e vanno puniti. Sotto lo stri- ,._ scione "solidarietà nella legalità"6 marcia così uno sterminato grande centro, al di fuori del quale sembrano esistere solo due opposti estremismi: il "buonismo" e il razzismo. L'idea di legalità come confine adamantino su cui costruire una politica di intervento mostra però le sue falle sulle stesse pagine dei due quotidiani in almeno due occasioni. All'inizio di ottobre, nel corso di un'operazione di controllo in alcuni club privati (in prevalenza gestiti da nigeriani) a San Salvario, vengono riscontrate delle irregol:}.- rità anche all'Hiroshima Mon Amour, locale frequentato dalla sinistra bene torinese, che viene chiuso. L'l 1 ottobre La Stampa ri_porta un'affermazione di Piero Gallo: "Senza criticare l'operato dell'assessore, che avrà avuto i suoi buoni motivi, vorrei ricordare che i gestori dell'Hiros h ima sono gente per bene". Nel momento in cui ad essere illegali non sono quelli che si aspetta, uno dei più ardenti sostenitori della legalità si trova a dovere tracciare un nuovo, ancora più ambiguo,' confine, quello del "l?er bene". Negli stessi giorm, a Borgo Dora, un gruppo di italiani viene fermato dalla polizia mentre si appresta ad affrontare in uno scontro violento alcuni immigrati marocchini allo scopo di ristabilire la legalità nella zona. I due giornali, che si mostrano solidali, anche se bonariamente critici, con i "cittadini esasperati" della zona, li descrivono come in gran parte "volti noti alle forze dell'ordine" e conosciuti picchiatori da stadio. Il 13 ottobre, in un editoriale su La Stampa, Gianni Vattimo spiega che "in quartieri come quello non è poi tanto facile che un giovane disoccupato abbia la fedina penale perfettamente immacolata". Insomma, come si dovrebbe tracciare questoconfine tra onesti e disonesti? Se, come credo dimostri -1' esperienza personale di ciascuno di noi, non è così facile per un italiano situarsi senza ambiguità nel territorio della legalità, si dovrebbe prima di tutto cercare di capire che cosa questo significa per chi emigra da un sistema di norme a un altro7 • · Il lavoro Nelle cronache da San Saivario la parola "lavoro" è utilizzata normalmente come sinonimo di ,legalità, secondo uno schema concettuale che prevede da un lato l'immi~rato· lavoratore, dall'altro l'immigrato delinquente, senza nessuna zona grigiaB.Dal momento che tutti concordano sul fatto che c'è bisogno della manodof era immigrata9, in nome de lavoro si"può chiudere un occhio anche sulla situazione di eventuale irregolarità del soggiorno. Se infatti la regolarità è un discrimine decisivo solo per alcuni politici della Lega Nord (uniti dalla parola d'ordine "no a una sanatoria"), il lavoro è, esattamente come la legalità,
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