La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 10 - dicembre 1995

mo dopo a riparare i danni. Tanto i bambini dimenticano. Non è vero, ma si dice sempre così; e si finisce per crederci. A volte spero che la mamma che mi sta descrivendo i comportamenti di sua figlia di tre anni per convincermi che il papà la sta educando a base di film porno (lo faceva anche con me, mi dice convinta, per questo l'ho lasciato), o il padre che accusa di interessi sessuali torbidi l'ex, moglie e il suo convivente (capisce, mio figlio ha solo sei anni ma è proprio un ben ragazzino, perfino troppo bello per un maschietto, io glielo chiedo sempre, ti fanno spogliare, ti guardano quando fai il bagno ...?) non si rendanq conto di quello che stanno facendo. Che sia sufficiente metterli in guardia, farli riflettere su quello che può provare un bambino di fronte a quelle domande, fatte da uno dei suoi genitori sul comportamento dell'altro. Sugli effetti di quel!' eccesso di interesse, di raccomandazioni, di ammonizioni riguardo al sesso, che il bambino rierirà comunque alla sessualità che lui sta scoprendo, con le sue esplorazioni, con le sue scoperte, e con i suoi sensi di colpa. Non è così, purtroppo: non basta metterli in guardia, non basta quasi mai. È più forte la violenza, il bisogno di colpire, di vendicarsi. Il bene del bambino ... ma non è per il suo bene che si cerca di sapere, che si cerca la verità, per proteggerlo dalle molestie di quel padre, o di quella madre, indegni, viziosi, immorali? Non ascoltano, non vogliono capire, o non riescono: sono troppo concentrati sulla propria rabbia, sulla battaglia contro l'altro per pensare ad altro. Allora, la vigilanza spetta a chi le raccoglie, queste accuse: assistenti sociali, psicologi, ma anche avvocati, . magistrati, anche medici, trascinati senza neanche saperlo in situazioni di questo genere. Sono accuse che coinvolgono, che trascinano a intervenire subito, con il rischio di farsi intrappolare in un gioco in cui cui l'interesse dei bambini è stato dimenticato già da molto tempo. In casi di questo genere, indipendentemente dall'accertamento della verità, i bambini devono essere protetti non solo nei confron- ,ti del genitore presunto copevole, ma anche dall'accusatoYQQ re, tutte le volte che le modalità di accusa appaiono poco rispettose del bambino e della sua intimità. Anche per evitare che quella che sembra per ora soltanto una tendenza diventi un'abitudine, la via più facile per sottrarre i figli a MIGRANTI Cinesi: uno dei genitori; suggerita, magari, da chi l'ha già provata, e diffusa così, per conferme successive. Senza che ce ne accorgiamo, senza che facciamo niente per difendere i bambini da questa nuova forma di violenza. l'immigrazione silenziosa Giovani Mottura Giovanni Mottura, sociologo, si occupa di economia agraria. Insegna all'Università di Bologna. ♦ 1. Della "diceria", come elemento importante nel formarsi e nel diffondersi delle immagini stereotipate (benevole o malevole esse siano) usabili come chiavi universali nell'approccio a qualche forma di diversità, molti - nella letteratura filosofica, antropologica e sociologica di questo secolo - hanno parlato. La categoria è stata di recente riproposta da Albert Bastenier nell'ambito degli studi europei 'che si occupano dei fenomeni migratori, e in particolare delle relazioni che si sviluppano tra autoctoni e immigrati (magari, per quanto possa apparire curiosa l'espressione, "di seconda o terza generazione"). La caratteristica principale della diceria - secondo questo au.tore - è di essere "insensibile alle virtù della prova e~all'importanza dei controlli". Questo, però, a ben vedere, non confina nell'ambito - per altro niente affatto trascurabile - della chiacchiera informale quotidiana, o delle discussioni da bar. Indubbi esempi della sua pervasività si possono ritrovare - per non allontanarsi dal campo in cui opera il suddetto autore - anche in molti contributi scientifici (ad esempio, sociolo~ici) italiani sulla nuova imm1graz1one. Un caso che mi sembra e dovrebbe sembrare a molti quasi insultante, in tal senso, è la puntualità saccente con cui alcuni scienziati sociali italiani di chiara fama si sono lanciati negli ultimi tempi in analisi (e diagnosi) estemporanee sulle caratteristiche dell'immigrazione cinese, a ciò indotti, immagino, dal rilievo - nutrito di richiami ad antichi fantasmi - dato dai giornali ad alcuni recenti avvenimenti di cronaca; cosa di per sé non disdicevole, se non avesse sortito come effetto principale quello di [o_calizzare le suddette anallSl (e diagnosi) su aspetti e fenomeni di pertinenza più criminologica che sociologica, quasi che questo fosse l'approccio più adeguato per lo studio delle caratteristiche per molti versi peculiari delle migrazioni cinesi. E soprattutto se non si fosse accompagnata al silenzio sull~ quasi assoluta mancanza d1 studi italiani (dunque di dati) sulla evoluzione della ormai più che cinquantennale presenza nel paese di quella componente migratoria, nonché ad un eguale silenzio s:1llar~cchi~- sima letteratura soc10log1cadisponibile al riguardo a livello internazionale. 2. Un'occasione di rendersi conto di tutto questo ed even- . tualmente di progettarne un superamento in termini di migliore documentazione e di sviluppo della ricerca anche in Italia è oggi fornita dalla pubblicazione - nelle edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, sicuramente benemerita per i contributi nel campo degli studi sui movimenti migratori - del libro L'immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, a cura di Giovanna Campani, Francesco Carchedi e Alberto Tassinari. In realtà, la materia che il libro offre è assai più corposa e ricca di quanto il titolo suggerisca. La. prima parte è effettiv~-

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