CITTADINI DEL MONDO MarinoSinibaldi Tra i numerosi fattori che .pesano oggi in Italia sulla debolezza delle culture pacifiste e nonviolente e dei valori che vi sono collegati, ce ne sono almeno due che è urgente affronta-- re. Il primo deriva dalla nostra tradizione sociale e culturale, con il prevalere di due concezioni - quella marxista-comunista e quella cattolica - che nel loro specifico sviluppo storico e nelle loro varie relazioni e contaminazioni reciproche non hanno mai dato grande credito a quei valori. Anche quando parevano farli propri, ciò è avvenuto con sfumature più o meno forti di strumentalità e di superficialità. Non mi dilungherò su questo punto perché la sua discussione implicherebbe un'analisi della storia politica e culturale almeno degli ultimi cinquanta anni. Voglio solo ricordare come questa ipoteca delle nostre grandi cultu- . re nazionali è paradossalmente emersa proprio in quello che si presentava come il momento di massima rottura di una continuità storicoculturale, e cioè nel '68. Come è noto, in quel movimento le componenti o meglio le pulsioni, le sensibilità che esprimevano valori nonviolenti, di pacifismo integrale e conseguente furono minoritarie e progressivamente emarginate; con gli esiti che sappiamo, fino alla deriva terroristica degli anni Settanta.D' altra parte nel '68 italiano furono praticamente assenti anche altri valori e altre culture -quella anticonsumista, per esempio- che altrove furono invece decisive. La ragione è che nel '68 italiano -e naturalmente mi riferisco sempre non a un anno ma a un movimento e a una generazione- prevalse non solo una concezione panpolitica, un'ossessione per la centralità della politica ma anche un'interpretazione di questa attività umana in termini assai riduttivi e tradizionali -che, per esempio, attribuivano un peso decisivo a valori "quantitativi", come il peso dell'organizzazione, e alle contraddizioni cosiddette principali, che erano poi quelle economico-produttive, ·che sembravano esprimere il conflitto decisivo che attraversava la società, interpretato in termini di lotta di classe. Alla luce di quella concezione che prevalse nel e soprattutto dopo il '68, tematiche come quelle pacifiste o anticonsumiste e in generale tutte quelle che avevano a che fare con una dimensione culturale ed etica, non immediatamente traducibile in politica, venivano ritenute irrilevanti o devianti. E screditati, a volte violentemente, risultavano idee e pratiche pacifiste e nonviolente ma anche valori e sentimenti elementari, come la tolleranza o la mitezza. Tutto questo in sostanziale continuità con le conceLEZIONI zioni egemoni nella nostra storia politica e culturale. Ciò non significa liquidare il fatto che in Italia una cultura della pace, a fatica e con molti limiti, ha comunque resistito e ha anche segnato dei rilevanti momenti di manifestazione, come in occasione della Guerra del Golfo, con la posizione pacifista tenuta tanto dal Papa quanto dal Pds, praticamente unico partito della sinistra europea a mantenere un'opposizione almeno formale al conflitto. Come non va sottovalutata la straordinaria solidarietà - questa sì animata da valori pienamente pacifisti - che si è espressa davanti alla guerra nella ex Jugoslavia. Senza dimenticare quelle esperienze, è però importante mettere in risalto come una ragione di debolezza generale e tradizi0nale si sia prolungata anche dentro quei movimenti giovanili che avrebbero dovuto· e potuto eliminarla. Ma è ancora più utile sottolineare come questa antica debolezza influenzi la difficoltà a intervenire in una situazione in cui è radicalmente mutato il volto dei conflitti. E' chiaro infatti che una cultura pacifista di tipo tradizionale è inadeguata in una situazione in cui guerre e conflitti non possono più essere interpretati sulla base di uno scontro che in modo più o meno deformato poteva comunque essere riferito a uno scenario che era quello della lotta di classe, della sua prosecuzione su un piano internazionale - come era avvenuto in altre stagioni -gli anni Cinquanta, quelli del Vietnam e poi gli .anni Ottanta- in cui il pacifismo e il movimento della pace avevano espresso grandi capacità di mobilitazione. Il secondo fattore di debolezza, quello decisivo, su cui vale la pena di riflettere, è costituito proprio dalla natura dei nuovi conflitti, dal loro volto mutato, dalla loro complessità e interdipendenza in un' epoca di accentuata e praticamente definitiva mondializzazione. Questa nuova situazione infatti enfatizza e svela definitivamente la debolezza delle nostre culture tradizionali, fino a renderle incapaci di interagirè con la situazione reale, di interpretarla e di aiutarci a intervenire su di essa. Nuovi conflitti, mondializzazione, cittadini del mondo Il nuovo scenario internazionale che si è affermato dopo 1'89, il fallimento del socialismo reale e la dissoluzione del blocco sovietico, ha disvelato il grande disordine mondiale che stava al di sotto dell'ordine bipolare. Ma nello stesso tempo si è accelerato un processo di mondializzazione che alla fine di questo secolo ci consegna una situazione di interdipendenza mondiale della quale non ci dovremo mai stancare di sottolineare la pericolosità e anche l'ingiustizia, il carattere oppressivo e violento. Ma di questo fenomeno, di questo rapido e profondo scarto in avanti del processo di mondializzazione che è avvenuto negli anni alle nostre spalle, dovremmo sforzarci di cogliere anche l'opportunità che rappresenta per chi rivendica una cultura della comunicazione,• d'ella collaborazione, della solidarietà internazionale. Per citare un articolo di Goffredo Fofi apparso qualche tempo fa su "Linea d'ombra", "il secolo che è morto nell'89 ci ha strappato il paesaggio e l'identità, la lingua e la storia; ma ci ha dato in regalo una cosa che il socialismo delle origini poneva sopra ogni altra, la possibilità di essere per la
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