La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 10 - dicembre 1995

PACE E GUERRA Il posto di Gandhi, ieri e oggi Gianni Sofri a cura di Federica Bellicanta Gianni Sofri insegna storia contemporaneaall'Università di Sassari.Ha appenapubblicato presso l'editore Giunti un volume dal titolo Gandhi e l'India. Ma la sua frequentazione con il pensiero del leader indiano risale ben più indietro nel tempo e ha giàprodotto altri studi oltre ad alcuni saggi pubblicati in rivista, il libro Gandhi e Tolstoj (Il Mulino 1985) in collaborazione con Pier CesareBori e Gandhi in Italia (Il Mulino 1988). ♦ Qual è il posto, l'importanza di Gandhi per la cultura occidentale del XX secolo? La storia di questo secolo non è più storia europea. Con il '900 termina del tutto la storia della separazione, cade l'idea di un'Europa impegnata a recitare il ruolo del princ:ipedella favola che sveglia la principessa dormiente, anche se nei libri per la scuola c'è ancora l'idea che gli altri continenti nascano alla storia solo quando gli europei li toccano, li sfiorano: se Marco Polo va in Cina allora si scopre la Cina, se Cortez e Pizarro vanno in Messico salgono improvvisamente alla ribalta le civiltà andine. Oggi non esiste più una storia nostra e una storia degli altri, esiste Ima storia di tutti e Gandhi si iscrive in essa in modo perfetto, perché è un personaggio fortemente indiano e fortemente universale ad un tempo in un secolo in cui l'universalità è una legge inevitabile. La sua vita e straordinaria nel dimostrare la circolarità dei rapporti: Gandhi nasce in India e in India trascorre la sua infanzia. A 13 anni secondo il costume del suo ·paese, sposa una coetanea. Quando, a 18 anni, va a studiare a Londra F praticamente ateo, nel senso che non si occupa di cose religiose. Riscopre le sue radici indiane entrando in contatto con persone inglesi innamorate dell'India e vicine a quella cultura dei Ruskin, dei Carpenter e dei Morris che noi oggi definiremmo "alternativa". Allontanandosi da casa riscopre casa, Non dimentichiamo comunque che il '900, oltre che il secolo della fine della separatezza, è anche il secolo della reazione alla fine di questa lontananza tra le culture, il secolo dei fondamentalismi e degli integralismi. Si cerca nel r,iccolo, nella parrocchia, nel villaggio, nella peculiarità religiosa e culturale una sorta.di nuova identità separata, quasi una protezione dalla minaccia incombente dell'uniformazione plan!;!taria: Da qui i molti fenomeni di particolarismo, di separatismo e di intolleranza che Gandhi avrebbe fortemente combattuto. Gandhi non era un fautore della separazione, bensì dell'incontro e della convivenza. Entriamo nel vivo del pensiero gandhiano. La disobbedienza civile come metodo di lotta pres~ppone una concezione dell'individuo molto precisa, perché solo un individuo altamente responsabile può permettersi di disubbidire. Gandhi sottolinea molto i fenomeni di socializzazione - in linea con la tradizione orientale che tende a privilegiare il Tutto sull'individuo - ma contem_poraneamente ha un grande nspetto per le singole persone. Lo stesso fatto che parli continuamente di una verità che ognuno pu.ò trovare dentro di sé, quasi con un'intonazione protestante, fa capire l'importanza accordata al singolo. È anche · vero che nel pensiero di Gandhi esiste pure l'idea di un mondo e di un "uomo nuovo" da costruire. Questa dell'"uomo nuovo" da plasmare, del foglio bianco su cui scrivere è una problematica che nasce con San Paolo, si diffdnde in Occidente e si sviluppa in America ad opera· degli inglesi eterodossi che hanno lasciato la loro patria. L' "uomo nuovo" lo ritroviamo poi nella rivoluzione francese con Robespierre e altri nella tradizione comunista fino a Mao. Ritorna anche in Gandhi, ma con una differen- ~ ., za fortissima rispetto a tutte le tendenze precedenti: nel suo pensiero c'è un'assoluta assenza di coazione, manca del tutto l'idea di poter costringere fisicamente o psicologicamente le persone a diventare uomini nuovi. In lui non troviamo campi di rieducazione o di riabilitazione attraverso il lavoro o campagne di pubblicità subliminale, ma solo un grande rispetto per l'uomo e per la sua libertà. Messo di fronte a un "uomo vecchio"', Gandhi non cercherà di conquistarlo con una qualsiasi delle forme della violenza, cercherà di persuaderlo. Non possesso, non violenza, non paura, non collaborazione. i[ ricorrere della negazione nelle parole chiave della sua filosofia di vita sembra alludere a un atteggiamento astensionista. Questa spia linguistica può essere concettualmente significativa ? Non c'è dubbio che in Gandhi ci sia una teoria dell'astensione. In un libro del 1909 - Hind Swaraj - Gandhi scrive una frase sconvolgente: "Il noh inizio di una cosa è saggezza suprema". È una frase che contiene in sé tutta la contraddizione del personaggio e di una cultura. È una frase molto conservatrice e però anche rispettosa degli equilibri naturali. Gandhi è indubbiamente uno dei grandi padri .lontani delle problematiche ecologiste, della risèoperta della lentezza, del rispetto per gli animali. Ma il ricorrere del "non" ci dice anche qualcosa d'altro. Forse diciamo "non violenza" perché è la violenza ad essere originaria, non la non violenza. Questo fatto ci porta ai discorsi che si fanno abitualmente sull'educazione alla pace, discorsi solitamente molto idillici, ma scarsamente incisivi. Non a caso si dice che spesso un'educazione pacifista all'acqua di rose fa verur voglia di menare le mani. Una vera educazione alla pace deve tener conto dell'aggressività come dato originario nella storia degli uomim. Il "non" è comunque anche una negazione dell'esistente ... Certo, il "non" è anche un opporsi, un saper dire di no, un resistere. In Gandhi c'è una concezione assolutamente attiva, costruttiva della non violenza, non si accontenta della resistenza passiva e meno che mai accetta l'ordine

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