La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

citare, non come usare gli o~getti in scena, ma come inventarsi il modo di trasformare una scala e un velo da sposa nel ponte di Brooklyn, non insegnai come si traspone un romanzo in teatro, inventai insieme agli allieviun modo di trasformare in teatro una novella di Francis Scott Fitzgerald. L'esperienza fu appassionante: non so quanto gli allievi impararono da quel lavoro, io però imparai moltissimo, per me.era stata scuola. Fui costretto per la prima volta a interrogarmi sulle procedure, a domandarmi come facevo a fare il teatro e a rispondere alla domanda. Decisi di non nascondere questa mia incertezza ai ragazzi, anzi proposi loro di seguirmi nella ricerca di queste risposte: proposi loro l'incertezza come metodo. Poi imparai anche che questa era una strategia che Renato Palazzi stava impostando, e per questo doveva superare difficoltà notevoli, mi sembrò un'im_presa ragguardevole che mi sentii di condividere: una scuola di teatro come permanenza del senso, della vita del teatro al di là del consumo degli s_pettacoli,un luogo in cui, attraverso l'osservazione delle tecniche se ne operi il rinnovamento. La "Paolo Grassi" voleva diventare questo, che è poi l'aspirazione di molti maestri che nel Novecento si dedicano alla pedagogia come a una attività indispensabile alla propria poetica. La differenza, o lo sviluppo dell'idea novecentesca di pedagogia teatrale, è che la Civica Scuola "Paolo Grassi" non è una scuola di teatro, è una scuola di teatri. Un luogo dove è possibile comprendere la molteplicità del teatro attraverso l'accesso a una pluralità di esrerienze anche molto differenti fra loro. (,2uesto potrebbe significare semplicemente che la Civica Scuola non è la scuola di un maestro ma di molti maestri, non il luogo di trasmissione di una tecnica ma di molte tecniche. In verità questo sarebbe perlomeno riduttivo. La mia esperienza mostra come il dato centrale non sia solo la quantità, che pure è importante, delle proposte che i ragazzi ricevono, ma la loro qualità. Il fatto cioè che si tratta di percorsi m atto, di teatri a cui si chiede di riflettere su stessi attraverso il lavoro concreto con gli allievi. In questo modo è possibile evitare la fossilizzazione accademica delle tecniche e di conseguenza del teatro. Naturalmente questo percorso ha dei rischi, anziché generare sicurezze spesso produce incertezza: ma lo scopo del teatro contemporaneo non è proprio proporre incertezze che contrap_pesino la rassicurante iperproduzione telev1S1va?E di consesuenza la funzione di una scuola di teatro è msegnare a collaborare con l'incertezza. L'incertezza peraltro è condizione indispensabile per ogni esperienza di conoscenza. Chi è certo della. propria vocazione, del proprio talento, non ha bisogno di una scuola, per contro chi è certo di non possederla ovviamente si occupa d'altro. Dunque la scuola non è il posto di coloro che crèdono che attpri si diventa, ma piuttosto quello in cui è possibile superare la contrapposizione tra il nascere o il diventare attori, tra qu~llo che sei e 9.uelloche sai. Quello che sei, le tue caratteristiche fisiche e vocali, la capacità di inventare, quello nel linguaggio corrente si dice talento, è preziosissimo ma è difficile da amministrare: va facilmente sprecato se non impari a conoscerlo, se non sai cos'è e com'è. Quello che sei e quello che sai non sono no- , f no I (( SUOLEPI VENTO zioni contrapposte, sono indispensabili entrambi e si possono comprendere in questo modo: sapere quello che sei. Una scuola che abbia quest'obiettivo mi sembra in grado di superare la contrapposizione tra il nascere o il diventare attori. E certo che non si fa l'attore senza vocazione, per professione, ma il mondo è pieno di talenti che non riescono a diventare ·attori di professione. Ecco perché mi interessa una scuola come il luogo in cui gli allievi sono accom.eagnati nella comprensione delle proprie possibilità. Naturalmente questo richiede allievi disponibili non all'apprendimento delle tecni:- che ma alla loro comprensione, non al loro consumo ma alla loro produzione. Questo crediamo sia indispensabile in questo momento, un momento in cui la caduta e la riformulazione delle convenzioni spaziali e temporali rendono inservibili molti strumenti tradizionali del teatro, per esempio la continuità drammaturgica: sempre più spesso i drammaturghi, più che sviluppi narrativi, si orientano alla produzione di specie di poemetti, contenenti però una grande densità di indicazione di percorsi teatrali. Questi percorsi non preveaono, come accadeva solo pochi anni fa, un freddo distacco concettuale in cui l'artigianalità dell'esecuzione poco importava di fronte alla qualità matematica dell' enunciazione delle presenza, ma richiedono comunque una forte presenza consapevole, capace di caricarsi di emozione e sentimento. In sostanza, come può un attore che non è al centro di un'azione teatrale convenzionale, c .>nil sipario che si apre, la scenografia che riproduce l'ambiente di riferimento, il costume che indica la ·sua identità di personaggio, come può all'interno di una convenzione diversa che è uno s_paziovuoto, oppure l'entrata in abiti quotidiani e la vestizione in scena, oppure lo scambio del personaggio, come può attraverso processi completamente svelati, non illusori, e non di immedesimazione arrivare però a comunicare un'emozione che per un attimo fa credere in quello che sta dicendo, in quello che lo spettatore vede, pur nella consapevolezza che un attimo dopo questa verità sarà svanita? Posto quindi che una certa forma di continuità drammaturgica sembra aver concluso il proprio cicl_oo comunque sembra che le esperienze del teatro contemporaneo si onentino diversamente. Posto che il teatro sempre più va verso forme dimostrative, come addestrare l'attore non tanto a essere freddo e distaccato per rispondere allo schema dell'attore brechtiano, come, non avendo una continuità drammaturgica e non avendo una continuità del personaggio, l'attore può tuttavia immettere una forte carica di sentimenti anche in frammenti di personaigio, o in frammenti di linguaggio? Come caricare di significati esistenziali, poetici, in sostanza di sentimenti, una narrazione apparentemente svincolata da nessi narrativi o reali. Queste sono alcune delle domande cui una scuola di teatro deve dare risposta, ecco perché è necessario superare la contrapposizione tra vocazione e professione, tra quello che sei e quello che· sai: ecco perché cerchiamo di costruire un luogo in cui sia possibile comprenderle, sintetizzarle armonicamente perché si possa tornare a giocare la partita del rinnovamento del linguaggio teatrale. ♦

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