giornalista d'agenzia· e infine a quello del quotidiano, gli addetti all'informaz10ne giocano a passa parola e, come sa chi ci ha giocato almeno una volta, finiscono per deformare quello di cui stanno J?arlando. Non si tratta di un'alterazione cosciente dei dati, della sostanza dei fatti, ma di qualcosa di più sottile e quasi invisibile. È il pathos della notizia, la sua carica di umanità, i suoi legami con un tempo e un luogo precisi che scompaiono dentro a1 circuiti telematici dei computer. Ne consegue che la notizia sembra valere di per sé e diventa un feticcio da trattare con tutte le cure possibili a prescindere dall'aderenza a una qualche remota realtà. Ma non restiamo sul generico. Tutti i giornali locali prendono gli articoli di cronaca nazionale da un'agenzia di stampa. Non solo dall'Ansa, la madre di tutte le agenzie, ma da innumerevoli altre - Aga, Agi, Full Press, eccetera - i cui servizi spesso non sono altro cpe riscritture, rielaboraz10ne dei "lanci" dell'Ansa stessa. Ecco perché gli articoli dei quotidiani non si differenziano per i contenuti, ma solo per lo stile, anzi per la maniera dello stile, virtuosìstico, vacuamente brillante se il giornalista è facondo e linguisticamente dotato, sciatto e notarile quando intervengono la fretta o lo scarso talento. Ecco spie$ata anche l'abbondanza di luoghi comuni, d1 stereotipi, di formule ricorrenti di cui è disseminata oggi la lingua della carta stampata. Il problema allora non è prettamente linguistico, come ha affermato tempo fa Umberto Eco nelle lezioni di $iornalismo pubblicate sulle pa~ine di un quotidiano. Come si può essere creativi "a freddo", rielaborando un comunicato stampa o un dispaccio d'agenzia? Come possono le parole rivelare la realtà e aderire alla realtà, se la realtà è remota e inessenziale a un lavoro di scribi, fedeli forse alla lettera, ma del tutto ignari dello spirito del verbo? Le redazioni dei giornali sono sempre più mondi chiusi, monadi senza finestre che comunicano con l'esterno solo attraverso i video. Molte di esse, per esigenze di spazio o per problemi di affitto, si sono spostate nelle zone industriali o in periferie sonnacchiose, perdendo del tutto i legami con la città e i suoi abitanti. Non è vero che sia morto l'inviato, perché il giornalista spesso si sente tale anche quando deve fare chilometri per andare a vedere, sentire, fiutare una notizia. A che pro se il giornale si può fare benissimo anche senza muoversi di un passo dalla scrivania? Telefono, computer, fax e ora anche banche dati, reti telematiche, Internet. e via informatizzando, hanno già da tempo trasformato il giornalista in un sedentario burocrate, tecnicamente all'avanguardia, veloce, efficiente, un po' scrittore, un po' dattilografo e poligrafico, consapevole di essere solo una componente dell'universale catena di montaggio della notizia. La deontologia professionale in queste condizioni perde gran parte del suo significato. Come verificare i dettagli di un avvenimento, come stabilire il suo esatto peso se l'interlocutore è una macchina. - Internet, dicono, risolverà tutti i problemi. Internet è il mondo che si rivela a se stesso, è l'assoluta trasparenza, è l'autentica democrazia dell'informaz10ne, è la fine dell'occultamento, è un grande dialogo planetario, un discorso collettivo, mai orchestrato prima d'ora, che tutti rivolgono a tutti. Due esempi? I primi in Occidente a sapere del terremoto di Kobe sono stati i solitari navigatori di Internet, che hanno battuto sul tempo le agenzie di stampa. Ed è stato.ancora Internet a veicolare la contro informazione, le notizie di fonte non governativa, provenienti dal Chiapas. Di questo passo i reportage e i servizi di politica estera si faranno viaggiando non in aereo ma dentro alla rete telematica mondiale, grande agenzia di stampa senza padrone e senza copyright, pluralista al sommo grado, capace di veicolare in tempo reale la grande babele di notizie, smentite e rettifiche e di mettere al confronto (o di confondere) verità e menzogne, della più disparata provenienza. Tralasciamo le implicazioni - terribili? esaltanti? - estranee al giornalismo. L'occhio telematico attraverso cui tutti guarderanno il mondo, ai fini della notizia, comporta ancora una volta, e ancora più pesantemente, il trionfo dell'astratto sul concreto, dell'ubiquità sulla prossimità, della velocità atemporale sulla lentezza e l'impercettibilità dell'accadere. Il destino dell'informazione consegnato ai video squalifica la vista diretta, il contatto con le contraddizioni e le imprecisioni dell'umano e in un certo senso sterilizza l'informazione. Si tratta del solito lamento misoneista, nostalgico di un passato artigianale che non tornerà mai più? Sono discorsi dettati dal risentimento e dalla paura del luddista, spaventato di fronte a un mondo che cambia troppo in fretta? Forse. Tuttavia già Adorno e Horkheimer avevano affermato che "gli uomini pagano l'accrescimento del loro potere con l'estraniazione da ciò su cui lo esercitano". In altri termini: un giorno, dopo aver messo a punto la gabbia mondiale delle telecomunicazioni, dopo aver portato in ogni luogo la grande Rete delle reti, potremo scoprire che dentro alla gabbia e alla Rete non c'è proprio nulla. Perché il mondo è altrove, e ne è scappato, senza che ce ne avvedessimo, da una smagliatura imprevista nell'intreccio dei cavi che avrebbero dovuto catturarlo e imbrigliarlo una volta per tutte. •
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