La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

ARTE E PARTE Lo zio di Brooklyn e i suoi nipoti GoffredoFofi Nel presente momento, la politica e la comunicazione sembra si siano fuse in una "cosa" unica, assolutamente separata da noi cittadini. Non è possibile agli abitanti della polis occuparsi del destino della polis. Esiste una sfera che contiene i politici di mestiere e i comunicatori di mestiere, con la quale non è più possibile interagire. Il risultato è che la seconda repubblica è assai meno "pubblica" della prima e che "fare politica" ha perso di senso, se con coloro che la fanno noi non possia-. mo interagire, se possiamo comunicare con loro solo via voto, sondaggio, fax. L'unica v~riant~ accettabile di questa s1tuaz10ne sembra essere quella della politica "municipale": lì, nelle "piccole patrie" locali, qualcosa si può e si deve fare, per contrastare il potere della sfera della politica "centrale" sulla quale, peraltro, sappiamo bene che continuano a pesare o dominare gli stessi poteri di sempre: il grande capitale industriale e finanziario nazionale e sovranazionale, nonché l'intreccio che si è stabilito tra di esso e molti poteri occulti, talora criminali. Nell'ambito dell'intervento nel sociale, a noi così caro e ragion d'essere della nostra rivista, gli attacchi portati allo stato assistenziale (attuati secondo la logica padronale del far pagare le spese della corruzione ai meno corrotti e ai più poveri, a chi meno ha) hanno spinto sulla difensiva le iniziative migliori, incapaci di conseguenza di dar battaglia, di avanzare. proposte coll_ettivamente utili e dirompenti. Lo spazio della politica e in parte anche lo spazio dell'intervento sociale risultano insomma chiusi o indisponibili a 9.uell'investimento.di t~nsiom di _cui in_c7rti tempi s1 sono fatti parziali contenitori. Resta, non meno corrotto e recuperato degli altri, ma - poiché si vive in un regime che potrebbe anche venir definito, sotto il profilo culturale, di "dittatura delle maggioranza" ma non di dittatura politica - ancora vivo e vitale il terreno dell'arte, che questa rivista ha frequentato poco e da poco,. e che invece andrà frequentato più assiduamente. In esso infatti si possono ancora esprimere le diversità e le irriducibilità, la non-conciliazione, la paura o ~enuncia del male e del negativo del mondo, la critica del- !' esistente, il bisogno di valori diversi, la prefigurazione di rapporti diversi, l'utopia non concreta ma anche quella concreta, e così via: quell'ins~eme di tensioni che possono nscattare l'esperienz_a del singolo in una dimensione di ricerca che lo oltrepassi e insieme lo potenzi, che a questa esperienza cerchi di dar senso e spiegazione. È ovvio che di questo modo di intendere l'arte, cosa gliene frega al mercato? (e ai suoi critici, ai suoi gestori, ai suoi mediatori). È ovvio che la sfera della politica e della comunicazione tendono a dare' dell'arte l'interpretazione più riduttiva, sociologico-tecnologiche da "tempo libero": la sua versione digestiva e meramente consolatoria, nonché commerciabile. · È ovvio che una nuova attribuzione all'arte di questi vecchi compiti, suùi tradizionali anzi tradizionalissimi, non può che sconcertare i filistei giovani e vecchi di destra e di "sinistra". Nondimeno ci sembra fondamentale che questo venga ribadito, e che si ritorni a parlare dei f rodotti della letteratura, de teatro, del cinema, della musica, della pittura, del fumetto eccetera in questa maniera, benché con la dovuta attenzione alla specificità dei discorsi. Chi non ha il dono di essere artista (e sappiamo bene, contro le illusioni di una "creatività" molto democratica, c~e gli artisti veri sono pochi, in grado di interpretare un'epoca e i suoi tormenti e di dialogare con essa alla pari senza farsi travolgere dai suoi rumori e colori e dalle sue droghe, ha, se di questo si occupa, il dovere di sostenere dialogando con loro, quelli pochi che un'arte dimostrano di possedere ed esprimere, in grado di sconvolserci o provoc~r~i, d~aiuta~c1 a capire e a cap1rc1, e m ogm caso di rompere il coperchio delle convenzioni e delle ipocrisie. E c7rtamente tra le poche opere d1 cui valga la pena di interessarsi oggi - più nel cinema e nel teatro, per esempio, che nella letteratura, ormai velocisissi mamente recuperata ai luoghi (valori) comuni, voluttuosamente accettati e diffusi dagli scrittori delle ultime "leve - ~i sono il film di Pappi Cors1cato (/ buchi neri) e ancor più quello di Daniele Ciprì e Franco Maresco (Lo zio di Brooklyn ). Sul film di Corsicato interviene in queste pagine Paolo Mereghetti, su quello di Ciprì e Maresco, molto diverso, è _opportuno ribadire la conv111z1one di trovarsi di fronte a un film straordinario, anzi unico, l'equivalente forse di ciò che per la generazione degli anni Venti (uscita dalle carneficine della _prima guerra mondiale e destinata a bruciarsi nella seconda) dovettero essere film "d'avanguardia" come quelli di Bunuel e Dalì. Ma allora quella che veniva aggredita e affermata era . l'impotenza borghese, la morte borghese, mentre oggi è dell'impotenza dell'uomo che si parla, e dell'incapacità dell'umanità a proporre valori e storia e futuro, a proporre speranza, a proporre soluzioni ai disastri da essa compiuti, tremendamente accelerati in quest'ultima metà di secolo. Lo zio di Brooklyn, con i suoi protagonisti veri emarginati palermitani, con il suo scenario periferico palermitano, non è un film palermitan?, è un film che risuarda il Pianeta Terra e i suoi abitanti e lo fa con una riflessione figurativa che integra e comprende la storia del cinema e ne verifica Ja distanza e la morte (un "classicismo" sconfitto, perché sconfitta è l'immagine dell'uomo che poteva ancora proporre), e soprattutto con una riflessione metafisica e poetica il cui "estremismo" è giustificato e sacrosanto, i cui interrogativi chiedono senso, o i perché del non-senso. ♦

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