La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

la declinazione specifica di un problema generale che è sempre lo stesso: prendersi cura dello spazio che è di tutti. È un principio banale con implicazioni molto concrete: vuol dire che i metri cubi che interessano al cliente - privato, cooperativa, comune, non fa differenza -, le altezze e le distanze che prescrive il Regolamento Edilizio, insomma la miriade di istanze che ogni parte coinvolta in un intervento avanza, non sono che una piccola importante parte dei problemi di cui l'architetto è chiamato a farsi carico. Ciò non significa affatto che sia sempre la stessa cosa, anzi. Un progetto è (dovrebbe essere) la somma del programma, delle istanze, dei conflitti che lo attraversano: ogni volta diverso. Prima però viene lo spazio di tutti, nello specifico quella sua porzione che è il luogo concreto (che è poi ciò che con la sua complessità rende "non-algebrica" la somma dei fattori precedenti). I luoghi Una frase breve di Alvaro Siza spiega meglio di molti discorsi: "Nessun luogo è un deserto. Posso sempre essere uno dei suoi abitanti." Ecco, nessun architetto ha più scuse. Non c'è angolo sbandato di periferia che sia uguale a un altro, al contrario di quello che sembra. Ogni luogo ha una storia, ha tracce· - materiali e non - di resistenza all'omologazione della città-periferia, alla sua riduzione a non-luogo. Ha abitanti, luci, percorsi, conflitti. · Bisogna rovistare nella disperazione fisica della città e dello spazio contemporanei. Ci sono punti su cui fare leva per intervenire, per radicare gli spazi e le case. Prima di qualsiasi giudizio, bisogna riconoscere il luogo. Vale per i luoghi ciò che il monaco buddista Tich Nhat Hanh consiglia per l'alimentazione: "Prima di portare alla bocca un fagiolo, prendete il tempo di guardarlo, riconoscetelo come tale, non scambiatelo per i vostri progetti, le vostre preoccupazioru. Siate con i fagioli, non masticate il futuro, il passato, i vostri progetti." Architettura quantitativa La situazione attuale spinge sempre di più e con sempre maggiore violenza :verso un modo di costruire quantitativo, che vale l?er le case come per gli spazi aperti, i rari parchi, le piazze ecc. Si tratta sempre e soltanto di soddisfare delle quantità. La degenerazione delle macchine burocratiche, gli interessi degli imprenditori e delle proprietà, la comodità degli architetti, la compartimentazione assoluta degli Uffici Tecnici, l'impazzimento legislativo e normativo, l'impreparazione di amministratori e politici (opposizioni e ambientalisti compresi) e infine il disinteresse generalizzato per l'assetto fisico, concreto, degli spazi e delle cose, premono con forza in questa direzione. Un architetto fa il progetto di una casa, magari già brutto per conto suo; il committente gli dice poi di aggiungere un paio di piani, l'Ufficio Strade gli impone di spostare l'edificio di qualche metro indietro, l'Ufficio Piano Regolatore gli prescrive di aggiungere un portico, la Commissione Edilizia suggerisce di cambiare la dimens10ne delle finestre e la forma del tetto. Questa è la storia media di un progetto in una qualsiasi grande città italiana. Come si organizza quindi l'architetto? L'edificio (o la piazza, il parco ...) dovrà essere fin dall'inizio uno scatolone il più possibile privo di vita e di legami, assolutamente indifferenziato, il più vicino possibile al niente, che possa essere affettato, scomposto e ricomposto col minor sforzo possibile. Ecco guindi lo scatolone di specchi del terziario delle nostre città, ecco i parallelepipedi delle abitazioni, travestiti da "Mulino Bianco" nei centri storici e nelle periferie un pochino ricche, nudi in quelle più povere. Se può esistere oggi un modo per fare in maniera "militante" il mestiere di architetto io penso che sia quello di resistere con tutte le proprie forze all'avvento definì tl vo della "architettura quantitativa". Continuando a cercare lo spazio abitabile: una architettura sufficientemente solida· e aperta da poter accogliere conflitti e cambiamenti, che sappia trasformarli in occasioni, ma che insieme si radichi nello spazio, stabilisca legami autentici, riconosca luoghi, sia vitale e differenziata. Non rinunciando a cercare l'unità fra i frammenti e le laceraz10ru. "Partendo da pezzi isolati, cerchiamo lo spazio che li sostiene" (Alvaro Ziza). Lo spazio aperto Forse è la questione più importante. Ormai produciamo solo o~~e~ti. (?gg~tti sempre più vicini e stipati, ma separati e lontanissimi tra loro. Forse il più terribile difetto della città di oggi verso la città storica è questa condizione di solitudine assoluta dei pezzi che la compongono. Mentre in ogni epoca, in modo sempre diverso, lo spazio, aveva saputo essere continuo, fluido, articolato in case, recinti, piazze, paesaggi, orti, ponti, cortili ..., c'era la piccola, la grande dimensione e tutte quelle intermedie, oggi ci sono solo oggetti nel vuoto, e un'unica dimensione. Nella città trasformiamo in oggetto senza legami anche il "verde": il giardinetto, l'aiuola. Per risarcire la città attuale fatta di oggetti e di vuoto, dobbiamo provare a privilegiare in ogni tema che affrontiamo la categoria dello spazio aperto, come elemento capace di connettere le cose tra loro. Lo spazio aperto ribalta la prospettiva, rivolta come un calzino la lettura della città. Privilegia il fuori, raccoglie in un tutto quanto di più possiamo amare nella città: i parchi, le piazze, gli SJ?iazzi,le vie e i viali, i campi giochi, i mercati, i cortili, i giardini piccoli e nascosti, i grandi sterrati. In pratica tutti i luoghi dove si può andare a spasso. Gli ambientalisti non possono limi tarsi a chiedere il "verde". È troppo poco: il "verde" può essere a sua volta isolato, ghettizzato, come puntualmente accade, e la città può continuare indisturbata il suo suicidio. Se parliamo di spazio aperto è tutta la città che viene messa in discussione, che deve cambiare. Perfino gli edifici, tutti gli edifici, possono nascere m funzione dello spazio aperto, a cui possono dar luogo, su cui possono affacciare, che possono ospitare, custodire e accompagnare. Lo spazio aperto è veramente di tutti. •

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