BUONI E CATTIVI GLI IMMIGRATI Francesco Carchedi Giancarlo De Cataldo Patrizia Bagassi, Giorgio Morbello "Senzaconfine", Lorenzo Trucco UN FANTASMA SI AGGIRA PER L'ITALIA Francesco Carchedi a cura di Vittorio Giacopini Sulla questione dell'immigrazione si agitano fantasmi, paure, tensioni poco controllate. Proviamo intanto a chiarire il paesaggio, a partire dai "dati". Di cosaparliamo? Quali sono le dimensioni reali del fenomeno? In quale storia si inseriscequesta vicenda? Ormai è noto che l'Italia è un paese di immigrazione. Qu(.!sto vuol dire semplicemente che l'Italia attrae manodopera da altri paesi. L'Italia è meta di flussi migratori, di collettivi, di contingenti di popolazioni provenienti da altri paesi che trovano da noi la possibilità di cambiare vita, di soddisfare bisogni occupazionali, di avere un'esistenza migliore, per poter sfuggire a situazioni di carestia o a persecuzioni politiche, ecc. L'Italia, come tutti gli altri paesi europei, assolve in questo l?eriodo storico a questa funzione. È una funz10ne che deriva dalle trasformazioni interne di ordine· socio-economico che il paese ha conosciuto negli ultimi trent'anni. Questa è una cosa che si dimentica troppo spesso: l'Italia è un paese industrializzato, a capitalismo avanzato, che sta all'interno di un'alleanza con altri paesi occidentali, che dispone di una base produttiva, seppure tra mille contraddizioni e div.erse forme di arretratezza, molto sviluppata. È un paese quindi che all'interno dei suoi interstizi produttivi presenta delle zone dove è possibile essere occupati a condizioni che non sono quelle previste dai contratti nazionali di lavoro, e che non sono coperte da garanzie politiche, istituzionali, ~iundiche. Si tratta di posti di lavoro fluttuanti, che vengono occupati sia da lavoratori indigeni, autoctoni, sia da immigrati. In sostanza non è affatto vero che questi lavori li facciano solo gli immi~rati; questi sono più visibili - e le loro condizioni più disagiate - perché non hanno intorno una "struttura" protettiva_, come la casa, i servizi, le relazioni forti di vicinato, ecc. Si dice spesso invece che in alcune zone, in certi distretti industriali del Nord, alcune forBUONIECAWY/ me occupazionali siano ormai appannaggio quasi esclusivo degli immigrati ... Sono generalizzazioni da considerare con grande prudenza. In Europa, altri paesi europei, in particolare Francia, Germania, Belgio, Olanda, Inghilterra hanno avuto una forte presenza di immigrati già dal secondo dopoguerra. Ma era un problema diverso. La grande impresa avev.a b1so~no di manodopera. Furono stipulati contratti e accordi bilaterali tra questi paesi e i paesi esP.ortatori di manodopera. Ci sono accordi bilaterali stipulati anche dall'Italia, quando però il nostro paese era solo paese di esportazione di manodopera. Tutte queste fasce di lavoratori immigrati che andavano a lavorare nelle grandi fabbriche - alla Volkswagen, alla Renault, alla Austin - ovviamente erano collocate all'interno dell'impresa con tutte le garanzie istituzionali, ma inseriti nei settori più pericolosi e umili. In Italia questo non è stato possibile perché negli anni Settanta la forte ristrutturazione delle grandi imprese, la decentralizzazione delle attività produttive, hanno in sostanza modificato la struttura interna della grande impresa e di tutto il circuito indotto e quello produttivo della piccola e media impresa, ma non in direzione delle garanzie giuridico-sindacali. In tal maniera. si sono venute a configurare delle forme di lavoro sommerso, non tutelato e difficilmente tutelabile dal punto di vista sindacale; forme di lavoro che hanno sorretto la nostra economia e la stanno ampiamente sorreggendo ancora oggi. Gli immigrati trovano impiego in questi contesti; si inseriscono in questo quadro preesistente. La collocazione in questa sfera sommersa (caratterizzata dalla cosiddetta flessibilità che vuol dire semplicemente: lungo orario, stipendi bassi, condizioni precarie di sussistenza, alta mobilità) è molto conveniente per ovvi motivi di lauti guadagni. Nessuno si preoccupa di far riaffiorare, di regolarizzare questa fascia di lavoro sommerso, al cui interno ci sono anche gli immigrati. Questo è il quadro in cui si innesta il problema. Ma quanti sono gli immigrati? Qual'è l'ampiezza reale del fenomeno? Sulla questione delle "cifre" c'è un'enorme strumentalizzazione politica. Chi riflette su questi problemi da molti anni sa che questo dibattito - adesso particolarmente esasperato perché oggi abbiamo una destra molto ringal- · luzzita - va in realtà avanti dal 1975, cioè dal momento in cui l'Italia si è scoperta per la prima volta paese di immigrazione.
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