La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

conciature africane innestate sulla stravaganza newyorchese: "Ancestral Roots ", "African traditions", spuntano ovunque le insegne dei parrucchieri con i colori del continente rosso, verde e nero. ' Afro-americani si definiscono i neri americani, ma il loro rapporto con la Terra Madre oscilla tra il disprezzo, la vergogna e la stima cieca e incondizionata. Ritrovare le proprie radici africane è fonte di orgoglio culturale, fa sentire più forti e protetti da un retroterra. L'afrocentrismo, dicono i giovani dei ghetti, ci ha aiutato a salvarci dal crack e dal crimine. Le agenzie turistiche offrono viaggi nella madrepatria, Nigeria, Ghana, Senegal e Isola di Goré, i paesi dell'infausta Costa degli schiavi da cui per tre secoli furono deportati nelle Americhe più di sessanta milioni di schiavi. Nei giornali di Harlem, il City Suno l'Amsterdam News si legge di associzioni, cerimonie, rituali recuperati alle tradizioni africane, come quello dell' "Orita", che viene dalla Nigeria, un rituale di iniziazione per ragazzi dai 14 ai 18 anni alla vita collettiva e familiare, o la tradizione del!' "ile omogwo", l'assistenza alla puerpera e al neonato fino a sei mesi, o le "Breast feeding brigades" per il rilancio dell'allattamento materno. Incoraggiati dai tagli al welfare e dalla maniacale ipocondria nazionale, sono in grande auge anche i guaritori che curano con erbe e radici africane ogni tipo di male fisico e morale.L'afrocentrismo è davvero un concreto ed efficace strumento di riscossa per i rieri di New York? "La grande madre Africa, le radici, sono divagazioni, sciocchezze inutili che si spiegano con la rabbia contro la situazione sociale, ma non ci aiutano", dice Bruce Wright, una lunga carriera di giudice tra Tribunale Criminale, Tribunale civile e Corte Suprema. "La grande debolezza della nostra lotta è sempre stata proprio quella di non avere un paese a cui tornare, come tutti gli altri immigrati, gli irlandesi o gli italiani, i cinesi. Noi, nel bene e-nel male, siamo costretti a essere americani. E poi, francamente, come potremmo identificarci con l'Africa? Che cosa c'entro io con i villaggi di capanne, figlio di un'irlandese e di un nero newyorchese, cresciuto ad Harlem? Gli African cercano tutti di diventare europei e noi vogliamo tornare africani?" I naturali alleati dei neri sarebbero stati i Latinos, dice Wright, l'altra grande maggioranza di New York, ma la politica della città è stata sem2re quella del "divide and rule" e a forza di fomentare la rivalità tra i due gruppi, considerando contro ogni evidenza i latinos come bianchi, sono riusciti a farne due gruppi rivali. Bruce Wright, autore di un libro sull'ingiustizia della giustizia americana, "Black Rope, White Justice" (toghe nere, giustizia bianca), è pessimista sul futuro dei neri americani. Da una parte ci sono gli afrosaxoni, come lui li chiama, la borghesia nera, preoccupata solo di somigliare ai bianchi, dall'altra i poveri che si chiedono perché far studiare i figli se poi non troveranno mai lavoro o saranno i primi a essere licenziati. I bianchi hanno castrato così a lungo i neri che ormai non ce n'è più bisogno, perché hanno imparato a farlo da soli. "Non c'è niente che possa curare la ferita della razza", dice il giudice Wright. "La questione della schiavitù è ancora molto viva nella testa degli americani. La discriminazione fondata sul colore della pelle, non è immorale ai loro occhi, ma perfettamente naturale, una visione del mondo inseparabile dalla storia ame- . ,, ncana . Latinos Alla stazione della metropolitana di Times Square un gruppo di portoricani bivacca sul binario nell'attesa del treno per Queens: due donne, un giovane uomo, tre ·adolescenti e quattro bambini piccoli. Hanno tutti colori diversi, dal nero al marrone caldo, dall'olivastro scuro al quasi bianco. urlano, si chiamano, ridono, cantano sul filo della musica dei walkman o della lunga radio che pende dal braccio teso di uno dei ragazzi. Hanno due passeggini e un carrello magro da supermercato traboccante di borse e buste di plastica. A turno affondano mani voraci dentro enormi sacchetti e tirano su manciate di pop-corn, patatine, croste croccanti chissà di che cosa, poi se li passano, stappano lattine di aranciata, si versano Coca-Cola da un bottiglione alto come un bambino di tre anni, SJ?utano, riaffondano la mano nelle croste, si nattaccano al bottiglione, appallottolano sacchetti, schiacciano lattine e bicchieri con una mano sola e li lanciano con forza sui binari. Finito di bere e sgranocchiare, ciucciano golosi le cannucce. La più vivace delle donne ha sulla testa un ciuffo di treccine tinte di biondo e strette da un fermaglio di lustrini con la scritta "Money". Sotto la maglietta a rete nera, corta appena sopra l'ombelico, si intravede un grande reggipetto nero. Il sedere tondo e sporgente è spremuto da un paio di jeans a frange, tagliati poco sotto il pube e stretti da un largo cintone di cuoio. Dalle orecchie pendono grandi cerchi d'oro, le unghie sono lunghi artigli rosa pallido, ai piedi porta altissimi zoccoli. Quando la musica della radio le passa vicino, spinge avanti e indietro la pancia e il sedere con un paio di colpi automatici e perfetti. Il bambino più piccolo è figlio suo e dell'unico maschio adulto del gruppo, troppo giovane per esssere il padre dei più grandi. L'altra donna ha addosso un abito cortissimo e aperto su mutande a calzoncino nere. Ragazzi e bambini portano tutti la stessa canottiera scollatissima sotto le ascelle, clowneschi bermuda che arrivano alle caviglie, scarpe Nike nere e tutti hanno lo stesso taglio di capelli: crani rasati fino alle orecchie con un isolotto di capelli lisci più lunghi appoggiato sulla cima della testa. Alternano un americano contratto e aggressivo di 'down dere', 'yea', 'foggedid', 'meig e left', a uno spagnolo languido e docile. Arriva il treno F e in un attimo li inghiotte con i passeggini, i carrelli pieni di borsè, i bambini, le bottiglie di Coca-cola, la lunga radio. Sul marciapiede di colpo vuoto resta un tappetino di detriti, cannucce, sacchetti non andati a segno e l'eco della loro brutale e irriducibile vitalità. Solo allora, alzando gli occhi, mi accorgo che un'insesna in spagnolo mette in guardia le famiglie d1 latinos dal rischio di avvelenamento da piombo nei loro appartamenti cadenti dove l'intonaco si stacca dalle pareti. ♦ PIANETATERRA

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