PIANETATERRA Addio alla cooperazione internazionale? Nicola Perrone "Chiediamo che il Parlamento compia un atto di razionalità e di coerenza decretando la chiusura della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (Dgcs) del Ministero degli Affari Esteri e l'immediato Commissariamento della stessa in modo da garantire un totale risparmio di fondi per il 1996". Così hanno dichiarato i Presidenti del Cipsi, Cocie e Foceiv, le tre maggiori Federazioni delle organizzazioni non governative italiane che operano nei paesi in via di sviluppo, di_fronte_agli inade~ guau stanz1ament1 contenuti nella proposta di Legge Finanziaria presentata in Parlamento dal Governo Dini. La cooperazione allo svil~ppo i~aliana negli 1;1ltim~anni ha vissuto una s1tua,z1one di paralisi quasi totale. Infatti si è passati dai cinquemila miliardi di finanziamenti pubblici del 1991 ai cinquecentottanta del 1996. La denuncia non è ideologica, ma è basata su alcune contraddizioni palesi. La prima: con i cinquecentottanta miliardi previsti per il 1996, non esiste nessuna effettiva risorsa disponibile per l'assunzione d1 nuovi impegni in progetti di cooperazione allo sviluppo. Cioè l'Italia non è in grado di attuare una politica di cooperazione a sostegno dello sviluppo dei paesi più poveri del pianeta. Bisogna dirlo con chiarezza e ad alta voce. Quindi, coerentemente, è necessario chiudere la struttura ministeriale che dovrebbe svolgere questo compito. È inutile assumere grandi impegni verbali nelle conferenze internazionali, se poi non si è in grado, o non si ha la volontà politica di realizzarli. Ma vediamo concretamente le voci di spesa più rilevanti dello stanziamento del Fondo di cooperazione allo sviluppo per il 1996, che hanno portato a questa eclatante presa di posizione. Le spese di struttura della Direzione Centrale sono sessantadue miliardi, pari al 21 % , per il puro funzionamento di ordinaria amministrazione. Che senso ha tutto ciò in presenza di una denuncia della Corte dei Conti che sottolinea l'incapacità della Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo di procedere all'impe~no delle risorse già disponibili nel 1995? La cosa rasenta il ridicolo quando si arriva, per il secondo anno consecutivo, alla mancata erogazione di qualsiasi tipo di contributo per rimborsare i finanziamenti anticipati dalle organizzazioni non governative per progetti in corso in Africa, in Asia e in America latina. Siamo all'impotenza gestionale. La copertura degli oneri di contenzioso con le imprese prevede sessantacinque miliardi, che sono conseguenza di un cattivo funzionamento rispetto alla gestione passata. Poi sono previsti novantotto miliardi di crediti di aiuto per il lancio di programmi a sostegno dell'imprenditoria locale: perché destmare questi fondi - in assenza di una coerente e continuativa politica di cooperazione allo sviluppo - con stru~enti che in passato sono stati sostegno al commercio estero dell'Italia? I contributi agli organismi internazionali di cui l'Italia è membro ammontano a centosettantatrc miliardi; il sostegno a progetti di aiuto alimentare e di emergenza è di sessanta miliardi, quando a livello di Unione Europea già esistono strumenti e risorse finanziarie ben funzionanti al riguardo. Rimangono pochi spiccioli per la prosecuzione dell'assistenza umanitaria in Bosnia e nell'exJugoslavia (cinguanta miliardi), alcune borse d1 studio per cittadini provenienti dai paesi in via di sviluppo (trenta miliardi) e i contributi per i programmi delle organizzazioni non governati ve (quarantadue miliardi). È evidente che in questa situazione è meglio chiudere. E tutto ciò è stato possibile anche grazie all'indifferenza di questa sinistra, e di questo Parlamento che è sordo e insensibile di fronte a questi problemi in altre faccende affaccendato. Il declino della politica. Una lenta agonia Questo è solò l'ultimo atto di una lenta agonia della cooperazione internazionale, che dal 1992 sta attraversando una fase di crisi delle tradizionali forme, non solo a livello di risorse finanziarie disponibili, ma anche di principi di riferimento: il fenomeno mette in discussione l'intero rapporto di solidarietà tra Nord e Sud del mondo. Soprattutto adesso, dopo la fine della guerra fredda, perché la cooperazione non è più uno strumento strategico subordinato alla politica estera. Assume una valenza economica - commercio estero -, nell'intento di promuovere rapporti di colla1?~razi?!'le _frasog~et~i econom1c1 o s1ispira a pnnc1pi di sicurezza nazionale, improntati a obiettivi di difesa contro i crescenti flussi misratori. ~emp~e i_ndif~sa degli interessi e dei sistemi economici del Nord del mondo. Se _prima dominava la lottizzaz10ne e l'affarismo dei partiti, poi è subentrata l'assenza del Parlamento, la burocratizzazione, una vera e propria "agonia gestionale" che ha bloccato quasi completamente l'attività, i progetti nei paesi in via di sviluppo, im_pegni -già presi. Molte Organizzazioni Non Governative (Ong) sono allo stremo, costrette a chiudere o licenziare drasticamente. In questo modo politico e gestionale è necessaria una riforma legislativa seria. Eppure la Legge n. 49 del 28 febbraio 1987, chiamata "Nuova disciplina della cooperazione italiana con i Pvs", era stata vista con favore da tutti. Molti gli elementi innovativi: il controllo politico centrale (governo, Ministero degli Esteri, Parlamento); la definizione dei ruoli: politico, diplomatico e tecnico; il coinvolgimento della società civile (Enti Locali e Regioni). Tutti questi clementi sono stati via via stravolti e annullati dalle decisioni dei ministri che si sono susseguiti al dicastero degli Esteri. È evidente che è urgen-
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