LA MAESTRA E' UNA "GAGIA" Chiara Conotter Chiara Conotter, maestra, ha insegnato ai bambini zingari a Trento. ♦ Per due anni ho insegnato in una sezione di Scuola dell'Infanzia provinciale all'interno del Campo Sosta autorizzato di Trento. Prima di accettare questo incarico non avevo mai avuto l'opportunità di conoscere persone zingare se non occasionalmente incontrato per strada donne con bambini che domandavano la carità. Del mondo zingaro non sa~evo pressoché nulla. Mi ricordo clie i miei gemtori mi dicevano di restare lontana dagli zingari perché c'era il pericolo che portassero via i bambini. Abitavo n un piccolo paese e mi è successo ancora, da bambina, di ascoltare i discorsi dei grandi che sfortunatamente erano stati "visitati" da loro e parlavano di donne con grandi gonnelloni e capienti borse, scaltre nell'inventare frottole se orprese, ma soprattutto veloci come il vento. Ho scoperto però che anche i genitori zingari mettono in guardia i loro fi&lida noi "gagi". Infatti Schina (5 anni) un g10rno, mentre ~ravamo a franzo, mi esternò questa preoccupazione: - Tu maestra, sei una gagia?" - Alla mia risposta affermativa continuò: - "I miei ge- '1itori mi hanno detto che i gagi r.ortano via i bambini!". Le risposi che avevo già due fi~lie e :he le maestre non fanno del male ai bambmi. Quando le mie colleghe sono venute a co- 'loscenza della mia scelta, dapprincipio non ci ~redevano. Sono rimaste stupite. Il loro disa- ~io era stampato nei loro occhi mentre mi di- ·evano che non sarebbe stata un'es.Perienza faile. Anch'io mi sentivo titubante, m particolar -nodo perché si trattava di una sperimentazio- 'le mai effettuata prima e si doveva impostare ina scuola, creandola dal poco o nulla che si ·veva a disposizione, sia in termini materiali he di conoscenza di base del loro mondo. Solo attraverso l'esperienza diretta avrei )Otuto avere un reale riscontro. Sono parecchie le motivazioni che mi han- ·1Oinvogliata ad affrontare tale sperimentazio1e: curiosità verso una cultura così diversa dala mia, volontà di impegnarmi· in prima persoa, sfida verso me stessa per mettermi alla proa e non ultimo, l'intuizione personale )rofonda ed inspiegabile di sentirmi pronta ad ntraprendere un nuovo percorso. Non avevo mai ,visto un Campo Sosta. ~uello di Trento è stato costruito da poco, seondo le ultime normative provinciali ed è bitato dal dicembre 1992. L'obiettivo principale del primo .anno di tale sperimentazione è stato quello di far co- ) e noscere la scuola alle famiglie zingare, far superare la diffidenza e la paura che hanno net confronti dell'istituzione. Fondamentale è stato il nostro lavoro d1 Accoglienza, non solo nei confronti dei bambini, ma dell'intera comunità zingara. Con la mia collega, ho proposto ai genitori, fin dall'inizio, che la porta dell'aula rimanesse aperta per favorire la conoscenza reciproca e avere un collegamento con gli avvenimenti quotidiani del Campo e della Scuola. Tale proposta è stata accettata da tutti. In tal modo il trattenersi di un bambino all'interno della scuola diventava una sua scelta e non un obbligo. Dal diario quotidiano 9ell'1.10.1993 ...Entrano accompagnati dal papà, Emily (5 anni) e Nicolas (4). Si danno la mano. Emily tiene la testa e lo sguardo abbassati e sembra che Nicolas la guidi verso di noi. Sembrano intimiditi, nascondono i visi e nonostante il nostro invito a mangiare pane e nutella, preferiscono andarsene. Nicolas ritorna più tardi, per un po', attirato dall'attività successiva. ...Come previsto si gonfiano i palloncini e i bambini giocano lanciandoseli addosso. Collaborano a gonfiare i palloncini la mamma e la zia di Eveline e l'operatore Gianguido. Tutti assieme ci prepariamo a portare alla famiglia di Isacco i palloncini e un sacchetto di caramelle per la festa del suo Battesimo. Troviamo il bambino in una culla all'interno di un'automobile nei pressi di una tettoia in legno co- . struita af positamente per la cerimonia. Conosciamo i papà che sembra gradire il nostro regalo. Siamo osservati da molte persone. Tutti, adulti e bambini, potevano entrare ed uscire dall'aula. Questo ha comportato il verificarsi di un "andirivieni" che all'inizio aveva le caratteristiche di un gioco, sperimentato da tutti i bambini ma poi usato in prevalenza da quelli più piccoli, che ~erò poteva rivelarsi pericoloso. Infattt ricordo quanto Ma1en (4 anni) rimase con la mano schiacciata tra la porta durante !"'andirivieni" di altri bambini. Suo padre arrivò poco dopo avvisato da un ragazzino più grande che era presente al momento dell'incidente e nonostante l'infortunio fosse di scarsa entità dovetti subire una scenata: urlando a sguarcia~ola disse che non avrebbe mandato più i suoi figli a scuola perché non eravamo in grado di accudirli. Non nascondo di aver provato paura alla reazione esagerata e violenta, tanto da temere che da un momento all'altro la situazione sarebbe precipitata. Non persi la calma e spiegai com{tosi sono svolti i fatti. Lui interruppe il mio discorso con: - "Parole ... parole ... m1 sembri un avvocato!". Dopodiché si girò e se ne andò con il suo bambino 1n braccio ... Per molti mesi non fece frequentare la scuola ai suoi bambini. Questo avvenimento ci fece riflettere, perché da una parte c'erano alcuni genitori che premevano per farci chiudere la porta a chiave (anche se loro non l'avrebbero mai fatto e nonostante la decisiorte collettiva iniziale) risolvendo loro un problema relazionale con i figli di responsabilizzazione che secondo noi invece era opportuno affrontassero. Dall'altra ne scapitava l'immagine stessa della scuola che proprio nella fase iniziale aveva bisogno di mostrare quello che voleva dif'rt ')' A
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