SUOLE DI VENTO Stefano Laffi, Carlo Drago, Emiliano Morreale, Giuseppe Pollicelli, Gabriella Giandelli, Stefano Ricci, Giuseppe Mazza, Riccardo Bruno, Paolo Pagani, Antonio Scrivo OGNI GIORNO UNA SCELTA Stefano Laffi Se dovessi proporre un tema per un seminario, per un corso di formazione, per una materia liceale o universitaria in un mondo dove scuola e accademia sappiano mettere a fuoco la realtà fuori dalle loro mura, non avrei dubbi: la scelta, il processo di decisione. Come dire, se dovessi individuare un tratto culturale forte del mondo giovanile, una malattia sociale dei nostri tempi, parlerei proprio di "impasse" decisionale, di paralisi, di sospensione e rimoz·ione delle scelte. I cordoni ombelicali sono diventati tenacissimi: l'università che si protrae per 10 anni, o non si finisce, o si cambia dopo anni, il nucleo familiare d'origine da cui non ci si riesce più a separare, i figli che non ci si decide a mettere al mondo. E i passaggi sembrano sempre meno definiti e definitivi: il lavoro che si intraprende già con l'idea di cambiarlo alla prima occasione, le scelte elettorali che avvengono ormai in cabina e che ripartono osni volta da zero. Insieme a una generica attitudine a recalcitrare per la scelta univoca, l'appartenenza forte: si preferisce tenere sempre aperto il ventaglio delle possibilità, giocare con l'ambiguità di non dirsi né questo né quello, accumulare e mischiare (nel lavoro, nelle cerchie dei rapporti interpersonali, ne&li impieghi del tempo libero), con l'euforia dell'onnipotenza, nel compiacimento di essere o esser stati un po' dappertutto - e quindi mai esclusi da qualunque discorso - al riparo dalla critica o dal contraddittorio ch_eporta con sé l'appartenenza dichiarata. Posto che questa tendenza sia vera, non è necessariamente in toto negativa, né sicuramente si può considerare pervasiva dell'intero universo giovanile. Anzi: c'è un emisfero di quell'universo, in gran parte l'emisfero sud (fisico o simbolico) in cui i passaggi e le scelte avvengono, eccome, fin troppo presto e definitivamente. La precocità dei passaggi è ormai considerata uno dei dati bio&raf 1ci che con maggior probabilità predice il nschio di cadere SUOLEDI VENTO in condizione di povertà, esclusione, devianza: l'abbandono precoce del percorso scolastico, l'ingresso precoce nel mondo del lavoro (senza quindi una formazione forte, una gualificazione che metta al riparo dai rischi di disoccupazione), la formaz10ne precoce di una famiglia (senza le risorse per mantenerla o semplicemente senza la serenità economica o la matu-· rità individuale e di coppia), la fuoriuscita precoce dal mondo del lavoro (proprio perché maggiormente esposti al rischio di disoccupazione, ma a questo punto del percorso biografico con una famiglia alle spalle, quindi maggior fabbisogno, minor flessibilità e maggiori tensioni psicologiche). A maggior ragione il discorso vale quando i passasgi e le scelte non riguardano queste transiziom, comuni e "normali", ma le ramificazioni devianti degli itinerari di vita, in cui fra l'altro incapea con maggior facilità una biografia che ha già conosciuto passasgi precoci: tossicodipendenza, microcriminalità ed esperienza car"ceraria sono evidentemente eventi in grado di sconvolgere i calendari di vita dei singoli, impedendo o rendendo assai ardue proprio scelte e passaggi successivi (basta pensare al lavoro o alla formazione di una famiglia). Nell'emisfero opposto, quello del benessere, non mancano le eccezioni all'ipotesi proposta, ma per ben altri motivi: se si suarda a certe zone della Lombardia e dell'Emilia, ci si imbatte in notevoli tassi di abbandoni scolastici e precoci ingressi nel mondo del lavoro, ma questo è assai lontano dal rappresentare un -indicatore di rischio. Sono le zone in cui i rasazzi iniziano presto a lavorare, spesso nell'azienda di famiglia e, per quanto esclusi dal traguardo di un elevato livello di istruzione e attratti dall'idea di percepire un reddito al più presto, sono decisamente più al sicuro dei coetanei dell' "emisfero sud" per la posizione occupata nel mondo del lavoro. Neppure si può connotare il fenomeno in modo completamente negativo: un maggiore investimento nelle possibilità formative dei giovani - certo, in presenza di un sistema scolastico universitario che assolva alla sua funzione - e una maggior riflessività nelle scelte esistenziali possono essere un buon segno. Tuttavia resta la sensazione di un quid patologico, di una gioventù di terracotta m corrisrondenza degli snodi dei percorsi biografici, di una cultura della non-scelta, del non varcare alcun confine, per non sentirsi addosso eanni troppo stretti ma forse anche per sfuggire al "senso di morte" che ogni passaggio irreversi-
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