La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 7 - settembre 1995

forza tra autorità scolastiche e centri di potere da un lato e operatori scolastici dall'altro. Un insegnante privo di requisiti professionali e culturali giustifica con ciò stesso la sua scarsa retribuzione ed è un soggetto più facilmente soggiogabile: "è più semplice avere a che' fare con docenti sottomessi che con intellettuali brillanti e critici". Alla base di tutto ciò c'è un modello aziendale di scuola (basato su una falsa autonomia) che a molti pare auspicabile, ma che è innegabilmente il primo passo verso una società più rigida e più autoritaria. Per capire questo punto d'arrivo bisogna fare qualche passo indietro. Fin dalla Dictata Magna (1627) di Comenio l'insegnamento viene inteso come pedissequa esecuzione di un programma. La scuola è dunque una macchina (la metafora che viene usata è quella della tipografia), il docente un tecnico, ossia un mero e fedele esecutore, l'apprendimento un'~ssi.milazione J?assiva di noz1om e norme di comportamento. La stessa pedagogia si riduce pertanto a una pura e semplice compilazione di regole auree. Tutta la scuola dell'ancien régime è improntata al fine di condizionare i comportamenti. È nota l'analisi di Foucault in Sorvegliare epunire sul ruolo della scuola per il controllo del corpo. Questa realtà comincia lentamente a mutare nel Novecento. I 'docenti cessano pian piano di essere semplicemente dei sorveglianti e dei ripetitori, assumono un ruolo più attivo e creativo e conducono l'alunno ad assumere egli stesso un ruolo analogo. È la scuola laboratorio. Ma in realtà, secondo Bottani, i docenti hanno solo interiorizzato il modello disciplinare: anziché recepirlo dal1' esterno, daì superiori, lo hanno fatto propno. Lo scopo che si persegue, attraverso una formazione ad hoc e il controllo ispettivo, è la creazione di "docenti docili e affidabili, supini di fronte al proprio statuto", a cui fa riscontro un corr,o di conoscenze e valori codificati da insegnare secondo modalità predeterminate. È ovvio che a tal fine non occorre un docente intellettuale, che anzi sarebbe d'impaccio, ma un malleabile "organizzatore del consenso". Da qui la marginalità dell'insegnante, che non ha mai fatto parte attiva della classe dirigente, ma anche la sua centralità politica: a lui sfetta il controllo dell'accesso a potere. È dunque delicatissima, ancorché subalterna e passiva, la sua funzione nel mantenimento dello status q_uo.Ciò spiega le attenzioni · nvolte costantemente al corpo insegnante (con qualche rara eccezione, come ad esempio Pomicino), nonostante la sua vertiginosa caduta di prestigio sociale, da parte della classe politica. Attenzione che però, per le ragioni che abbiamo illustrato, non si è mai tradotta - né peraltro poteva tradursi - in un aumento del potere economico e culturale dei docenti. Mal retribuiti in quasi tutti il mondo, i docenti non si trovano più - se mai lo sono stati - al centro dell'istituzione scolastica, alla cui crisi reagiscono con un rifugio nel privato (che spesso coincide con un secondo lavoro) e con quella che Bottani definisce una "vaga disperazione esistenziale". La scuola non attira i talenti e spesso l'insegnamento diventa appannaggio di ex studenti mediocri che non hanno trovato altri sbocchi occupazionali. È un'analisi impietosa, che però non mi pare trovi abbastanza riscontri nella situazione italiana, la quale rende ancora abbastanza problematico l'accesso all'insegnamento -a chi non ha conseguito lauree con alti punteggi e mantiene mediamente auspicabile un posto "sicuro" nella scuola pubblica. In realtà uno dei difetti del libro di Bottani è quello di glissare frequentemente sui problemi specifici italiani, spostando il campo d'analisi - talvolta probabilmente per mancanza di dati - in situazioni estere che sono assai diverse dalle nostre. Ovviamente, questo carattere internazionale della disamina è anche uno dei principali pregi del libro, ma talvolta sarebbe opportuno entrare nel merito della nostra particolare dimensione. In certi casi si ha l'impressione di affrontare e dirimere alcune contraddizioni ·difondo. Ad esempio: "Oggi l'Italia - scrive Bottani - presenta il più alto numero di docenti in rapporto alla popolazione studentesca: circa 900.000, un rapporto alunni-insegnante che è in assoluto tra i più bassi del mondo". Questi dati vengono letti da afcuni come un'improrogabile necessità di sfoltire una intollerabile sovrabbondanza di docenti. In termini di economia, cioè di spesa pubblica, il discorso ha un fondamento, per così dire, matematico. È invece assolutamente inaccettabile da un punto di vista pedagogico: va da sé che un maggior numero di alunni per classe, se consente di risparmiare denaro, peggiora necessariamente la qualità dell'insegnamento-apprendimento. Bottani non è dello steso avviso: "anche da un punto di vista prettamente statistico, la proporzione alunni-docente è una delle più ambigue da interpretare. In generale, i docenti ritengono che la qualità dell'istruzione e il ~rofitto degli alunni siano migliori quando questo tasso è basso, benché non si sia ancora riusciti a convalidare con prove convincenti questa opinione". Non si capisce quale prova potrebbe essere più c9nvincente del parere degli insegnanti. Ma siamo al solito problema: il parere degli insegnanti o non viene richiesto o viene reputato ininfluente e insignificante. Per dimostrare la sua bizzarra teoria, Bottani deve di conseguenza svalutare l'importanza dell'esperienza: "l'insegnamento non migliora né diventa più efficace con l'esperienza. Dopo cinque anm di insegnamento non c1sono quasi più differenze fra giovani e anziani". Mi domando quali prove "convincenti" abbia trovato Bottani per quest'altra sua teoria. Sarei tentato di dire che l'esperienza dimostra il contrario. Ma è solo una battuta (peraltro verissima). In realtà, soprattutto in un lavoro delicato come l'insegnamento, basato sui rapporti umani, la tesaurizzazione dell'esperienza è fondamentale. Il che non vuol dire, beninteso, che l' esperienza da sola sia sufficiente. La questione, ovviamente, è anche ideologica. L'unica maniera per tagl~a~efuo~i gli opera ton scolastici dal. dibattito politico-pedagogico è di dichiarare non pertinente la loro esperienza. Una volta resi muti, saranno ancora più docili. Non so se questo corrisponde agli intenti di Bottani e del suo libro - che in certi punti sembra orientato in tutt'altra direzio-

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