La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 7 - settembre 1995

PACE EGUERRA FragiUtà del pacifismo Luigi Bonanate a cura di Emanuele Rebuffini luigi Bonanate è docente di relazioni internazionali pressola Facoltà di scienze politiche di Torino. Allievo di Bobbio, dirige la rivista "Teoria politica" ed è autore tra l'altro di Etica e politica internazionale (Einaudi), un contrib1ftOper la formazione di principi di giustizia internazionale sulla base dei quali poter giudicare l'operato degli stati, e I doveri degli stati ( laterza), che muove dal rifiuto dell'idea che lo stato sia titolare di diritti e non di doveri. "lo sostengo l'opposto", ci spiega, "perché il compito dello stato è l'organizzazione del benesseredei cittadini. Lo stato ha il dovere di farli vivere nel migliore dei modi. Che q,uestosia un dovere nei confronti dei propri cittadini lo sapevamo già, ma nell'era dei diritti dell'uomo è diventato un dovere nei confronti di tutti i cittadini del pianeta". Quest'interuista è stata realizzata neiprimi giorni di agosto, dunque precede l'offensiva croatanella Krajina di Knin e i bombardamenti della Nato con tutte le loro conseguenze. Dal momento che in essasi affrontano problematiche di carattere generale (la natura dellaguerra, la configurazione del nuovo sistema internazionale, il problema della legittimità dell'intervento militare, la crisidello stato-nazione) essa mantiene un~ validità che prescinde dalle novità dello scenariobalcanico. · • Questa fine secolo sembrerebbe essere caratterizzata dall'esplosione di conflitti locali semprepiù numerosi. Siamo in presenza di microguerre complicateeparticolarmente cruente che, a differenza di quelle che si combattevano prima del 1989, non possono · venir lette come espressione locale di un conflitto globale come era quello che contrapponeva Usa e Urss. È in crisi l'interpretazione marxista che individuava nei fattori economici, unitamente a quelli politico-militari, la causa della guerra i~norando il ruolo giocato da fattori come l'appartenenza etnica e l'identità religiosa. La Bosnia sembra insegnarci come l'elemento "cultura", anziché essere marginale e sovrastrutturale come direbbero i marxisti, svolge un ruolo fondamentale nel meccanismo che porta un conflitto a degenerare prima in scontro militare e poi in guerra. Allora parlare di guerre etniche, nazionalistiche o religiose non è 'f!Oicosìsbagliato? Innanzitutto credo che non dobbiamo lasciarci schiacciare dal!' "effetto Jugoslavia" nell'affrontare un discorso che è più· ~enerale. Non è vero che oggi ci ·siano più guerre che in passato. Nell'ultimo secolo la quantità numerica di guerre è lentamente ma progressivamente scemata. Finito il bipolarismo abbiamo avuto due guerre che ci hanno colpito molto, ma che forse abbiamo sovraccaricato di significato rispetto alla loro effettiva portata tecnico-militare. Non voglio formulare un· giudizio sul Golfo e sulla Bosnia, ma semplicemente richiamare a una maggiore serenità metodologica. Partendo dal dato di fatto che oggi abbiamo un numero di guerre minore rispetto al passato, dobbiamo poi ammettere che nella situazione attuale tutti noi abbiamo come "perso la bussola" e con quel "noi" intendo i politici, i militari, gli studiosi e interpreti della politica internazionale. A partire dal 1990 ho cominciato a ironizzare sulla "nostalgia da bipolarismo" propria di coloro che prima il bipolarismo lo criticavano e poi il giorno che è finito si sono accorti di esserne rimasti "orfani". Un fatto grave perché rileva l'assoluta incapacità di affrontare la realtà. È perfettamente vero che. oggi le interpretazioni marxiste non stanno più in piedi, ma forse è perché non stavano in piedi nemmeno prima, nella loro assolutezza e rigidità. Eppoi una teoria casuale definitiva e unitaria della guerra non l'abbiamo. Il sogno di ogni studioso è ~uello di costruire dei modelli che spieghino tutto, per la guerra di certo non ci siamo ·ancora riusciti e forse non ci riusciremo mai. Trovare un unico modello che possa spiegare le mille guerre dell'epoca cristiana è impossibile, però possiamo costruire tutta una serie di teorie intermedie. Quello che mi spaventa è l'assoluta perdita di capacità intellettuale. Dobbiamo tornare a "ragionarci sopra", come dicono gli allenatori quando le cose vanno male in campo. Rischiamo di farci prendere la mano dagli eventi, allora occorre davvero un time out. Se le teorie classiche (la politica di potenza, l'anarchia internazionale, l'imperialismo) non funzionano più, cosa fare? Intanto in quei vecchi modelli possono esserci desii aspet_ti che non meritano d1 venir dimenticati. Se fino a vent'anni fa si utilizzava la scatola degli strumenti della logica marxista e si diceva che gli Usa erano una grande potenza dell'imperialismo capitalista, o eravamo stupidi allora o abbiamo perso del tutto la memoria adesso. Probabilmente i "difetti" che imJ?utavamo un tempo agli Usa c1 sono anche ogg1. Il fatto è che, con i detnti del Muro di Berlino, abbiamo buttato via anche l'ideologia, nel senso di analisi globale. Se il capitalismo era una gran brutta cosa nel 1970 è davvero improbabile che nel 1995 abbia cessato di esserlo del tutto. Ha perso un "oppositore", ma questo non vuol dire che dobbiamo cessare di giudicarlo. Se non ricostruiamo uno sfondo metodologico non riusciamo a ragionare su quanto succede. Quello balcanico è il problema più serio, e c'è tutta una storia da recuperare. Non sono molto tenero nei confronti della dimensione storica dell'analisi della realtà, perché la storia da sola non spiega alcunché, ma è comunque una pre-condizione per ragionare sugli eventi. La Jugoslavia era una creatura artificiale, resa possibile dalla presenza di un comune nemico (il nazismo) e da un grande capo combattente (Tito). Certa-

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