La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

GIRO D'ITALIA PALERMO. , MINORANZE SI E MINORANZE NO Dario Lanfranca • Dario Lanfranca si è aappena laureato in lettere · classiche. ♦ Per anni ho fatto parte di un gruppo che, nato all'interno della facoltà di Lettere di Palermo, sulla scia del movimento studentesco dell'89-90, ne hà conservato inizialmente alcuni bisogni inevasi e desideri traditi. Sono sempre stato convinto che la causa Scatenante del- · l'occupazione delle Università, almeno a Palermo, città da dove essa è partita e dove io l'ho vissuta, sia stato il bisogno di luoghi i"ncui i giovani potessero incontrarsi per scambiarsi esperienze e conoscenze. A questa esigenza prioritaria quella "minoranza" di studenti che è rimasta attiva all'interno della facoltà di Lettere, anche dopo la fine del movimento, ha tentato di rispondere impadronendosi fisicamente di due aule (le biblioteche di latino e greco) entrandoci prima dalla finestra e poi autorizzati da un preside che della concessione di questi spazi ha fatto il fiore ali'occhiello della sua reputazione democratica. Dopo aver preso possesso effettivamente e .non solo formalmente dei luoghi di studio (prima riservati ai docenti per qualsiasi uso e a~li studenti soltanto per la consultazione dei testi) ed averne esteso gradualmente l'accesso e la gestione ai ragazzi delle altre facoltà, anche durante la notte, si è compreso quanto fosse imp_ortantecambiare i tempi e i modi di studiare. E accaduto però lèntamente, forse in buona fede, senza una precisa consapevolezza, che la consuetudine di incontrarsi dentro le biblioteche abbia suscitato nel tempo una feticistica at.: trazione verso i libri. I libri sono divenuti così l'unica unità di misura in base al quale giudicare la validità o meno di una persona all'interno del gruppo; ci si é innamorati, più che dei romanz~ dei saggi, considerandoli imprescindibili strumenti- di cultura e di crescita. In preda a un delirio di tuttologia degno dei peggiori sociologi, la paròla magica è diventata l'interdisciplinarietà, coltivata attraverso lo strumento del seminario che, se all'inizio sembrava una forma nuova e originale di studio dettata dal comune desiderio di sovvertire i .metodi accademici classici, ha finito per somigliare a quella comunità pretesca che ne connota· il significato originario. Si è verificato infatti il passaggio da una situazione paritaria, in cui tutti erano sullo stesso piano, a una situazione gerarchica, tipica della peggiore didattica universitaria, in cui il più autorevole è diventato chi leggeva di più e chi non voleva leggere affatto ma solo partecipare o ascoltare si è sentito costretto a sciropparsi interi pezzi del Capitale o fare finta di adorare Morin pur di farsi accettare dal gruppo, oppure è scappato convinto dell'impossibilità di SUOLE DI VENTO cambiare le cose aWinterno dell'Università. Una evoluzione siffatta ha generato il paradosso che, nel tentativo di comunicare tramite lo studio, si è finiti con lo studiare senza comunicare affatto. L'aver avuto troppo a cuore le sorti della comunicazione come· strumento dell'agire politico ha prodotto in realtà una totale inattività dal punto di vista pragmatico e un eccessivo attivismo dal punto di vista teorico, ricalcando così la sterile e inerte cultura accademica che tanto si era contestata prima e contro la quale si erano messe in gioco tante energie. Ne è derivato un circolo vizioso di persone, in cui l'autocompiacimento, caratteristico di un luogo chiuso e impermeabile agli stimoli esterni, si è trasformato in autoassoluzione. È accaduto che, nascondendosi dietro a una illusoria vivaci.tà intellettuale, una minoranza originariamente rivoluzionaria sia diyentata conservatrice e che da creativa si sia trasformata in potenzialmente distruttiva. Ingabbiando nella ret.e dei seminari la fantasia dei giovani che entrano all'università, essi ne inibiscono l'esigenza di trovare da soli il proprio modo di stare dentro l'istituzione. Prova ne sia il comportamento tenuto dai primi nei confronti dei secondi nelle assemblee, tendente a scoraggiare l'adozione di forme di lotta politica ~nvadenti e rumorose quali una nuova occupazione. TORINO. STORIA DIUNA RADIO LIBERA Giorgio Morbello ♦ Una radio non ha luogo, il suo spazio fluttuante e multiforme è l'etere, il mezzo con cui comunica le onde. Il luogo è quello dell'ascoltatore: la sua auto, la sua c.asa, il supermercato ... Entrare nella redazione di una radio, per chi non è abituato a lavorarci, dà un senso di straniamento: confusione, fogli, avvisi appesi alle pareti, spazi angusti, microfoni tenuti insieme da nastro adesivo. La fruizione televisiva ci abitua a coreografie, immagini, ma la ra- . dio è parola, parola e musica. Questo non vale per tutti. A Torino .c'è una radio "libera", Radio Black Out: 100 ragazzi dei diversi centri sociali della città che trasmettono musica, notiziari, appelli, idee. Il loro indirizzo via etere è 105.250 FM, ma la loro sede è in Via Sant'Anselmo 13, vicino alla stazione di Porta Nuova, nel cuore della "casbah", al secolo quartiere San Salvario, da sempre zona di immigrazione, oggi focolaio di intolleranza, sfruttamento, dove la paura,·reale o ingiustificata, è sentimento comune. Radio Black Out è presente nel quartiere, si fa sentire, dà voce a quelli che hanno parlato di meno e che meno sono stati ascoltati. Partecipa al Coordinamento antirazzista nato per contrastare l'insofferenza e la violenza, per cercare nuove forme di dialogo, di rispetto, di convivenza. Rilancia e ha rilanciato manifestazioni e iniziative. Radio Black Out non avrebbe senso in un altro posto della città, non avrebbe senso se ciò che trasmette restasse parola, soltanto parola.

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