La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

IERI E OGGI. I RAGAZZI DELLA NON-VITA Sandro Onofri Mi colpiscono soprattutto le espressioni delle facce. · Che vogliono essere musi duri, maschere studiate, non tanto mi.nacciose quanto piuttosto rabbiose di per· sé. Ecco: una prima differenza tra i giovani violenti delle nostre perif erie e quei giovani di borgata entrati.•nella letteratura .e nel cinema degli anni Sessanta potrebbe essere proprio questa. I "ragazzi di vita" di trenta anni fa potevano essere minacciosi, per necessità o per volontà di sopraffazione, ma comunque lo erano sempre ·e soltanto relativamente a un contesto e a una situazione, rivolti verso persone e fatti individuati e concreti. Solo con quelli erano crudeli, perché serviva, era necessario. Con gli altri sapevano essere generosi e disponibili. L'aria furiosa che stravolge i lineamenti di molti giovani nei nostri quartieri è più il frutto, invece, di una rabb]a tanto più cieca e assoluta quanto più vaga. E l'odio di per sé, la rabbia non contro qualcuno o coritro qualcosa (anche quando riesce a individuare un capro espiatorio) ma la rabbia in sé per sé, la furia misteriosa. Un alfabeto gestuale dell' aggressività è andato diffondendos~ rapidamente, e viene utilizzato non soltanto contro chi è considerato nemico o rivale, ma anche nelle discussioni all'interno del gruppo di appartenen- · za, spesso perfino nel corso di una semplice chiacchierata. · Sono gesti stabiliti, sempre gli stessi: stringono le labbra, appuntandole, e irrigidiscono i muscoli facciali; allargano le narici; parlano a denti stretti; clarino pugni all'aria, come fanno certi calciatori quando segnano un gol particolarmente sofferto. Caricano di significato le poche parole concesse dalla loro afasia, quelle che restano dalla perdita del dialetto, ricorrendo a un ·repertorio tutto sommato molto ridotto di espressioni facciali, gesti e interiezioni. Vivono ·in un'eterna gara. Ma non più per lottare contro qualcuno, o per fregarlo, raggirarlo; al contrario, per diventare uguali ai modelli proposti dalla mitologia consumistica. È la paura di non riuscirci a rendere spesso i giovani delle nostre periferie così violenti. Qualche anno fa avvenne un episodio di .violenza che impressionò per la sua ferocia. Accadde che un tosatore di cani della Magliana, "et canaro", chiuso nel suo laboratorio, uccise a bastonate il suo amico Giancarlo Ricci, poi lo fece a pezzi, gli scoperchiò il cranio, gli prese il cervello e lo andò a lavare sotto il rubinetto con lo shampoo per i cani. Un fatto di malavita, quella vuota e cinica della Magliana, che si concludeva con un macabro cerimoniale da parte di un frustrato che, negli anni precedenti, era stato costretto a subire le. prepotenze del ragazzo più giovane, più forte e con più agganci nel quartiere. La stampa parlò di un delitto di borgata, riapparve del tutto impropriamente il nome di Pasolini per interpretare i rapporti umani all.'interno di un universo che evidentemente non si conosce abbastanza. Eppure ormai (e dirlo è diventato addirittura ovvio) i quartiere delle nostre periferie• hanno ben poco in comune, al di là della collocazione topografica, c~n l_eborgate pasolin_iane. die~ro i _prota_gonistt di quella feroce vicenda c era infatti urto scenario antropologicamente, socialmente e psicologicamente diverso da quello delle borgate pasoliniane, e invece tipico delle periferie moderne: c'era la moglie dell'assassino, una donnetta disperata costretta a sua volta a subire le angherie d_elmarito che sfogava su di lei la sua violenza repressa; la madre della vittima, una donna del nuovo popolo che conosce solo diritti ma non sente di avere alcun dovere; e una popolazione costretta a vivere in un quartiere sporco come un porcile, dove non c'è ~ole manco a mezzo~iorno, gente trapiantata dal meridione, non più contadina e non ancora metropolitana, capace di passare l'intera vita a lamentarsi e a vedere solo le insiustizie subite, mai quelle fatte. Questi nuovi quartieri non hanno nessuna parentela con quel mondo che nel nostro passato recente ha rappresentato un . mito ricco di echi letterari e antropologici. Ciò nòn significa che si sia verificato un processo di integrazione e amalgama fra il cen~ tro e la periferia di Roma. Al posto delle borgate di una volta (ma questo è un discorso ormai ripetuto centinaia di volte, e che. vale per tutte le grandi metropoli del mondo, da Parigi a Rio de Janeiro), fatte di baracche e strade fangose, ci sono i nuovi quartieri formati da casermoni, cresciuti senza criterio, dove la popolazione è costretta a vivere in strade sovraffollate, dimenticate dalle autorità. Lì la vita è ancora completamente diversa da quella che si svolge al centro. Più difficile, per certi versi, e ìnfuocata. Ma più allentata, anche, in una libertà sciatta che è solo l'erede degenerata.della spavalderia di un tempo. Per anni i quartieri di periferia, tormentati da un incremento demografico abnorme, dalla disoccupazione e dagli altri problemi che da questa derivavano, hanno continuato a gonfiarsi e ad accogliere (o a "raccogliere") migliaia di persone che arrivavano da ogni parte d'Italia, e a volte sono sembrati sul punto di raggiunsere una situazione esplosiva. Oggi la situazione è per certi aspetti cambiata. In molti di questi luoghi, innanzitutto, non esiste più la miseria. E questa è sicuramente la cosa più imJ?Ortante. In secondo luogo, la carenza di alloggi in città, portando in periferia abitanti provenienti dal "centro", appartenenti a strati sociali più alti, ha permesso una modificazione della componente umana e culturale della cinta urbana, che è andata via via perdendo le pesanti caratteristiche di ghetto . Ma al miglioramento delle ·condizioni ma-. teriali di vita non ha corrisposto un adeguato cambiamento culturale, se non in termini consumistici. Restano delle sacche, a volte quartieri nei quartieri, .dove sono ancora molti i segni di degradazione. · · . Di solito, quando si parla di sobborghi, si pensa quasi automaticamente agli episodi di , violenza che vi si verificano. Ma non c'è solo la peste della criminalità, in queste zone. Che esiste, è vero, ma, seppure preoccupante, in

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