La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

così apparire fenomeni di sconcerto. Gli spettatori abituati al paradigma "tradizione/avanguardia" se non possono inserire tali sconcerti nel recinto dell"'avanguardia" o della "ricerca" (come vogliono le circolari ministeriali) non capiscono più. Per molti quel paradigma è infatti sacro come per un gran miope le due lenti degli occhiali: non sanno farne a meno, o non distinguono. Un piccolissimo caso: tempo fa sull"'Espresso" datato 5/5/'95 c'era un articoletto di Rita Cirio forse disastrato dai tagli (l'occhiello per esempio non si riferiva a nulla che fosse nel testo) in cui la giornalista col tono un po' rabbioso che hanno certi cronisti teatrali quando sanno d'esser ritenuti poco attendibili e ininfluenti tranne che per i giochi delle burocrazie che governano il teatro, si rivolgeva non ai lettori, non agli attori, ma all'Eti, l'ente che gestisce il teatro Quirino e che aveva ospitato il Tartufo del Laboratorio Teatro Settimo. Lo spettacolo non le era piaciuto per niente, ma lei non si limitava a spiegare perché. Usava invece le po.- che righe per rimproverare l'Ente Teatrale Italiano, tanto più che quel Tartufo "non ha neanche le stimmate dell'avanguardia, area in cui si dovrebbe collocare il Teatro Settimo". Il corsivo è mio. Effettivamente no, quelle "stimmate" non ce l'ha. Eppure è diverso. Ecco perché questa piccola e inoffensiva prepotenza della Cirio può diventare un buon esempio d'una anchilosi più generale. In Italia di teatri fatti in ·casa ce ne sono tanti. I loro gusti, i loro spettacoli, i punti di riferimento comuni e i modi di vita, a volte li spingono· ad allearsi con l'uno o l'altro. Altre volte li rendono incompatibili ad ogni collaborazione. Non possono, per definizione, aver programmi unitari. Neppure avversari o avversioni comuni (a parte certi comuni denomi- · natori talmente generici da non servire quasi a niente). A Bologna oltre il Teatro di Leo c'è il più piccolo Teatro Ridotto; a Faenza c'è il Due Mondi; a Cesena, la Societas Raffaello Sanzio ed il Teatro della Valdoca; lì vicino, il Ravenna Teatri. Scorazzando a Nord ed a Snd, dovremmo fermarci almeno a Pontedera, Fara Sabina, Napoli, Bergamo, Torino. Ma dovremmo fermarci praticamente in ogni paese. A Torino c'è Marcido Marcidoris. A Settimo Torinese c'è, e.on una più lunga esperienza, il paradossale Laboratorio Teatro Settimo. Paradossale perché non si riconosce per nulla nell'avanguardia. Quelli di Settimo amano recitare classici e scrittori moderni, ma secondo una propria tradizione (per esempio lasciano che i personaggi siano recitati ora da un attore ora dall'altro, quasi volassero e si posassero qua e là, secondo la logica del volo, non secondo quella della narrazione). Amano anche - e molto - divertire il pubblico. Ciò suscita fra i loro simili, nelle altre enclaves teatrali, dubbi e sospetti. Così hanno recitato un racconto poetico in lingua veneta di Romeo e Giulietta e la Trilogia della villeggiatura di Goldoni, con ~ran successo. Ed ora Tartufo di Molière. Gabriele Vacis, il regista, apprezzato: anche da molti dei cosiddetti tradizionalisti, è un ottimo maestro alla Scuola d'arte drammatica Paolo Grassi (che, sia detto non tanto fra parentesi, è il solo esempio di importante scuola teatrale che possa far contrasto con lo sfacelo culturale ed artistico dell'Accademia d'Arte drammatica di Roma). Sembra naturale che il teatro fatto in casa dal Laboratorio Teatrn Settimo non vada a mettersi nell'alveo (chiaro perlopiù solo alla burocrazia) del teatro di ricerca o d'avanguardia. Ed è naturale che si confronti, nella sua diversità, con gli altri teatri che "normalmente" mettono in scena i classici. Ma se inoltre riesce a stare al Quirino di Roma per circa venti giorni, col Tartufo, allora qualcuno non si raccapezza più. Rita Cirio stronca (il che non è strano: a me, per esempio, il Tartufo di Settimo è apparso uno spettacolo pieno di -idee, ma lasciate a mezzo, ~· .-\, . .. • <'\,- . " ~~-:..~ ., :::-,< t - ~¼~ r!f:•.,,~. ~ "°. , "'"' i,:,,• • f ..., ' SUOLE DI VENTO

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