La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 4 - giugno 1995

gliò a contare su forze di ·cui non era sicuro, portando così la sua gente al disastro. Chi è stato miglior amico dei Bosniaci nel 1992? Quelli che dicevano loro la verità, anche se ingrata, e cons_igliavano la prudenza che avrebbe potuto evitare una tragedia? O quegli insensati che li esaltarono promettendo un aiuto che non era stato ancora deciso? I secondi sono in genere gli stessi che più tardi hanno trattato da vigliacchi i governi che non facevano una guerra nella quale non avevano mai voluto compromettersi. Dové c'è più etica: nel raccomandare una strada di negoziato o in una pacca sulla spalla che porti alla fine al suicidio? La pe~giore reazione contro il nazionalismo pan-serbo è quella che si è imposta: il nazionalismo di tutti ~li altri (e viceversa). I processi secessionisti di fatto favorirono l'idea della Grande Serbia, il cui unico antidoto era lo jugoslavismo democratico. Ma nessuno era interessato a questo progetto, e significativamente. Certamente, alcuni di noi che si sono compiaciuti dell'importazione dei modelli balcanici avrebbero dovuto cercare di esportare il modello catalano o basco, un nazionalismo democratico e pattista iI cui spirito avrebbe potuto essere molto utile nella crisi jugoslava. Non abbiamo saputo trasmettere agli attori jugoslavi il concetto europeo di relativizzazione della sovranità e delle frontiere. Quando la violenza si scatena, il superficiale moralismo che dobbiamo analizzare ci invita a prender partito, con tutte le conseguenze del caso, per la parte più debole (e come essere contro?). Prevale l'interpretazione che questo significa sostenere la continuazione della guerra fino a rendere inevitabile la sua internazionalizzazione, rendendo con ciò possibile il raggiungimento dell'obiettivo politico che si ritiene può condensare tutte le virtù: la sconfitta militare dell' "aggressore serbo". Si insiste ancora nel voler ignorare che insieme a due milioni di musulmani che hanno indiscutibilmente optato per la costruzione di uno stato bosniaco rompendo con la Jugoslavia, ci sono un milione e mezzo di serbi della Bosnia-Erzegovina che non desiderano abbandonare la Jugoslavia. Se alcuni hanno fatto un referendum _cheha avuto la maggioranza solo perché sostenuto dai seicentomila croati che confidano più in Zagabria che nella stessa Sarajevo, gli altri hanno ottenuto un risultato eguale nel proprio referendum svolto all'interno della comunità serba. Se_al~uni contrappongono rag10m per rompere con una Jugoslavia dominata dai serbi, gli altri trovano ragioni corrispondenti per non accettare una Bosnia-Erzegovina· dominata dai musulmani. Se la determinazione degli uni è rispettabilmente inequivoca, quella degli altri è netta e caparbiamente decisa. Paure, traumi e frustrazioni storiche per tutti i gusti e quanti se ne voglia (benché a voler essere giusti non si possa dimenticare che l'esperienza più vicina a un vero e proprio genocidio è stata quella dei contadini serbi in Croazia e Bosnia-Erzegovina durante b seconda guerra mondiale: ne morirono uno su due). In queste condizioni, né il mantenimento forzato di tutta la Bosnia-Erzegovina in Jugoslavia né la proclamazione assoluta dell'indipendenza di tutta la Bosnia-Erzegovina con poteri centralizzati a Sarajevo potrebbero essere soluzioni pacifiche. Per questo la tanto vituperata mediazione era (è) l'unica cosa che valesse la pena di fare per aiutare tutti i popoli della Bosnia-Erzegovina: la ricerca di una formula, inevitabilmente complicata, che tenesse conto con il massimo di equilibrio possibile tutti gli interessi e le aspirazioni collettive in campo. Dobbiamo chiederci ancora una volta: è stato davvero più etico, come tanti credono, aver ascoltato soltanto i "buoni" e rifiutato sistematicamente di ragionare sui motivi f rofondi dei "cattivi".? Qua è l'alto principio umanistico che porta a squalificare furiosamente come "filo-serbo" chi invita a tener conto di tutti i dati di una situazione complessa? L'obiettivo della sospensione dello stato di guen;a quanto prima non è un atto di realismo privo· di valore. Contiene una sua logica etica, quella che confida più nell'efficacia degli sforzi a largo raggio per la ricostruzione, che nella giustezza di battaglie che invertano il segno della contesa. C'è chi non vuol vedere che la "riconquista" musulmana della Bosnia-Erzegovina non consiste nello stabi1 i re nessuna multietnicità bensì una pulizia etnica al contrario. La sola cosa che favorisca la multietnicità in Bosnia-Erzegovina, così come la tolleranza e il rispetto reciproci, valori tutti associati alla concordia e alla riconciliazione, è l'armistizio prima possibile; il mantenimento della si- . tuazione di guerra nei confini · territoriali dati e l'inizio del processo di recupero della normalità. Le forze democratiche, solidali, integratrici potranno efficacemente agire solo allora, poiché in condizioni di guerra aperta la parola ce l'hanno quelli che fanno la guerra. Più la guerra dura e più si allontaneranno la normalità democratica e il recupero della multietnicità. Il mantenimento della guerra non garantisce immediatamente la convivenza, ma la sua continuazione rende certa la sua ulteriore rovina. Se si vogliono aiutare 1a convivenza e la giustizia in Bosnia-Erzegovina non c'è che da optare per il contenimento della _guerra e_lavorare per la pace democratica come parte della ricostruzione post-bellica. Col contrario non si opera per la multietnicità tra i bosniaci ma per il piacere autocontemplativo di una "buona causa" da sostenere. · ♦

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