La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 4 - giugno 1995

cordare che gli interventisti europei del periodo antifa'scista decisero di attuare praticamente, con sacrificio persona1 e le tesi che sostenevano pubblicamente di fronte ai loro governi. 20.000 volontari di tutta Europa e degli Usa si arruolarono nelle Brigate Internazionali. Questi volontari, nonostante la discutibile efficacia della loro azione, svolsero però un ruolo di forte conferma morale nei confronti del campo repubblicano, e quattromila di loro pagarono con la vita questa scelta. In Bosnia-Erzegovina i volontari disposti al sacrificio in ragione delle loro profonde convinzioni sono stati un certo numero di mujahidin e un pu~no di neofascisti e di fanatici para-cosacchi. È molto più facile occuparsi di guerre che sono altri a dover combattere e pronunciarsi per interventi militari nei quali non si rischia nulla direttamente. Da posizioni che vogliono essere responsabilmente pacifiste, non si può far altro che riconoscere che c'è qualcosa di rispettabile e di impressionante in chi decide liberamente di fare la ~uerra per motivi ideali; rischiare la vita, ammettere la possibile distruzione del proprio ambiente, tutto questo per un bene politico che si considera di valore superiore. Nelle gerarchie del potere politico è sempre stato in vigore un atteggiamento diverso, meno ammirevole e però logico.: quello di chi decide che gli altri vadano alla guerra per difendere gli interessi politici collettivi da essi prescelti. Ma quel che è nuovo è che per propria soddisfazione morale (e senza allegare o dispiegare ragioni o interessi di Stato) si proponga che altri vadano alla guerra. C'è tutt'al più qualche precedente in quei sommi sacerdoti di qualsivoglia religione che spronano e benedicono truppe di cui si guardano dal far parte. Chi scrive non crede ovviamente nella guerra. Niente di nobile può derivarne, neanche nella ipotesi della più sacra delle "guerre giuste". Essa può risultare inevitabile in situazioni determinate, ma auspicabile non lo è mai . È sempre meglio perseguire strategie che escludano o evitino il rischio di scontro bellico nella conduzione di obiettivi politici. Estirpare le radici della guerra è un obiettivo irrinunciabile del progresso e della civiltà, come lo è estirpare il razzismo o lo schiavismo o la discriminazione sessuale o la pena di morte o la povertà ... Non avverrà di colpo, ~a attraverso infiniti va· e vieni e contraddizioni, come tutto ciò che è umano. Noi che viviamo in un tempo e in un luogo privilegiati in quanto l'assenza di guerra e l'opulenza durano (sembrerebbe) per periodi lunghi quanto le nostre vite, non possiamo dimenticare che non è stato sempre così, ma anzi il contrario. L'immensa maggioranza delle migliaia di generazioni umane (mettiamo dal tempo della•civiltà sumera) e nella totalità delle regioni del pianeta, hanno convissuto con la guerra come se fosse un dato normale. Erano tutti stupidi? Solo noi europei di questi decenni siamo abbastanza svegli da poter godere di questo privilegio? Va riconosciuto nel fenomeno bellico qualcosa di èonsustanziale alla condizione umana, e va riconosciuto ~1,-~ . I~ - ('I ; r\(, \ I f suo raggiungimento. Questo concetto è meno roboante nelle sue pubbliche dichiara- · zioni di etica, ma forse più efficace in un quadro etico più profondo: fare veramente il possibile per l'obiettivo etico desiderato, in questo caso la pace. Qualcuno chiama questa, "e.tica della responsabilità", applicata nel nostro caso alla questione della pace e della guerra. Ritorniamo di nuovo alla bruciante questione della Bosnia-Erzegovina. Dal riconoscimento della Croazia da parte della Comunità europea il presidente ltzebegovic coglie l'impulso a seguire i passi delle repubbliçhe di maggioranza cattolica ritenendo che questo fosse ciò che le potenze occidentali si aspettano da lui. Gli vengono rivolti, allora, consigli contraddittori. Stranieri abitualmente vinco- . lati alla mediazione dell'Onu o della Comunità europea lo avvertono che è un errore fidarsi troppo degli aiuti occidentali come un modo per '- ~/, ~,y, che la costruzione della civiltà è uno sforzo razionale eer far preval~r~ gli aspetti più_cos tru tt1v1 pella condiz10he umana e perché vengano contenuti i più distruttivi di essa nella conduzione della cosa pubblica. Di solito le guerre sono il risultato dello scontro non · regolato tra interessi di stati, gruppi nazionali o progetti politici, ognuno dei quali ha la sua strategia, le sue basi, le sue dinamiche, i suoi principi irrinunciabili, le sue dosi di incomprensione nei confronti di altri interessi in contraddizione con i suoi. Un pacifismo bene inteso è quello che intende stabilire una strategia di pace, e cioè una dinamica il cui obiettivo essenziale non sia nessuno di quelli che sono alla base delle contese, ma la preservazione della pace o il compensare la sua debolezza interna e insistono affinché negozi con la comunità serba e con l'esercito federale e non proclami l'indipendenza senza esser sicuro di non star spingendo la propria gente nell'abisso. Altri esponenti occidentali lo incitano, lo esortano a rompete con chi resiste alf'indipendenza, dicendogli di non temere le conseguenze di una possibile ribellione armata serba poiché ci sarebbe stato sicuramente un intervento militare internazionale in suo favore. lzetb egovic dette ovviamente ascolto ai secondi, spinto da una stampa internazionale che militava intensissimamente a favore della sua causa. È oggi altrettanto chiaro che erano i primi ad avere invece ragione: nessuno fece la guerra per ltzebegovic,ed egli sbaVOCI

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