La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

Settanta, ricordo che mi veniva continuamente in testa questo pensiero: "Si dovrebbero sostituire tutti i termini astratti e generali con descrizioni. Sostituire i concetti, con i quali facciamo acrobazie, con accurate descrizioni delle cose che realmente facciamo, dei luoghi e degli ambienti in cui viviamo e lavoriamo". Già allora la sinistra era malata di filosofia e di terminologie teoriche. Vedeva quelle, manovrava quelle, invece di fissare pazientemente lo sguardo sul mondo immediatamente circostante. Sarebbe stato utile rallentare i tempi di percezione e di costruzione delle idee. E per questo rallentamento, chi fa politica non ha e non avrà mai tempo. La mentalità politica lavora per definizione in gran fretta: il suo solo problema è stare a galla giorno per giorno. Il politico vive sempre in una specie di situazione di emergenza. Non è vero che la politica italiana è verbalistica e troppo rallentata dalla discussione: si tratta di false discussioni che sono il surrogato delle azioni. Il parlare dei politici è un modo di agire in negativo, un metodo pratico per tenere a bada la realtà. Non è che i politici non facciano niente o facciano poco. Fanno, eccome. Ma non fanno ciò che è utile ai cittadini. Fanno ciò che rafforza e aumenta il loro potere, ecco tutto. 3. Noi che non siamo dei politici abbiamo solo un modo per criticare il potere: confrontare ancora una volta parole e cose, quello che si dice e quello che si fa. È un vecchio metodo, sempre efficace. Descrivere accuratamente che cosa fa colui che ha detto una certa cosa. Se volete, questo è sempre stato il metodo delle letteratura, il suo modo di criticare la funzione di copertura e di ·ubriacatura che hanno le filosofie, le ideologie. A volte, come si sa, gli effetti del confronto sono satirici. Ma il fine non deve essere la satira. L'effetto satirico dovrebbe essere il semplice risultato non voluto che· emerse dal confronto fra discorsi e comportamenti. 4. Oggi riconoscersi nella sinistra può essere qualcosa di meccanico, unte edità che maschera problemi reali. Dico q esto perché la sinistra italiana di oggi (i su i leader, le sue idee correnti e dominanti, i suoi gusti e il suo stile di vita) non mi piace. Pensare e parlare fin dall'inizio all'interno del cerchio della sinistra e per un pubblico di sinistra, è limitativo. La nuova destra credo che sia nata anche dalla cecità e stupidità (supponenza sciocca) della sinistra e della sua cultura. Questa sinistra meritava di perdere: credeva di essere eterna , di poter vivere elegantemente di rendita, era sfigurata dai suoi snobismi (lo è tuttora). Era una sinistra a cui mancava un po' di empirismo, che non sapeva più che cos'era diventata la società italiana, una sinistra guidata da gente che non sa guardare in faccia neppure i propri vicini di casa, la gente per strada: che non sa guardare in faccia neppure la propria faccia. Gli intellettuali di sinistra credono per esempio di essere ancora tremendamente attraenti e simpatici, eleganti e pieni di fascino: invece non è più vero. La maggior parte degli italiani ormai prova una precisa antipatia per il ceto colto e dirigente della sinistra. Questo in parte è un male (è volgarità), e in parte è un bene (la volgarità della cultura di sinistra spesso è solo un po' più "fine" e sofisticata, ma è quasi più penosa). 5. La narrativa, e quindi anche la storiografia, è o dovrebbe essere la più empirica tra le Bit L/•1/.fONT .,aGinoBianco diverse forme di sapere e di discorso. Raccontare come si sono svolti veramente i fatti, com'è realmente accaduto qualcosa, com'è potuto succedere che qualcuno era in un modo ed è diventato in un altro, tutto questo è quanto di più empirico possiamo fare. Una storiografia che non fa questo, e che non è consapevole della propria vocazione all'empirismo, può anche essere brillante: ma a lungo andare non può che rivelarsi pericolosa. Lo storiografo, come ogni altro narratore, non dovrebbe mài essere troppo affascinato e condizionato da idee generali. O comunque dovrebbe mettere in contatto e confronto delle oneste e accurate sequenze narrative e descrittive con le idee e le sintesi generali. 6. È sempre utile descrivere e "raccontare" i documenti che si usano, il modo in cui li si usano. È anche interessante che uno storico ci racconti come è nato in lui il problema o il desiderio di fare una particolare indagine. Che cosa voleva fare all'inizio, e che cosa ha fatto. Si tratta di una forma elementare di autocoscienza, di trasparenza metodologica. Mi pare che gli intellettuali italiani, rispetto a quelli inglesi, francesi, americani, siano troppo deboli in autobiografia. Spesso non sanno chi sono, da dove vengono, e non vogliono neppure saperlo. Si mettono delle maschere e dopo un po' le credono volti veri. 7. La storia delle cirtà è, secondo me, una delle cose più affascinanti. Potrebbe anche essere un modo per allargare il pubblico della storiografia. Raccontare agli abitanti di un luogo che cosa è successo in quel luogo e come si è "prodotto" quel luogo nel corso del tempo, attira molto. Io comincerei col descrivere accuratamente l'aspetto fisico delle città come si presentano oggi. I problemi storici nascerebbero dall'occhio che vede e dalle necessità della descrizione. 8. Quello che vediamo è l'immagine "sincronica" di una serie di eventi accaduti. La storia è visibile. Per essere un po' più sottili, si potrebbe aggiungere: e ciò che della storia è ormai invisibile è dovuto a una cancellazione. Che cosa è l'Italia visibile di oggi se non una furiosa cancellazione di quello che era fino a venti o trenta anni fa? Eppure (non credo che sia solo un paradosso) anche ciò che è stato attivamente cancellato, in realtà si vede. Si vedo.no le abrasioni, le dissimmetrie, le cicatrici, i buchi, i vuoti (riempiti e no). C'è poi un'altra cosa che mi interessa nel progetto della vostra rivista: è l'attenzione al linguaggio, ai modi in cui pubblicamente, da politici, esperti, ecc... il linguaggio stesso viene usato per impastare i problemi reali fino a sommergerli, fino a renderli irriconoscibili: puri fantasmi, pezzi di un gioco combinatorio manovrabile (e formulabile) solo da una precisa categoria di persone che si presentano come competenti, esperti, autorevoli. Più competenti, esperte e autorevoli di chi vive tutti i giorni, da anni, in un certo luogo. Perciò non è affatto una cosa da niente intestardirsi su questioni di linguaggio, su immagini e rappresentazioni: se non si fa attenzione a questo livello, poi può diventare troppo tardi. Il potere è sempre stato molto attento alla politica del linguaggio e delle immagini. Se ci si vuole opporre, non si deve partire dallo stesso linguaggio e dalle stesse immagini che usano gli uomini del potere.

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