La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

Beccaria. Lavoriamo quindi sui ragazzi che sono in carcere e su quelli a rischio, con l'obiettivo di aprire il dialogo fra carcere e società, di sensibilizzare la società a interessarsi dei detenuti non solo quando sono dentro il carcere, ma anche quando sono fuori. Anche il progetto "Arche" in Camerun comprende un centro educativo a favore dei minori detenuti ed ex detenuti, con attività di formazione scolastica, professionale e ricreative. I legami con le esperienze all'estero, non si sostanziano solo in una raccolta economica, ma soprattutto in uno scambio di esperienze, di riflessioni e di personale. L'obiettivo per noi è educativo. Le metodologie che usano a Belo Horizonte o in Costa d'Avorio sono simili alle nostre, i loro termini di professionalità sono molto elevati, c'è da riflettere su questo. Recuperare questa "mondialità di esperienza" non significa andare a colonizzare con la nostra presupposta bravura, ma andare a imparare con rispetto e desiderio di metterci a confronto per capire e per sostenere· le esperienze che là già ci sono, rispettando le culture e gli interventi che là già esistono. La cultura della mondialità cresce anche assumendo quest'ottica piccola. Certo, ci sono le grandi strategie e le grandi battaglie culturali e politiche che non vanno saltate. Ma si cresce anche se si comincia a creare questa rete di comunicazione informale e questo scambio di es.l?erienze in modo rispettoso. Bisogna crescere msieme: dietro questa parola c'è sostegno non solo di natura economica, ma anche di natura relazionale. Dal punto di vista educativo è importante agire, ma anche, i7:-tor:zoa questo, f a_redelle riflessioni. Noi crediamo molto alla preparazione, alla costruzione di gesti preparati, non emotivi, perché abbiamo visto tutti come in Italia si affrontano i problemi dell'emergenza. Si sbatte l'emozione in piazza per due giorni - com'è successo nel caso dell'alluvione in Piemonte o prima ancora del Ruanda - e, finita la piena dell'emozione, finito il tam tam della stampa, la gente dimentica. Bisogna, invece, dare continuità all'esperienza dopo aver affron- '• tare la contingenza dell' emergenza. Questo fa crescere, ma ci pone anche dei problemi, perché noi siamo ·qui a predicare e a riflettere sulla pace, quando là in Ruanda c'è il dramma della guerra, dell'uccisione e della morte. Noi ci rendiamo conto dell'immane tragedia ma ci piacerebbe metterci di più "in ascolto" per cercare di non essere i colonizzatori della bontà, perché ci sembra che qualche volta i nostri interventi possano infondere solo tante illusioni. È un problema culturale: non vogliamo andare là, in Bosnia o in Africa, a dire "noi siamo bravi perché vi aiutiamo". C'è problema di responsabilità storica. Ogni anno promuoviamo momenti di riflessione, ogni anno facciamo un corso di mondialità. All'ultimo, con Antonio Papisca e Marco Mascia sulle armi, hanno partecipato 180 persone. Prima ne avevamo fatto uno sul Ruanda, ne faremo uno sulla riconversione, uno sulla pace e sulla cooperazione internazionale. Ognuno di noi ha la sensazione che non è sufficiente aiutare, tutto dipende da BibliotecaGinoBianco come si dà. Se si vede che dietro gli aiuti c'è un utilizzo strumentale di alcuni interessi, bisogna essere in grado di denunciare. Probabilmente bisognava alzare anche il tiro un po' di più prima, quando si vedevano scandali. Ora però il volontariato internazionale rischia di pagare per colpa di chi è venuto prima e ha rubato. Tu hai spessorichiamato i temi e le esperienze internazionali nei momenti più duri della polemica col sindaco leghista di Milano, per esempio quando sono stati chiusi i centri d'accoglienza per gli immigrati, o quando è stata rifiutata la residenza anagrafica ai senza fissa dimora. Il lavoro internazionale è fondamentale, non tanto perché ci fa sentire bravi visto che andiamo a aiutare gli altri, ma perché ci fa capire meglio i problemi che ci sono qui. Il problema dell'immigrazione, per esempio. Quando , diciamo a Formentini che deve smettere di trattare l'argomento come se si trattasse solo di un problemuccio di ordine pubblico attorno alla Stazione Centrale, gli diciamo che si tratta di un fenomeno internazionale e strutturale, un fatto che ci riguarda tutti e che non va gestito solo dal punto di vista assistenziale e emergenziale. È un problema che riguarda l'Occidente, è un intreccio di problemi che va gestito con un intreccio di culture. Per usare le parole di Balducci, bisogna avere uno "sguardo planetario" per poterlo affrontare. Noi siamo preoccupati di questa miopia che presenta i problemi interni come gli unici problemi di questo mondo, di questi egoismi corporativi, di questo grosso inquinamento culturale. Stiamo diventando tutti_più bottegai, più provinciali. E in questo i vuoti della politica pesano, come pesano i vuoti culturali. In tutto questo ha un ruolo anche il discorso sull'ecumenismo, che proprio qui a Milano ha assunto un valore particolare, soprattutto da quando c'è il cardinal Martin i. Il dialogo fra le religioni è fondamentale, se andiamo a cogliere dei valori comuni sui quali si fondano tutte le religioni e sui quali l'umanità deve confrontarsi. Sul problema della pace, questo è particolarmente evidente. Nell'ex-Jugoslavia è il tema fondamentale. Le religioni devono stabilire dei criteri comuni che valgano per la convivenza mondiale, come il rifiuto della violenza, l'abolizione della "categoria nemico", la chiusura delle guerre di religione, idee che valgono dalla Cecenia alla Jugoslavia. L'ecumenismo deve porre il problema dei valori che attraversano l'umanità di oggi. È un discorso complesso, che comunque va fatto. L'umanità è aggredita nella profondità della sua esistenza, sulle questioni di fondo. Abbiamo dimenticato le utopie di fondo. L'educazione alla pace non è solo questione di assistenza, c'è una comunione di intenti, di solidarietà, bisogna imparare insi eme a esprimere valori di umanità più profondi, come il rispetto delle culture, la comprensione, la tolleranza, il dialogo. ♦ PIANETA TERRA

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