La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

se più; ma gli stati c~e li rappresentano hanno poi un ruolo che scontra la forza del loro numero con le resistenze di uno statuto dove il potere resta sempre consegnato ai veti del Consiglio di Sicurezza, e alle realtà economiche e politiche che vi sono rappresentate. Il cerchio si chiude. I grandi appuntamenti che negli ultimi anni segnano il crocevia dove il Nuovo Ordine incontra le speranze e le vite della gente qualunque della Terra danno la verifica di questo rapporto di forze: il vertice di Rio sull'ambiente nel '92, poi quello sui diritti umani a Ginevra nel '93, Cairo e la demografia nel '94, ora lo svil~pp o a Copenaghen, e poi la donna a Pechino quest'autunno, sono tutte occasioni dove la riappropriazione di una progettualità dal basso - le organizzazioni non governative, i collettivi sociali, i gruppi alternativi o marginali, il Sud del mondo comunque - ha dovuto però cedere alla difesa degli interessi "nazionali" che gli Stati più ricchi e più forti opponevano all'interesse generale, planetario. Sarebbe tuttavia illusorio immaginare un confronto con esiti diversi, anche se sopra i delegati sventola la bandiera comune dell'Onu, il consenso non è una variabile della forza, nelle relazioni internazionali. Pensando di poter creare comunque nuove dinamiche negli spazi che la crisi dei vecchi equilibri aveva aperto alle Nazioni Unite, il nuovo segretario generale, Boutros Ghali, lanciava un progetto ambizioso d'intervento globale, già quattro o cinque mesi dopo la nomina: An agenda f or Peace è una sorta di ideario per il tempo nuovo, un programma ambizioso che tende a scavalcare le resistenze dei singoli St'ati e a creare una struttura militare integrata di "pronto intervento", che agisca sotto la bandiera dell'Onu e operi su sua richiesta diretta ma conservando la propria localizzazione all'interno dei singoli eserciti nazionali. Il progetto è rimasto un progetto, e la realtà si è incaricata di sbatterci in faccia l'evidenza dei fatti: oggi le Nazioni Unite hanno fallito molti degli interventi che coinvolgono i caschi blu, mai forse nella sua storia l'Onu aveva' dovuto incassare una così forte caduta di prestigio e credibilità. Persino un capobanda come Karazdic ha poBit ~aGinoBianco VOCI tuto "schiaffeggiare" impunemente il Segretario Generale. È infatti la Bosnia, prima e più che .la Somalia, a essere ormai diventata il Vietnam dell'Onu. Privati dell'uso di qualsiasi forza male di dissuasione, i caschi blu sono sigillati all'interno di un'operazione che li fa ostaggio delle forze in guerra; diventano la sanzione amministrativa internazionale dei risultati militari che il conflitto disegna sul terreno. Trasformati in pompieri, vigili urbani, netturbini, o becchini, di eserciti e milizie che si danno battaglia sulla vita quotidiana di una società ormai distrutta, debbono assistere impotenti a una politica di genocidio le cui responsabilità restano impunite. La tragedia si è fatta ormai cronaca quotidiana, è scivolata dentro il grigiore incerto dell'assuefazione perdendo perfino il diritto all'indignazione del mondo. Ma questo è un Vietnam che coinvolge molti più attori che non soltanto l'Onu come istituzione: l'impotenza del mondo intero di fronte agli eccidi quotidiani della ex-Jugoslavia segnala una crisi culturale, che tocca il fondo più consistente delle certezze sulle quali abbiamo immaginato che poggiasse il concetto stesso di civiltà occidentale. L'ambiguità perdente dell'Onu si è fatta, in Bosnia, un atto di accusa dove l'Europa anzitutto, mapoi anche le illusioni nate dalla fine del comunismo, consumano la denuncia di una inadeguatezza ancora di fronte al nuovo Disordine Internazionale. Cinquant'anni di vita sono una festa da celebrare, ma soltanto si farà anche un riesame, spietato, degli errori e delle responsabilità. Oggi non ci sono più innocenze possibili. ♦ L'Europa e il mondo. Nuovi scenari Johan Galtung a cura di Sergio Andreis Johan Galtung, sociologo,ha fondato l'International Peace Research lnstitute di Oslo, nella cui Università insegna. È autore di saggi di politica internazionale, editi in Italia da Sonda. ♦ Qual è la tua analisi di quanto sta accadendo in Europa? Si sta formando un'Europa divisa in tre parti: 1) la parte cattolico-protestante rappresentata dall'Unione Europea. Se oltre al1'Austria anche gli altri tre paesi che hanno C'hiesto di aderire all'Unione - Finlandia, Norvegia e Svezia - vi entreranno effettivamente, quasi tutto il mondo cattolico-protestante, più quello g:eco-ortodosso, sarà nell'Umone. 2) la parte ortodossa, la cui componente più importante _è la slava, e che comprende la Russia, la Bielorussia, l'Ucraina, la Bulgaria e la Serbia; 3) la parte musulmana. Molti europei non si rendono conto del numero di musulmani presenti in Europa e nei paesi ai suoi confini orientali. In termini generali li si può suddividere in due gruppi. Uno, molto numeroso, che include l'area dalla Turchia al Kasachistan, che arriva insomma sino alla Cina e che include sette paesi, appunto la Turchia e le sei repubbliche dell'ex Unione Sovietica meridionale. Il secondo gruppo, diventato ormai molto famoso per quanto è accaduto nell'ex-Jugoslavia, include i musulmani in Bosnia, in Kossovo, in Albania e in Macedonia. Fra questi due gruppi esiste al momento una sorta di corridoio, al confine fra la Bulgaria e la Grecia; non va dimenticato che popo1azioni musulmane vivono nella Grecia settentrionale e nella Bulgaria meridionale. Il sogno dei musulmani bosniaci è l'unificazione dei due gruppi. Che i cristiani e gli ortodossi permettano che questo sogno si realizzi è un'altra ques_tione: quello che voglio dire è che la situazione è estremamente grave. Quanto

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