La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

GIOVANI A SAN VITTORE Andrea Beretta Andrea Beretta ha lavorato come operatore di strada a Cologno. Obiettore, lavora per la comunità Saman di Milano con un gruppo di tossicodipendenti nel carcere di San Vittore. ♦ - Dai andiamo a berci un aperitivo: sto smontando. Gaetano ride sempre. - Perché faccio questo lavoro? Per i soldi. Ho iniziato così, senza sapere niente: i miei fratelli avevano presentato domanda per me; dopo più di un anno è arrivata la risposta e sono partito. Cosa vuoi che ti dica: il lavoro è quello che è, soddisfazioni non te ne da, non ti offre possibilità p_eril futuro. Però si guadagna bene: che dovrei fare, tornare giù? E poi? Certo mi piacerebbe essere più vicino a casa, per i miei soprattutto ma..., alla salute - e mi strizza l'occhio, complice. Gaetano ha ventitré anni e da quattro fa l'agente di custodia. · Silvio ha trentotto anni portati male: è un po' gobbo, gli sono rimasti pochi capelli e ha fattezze contadine delle quali va fiero. Come tutti i giorni lo incontro nel corridoio, a pian terreno del secondo raggio. Ha gli occhi rossi oggi, più del solito: sembra fatto. - Andrea - mi dice - ieri è venuta a trovarmi mia madre, in colloquio: era otto anni che non la vedevo e che non la sentivo!-. Mi abbraccia. - Ci vediamo dopo: vado a prendere la spesa-. Entro nella stanza in cui, con un gruppo di detenuti, da circa un anno organizziamo attività informative e formative rivolte alle persone che transitano in questo raggio: qui sono reclusi tutti coloro che all'ingresso si sono dichiarati tossicodipendenti. Sono circa 260, il sessanta per cento dei quali stranieri, per lo più extra comunitari, immigrati. La stanza è poco più grande di una cella: siamo una decina, seduti uno addosso all'altro su sgabelli malfermi. Stiamo terminando un corso di informazione sui servizi della città:per evitare di concludere con le solite relazioni scritte, abbiamo chiesto un aiuto ad Alejandro, l'insegnante di musica, un argentino che a suo dire riesce a suonare contemporaneamente su due flauti melodie diverse. - Abbiamo pochissimo tempo - dice - non ho idea di quello che riusciremo a fare: parliamo, diciamo quello che ci viene in mente ripensando al corso. Dobbiamo essere veloci, non pensare, parlare a raffica:parole parole parole. Dopo un ora e quaranta minuti di lavoro sodo, usciamo dalla stanza con un rap. Frequentiamo il C. U. C. 1 perché siamo al C.O.C.2 BibliotecaGinoBianco e anche se non sembra I siamo gente lJ. U. C. Assistente sociale I ordinamento penitenziario perché non parli mai I del problema finanziario Affidamento al NOTI o al centro diurno ma quando arriverà I il nostro turno Molta esperienza I tanta speranza e un giorno in meno I in quella brutta stanza Comunità I a me, si, va a lui non va I ma siamo certi a qualcuno servirà I dategli almeno questa possibilità senza domandina ma per dignità Per noi il lavoro I è una cosa d'oro cosa ce ne frega del pacchetto di Marlboro è una questione di decoro E quello là che è venuto Ia parlar di metadone per noi sinceramente è un gran ... Con permesso I o senza permesso devo restare I sempre me stesso In questo giorno di chiusura I con un po' di cultura ab/Jatteremo queste mura In tutto ciò sappiamo I di esser detenuti · ma speriamo tanto I di esservi piaciuti Frequentiamo il C. U. C. I perché siamo al C.O.C. e anche se non sembra I siamo gente D. O.C. - Il tempo è volato - dice qualcuno. E mentre l'agente mi accompagna al primo dei dieci cancelli che mi separano dall'uscita, si sente riecheggiare nel corridoio il ritornello del brano: i ragazzi stanno tornando nelle loro celle. Mentre nel bar tabacchi di fronte al carcere bevo un caffè con Alejandro, ripenso al rap, al lavoro che si è appena concluso e mi viene in mente una delle giornate del corso:un 'assistente sociale del ministero di Grazia e Giustizia avrebbe dovuto illustrare a una decina di detenuti l'ordinamento penitenziario. Durante l'esposizione viene interrotta bruscamente da Piero, quarantadue anni, lunghi baffi, una vita passata a entrare e uscire dal carcere: - Mi scusi, vorrei sapere una cosa:ma voi, per me, cosafate? - Ma ...in che senso? Qual'è la sua posizione? - Non mi vede? Io sono qui perché ho commesso un reato: non ho un lavoro, ho una casa, più o meno, e mi faccia da sempre, mi piace e ho intenzione di andare avanti a farmi. Anzi, le dirò di più: seper caso dovessi usufruire di un permesso, appena fuori dal carcere, la prima cosa che farei sarebbe bucarmi. Allora: cosafate voi per me? -Ma ... - - Non fate una cazzo, scusi la parola; siccome mi faccio e mi piace farmi, per me non potete fare un cazzo. L'atmosfera eraparticolarmente tesa. - Beh, anzitutto lei è libero di fare quello che vuole; e comunque ... - Certo, certodica;no, scusise l'ho interrotta. - E comunque il mio servizio ... - e comincia una difesa strenua del proprio ruolo, delle funzioni e delle modalità del servizio, delle possibilità di accesso, e via dicendo. Nessuno più sta ascoltando, i minuti passano pesantemente. Bussano alla porta: è l'agente, puntualissimo, che ci avvisa che è finito il tempo. - Arrivederci, buon giorno - si scambiano saluti formali. Mentre mi sto mettendo il cappotto, l'assistente socialemi chiede perplessa: - Ahi Esce anche lei? Stiamo lasciando il bar. Come al solito è BUONI E CATTIVI

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