La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

Bi Dunque il quadro è quello di una "cooperazione ineguale"; se possiamo chiamarla così, o comunque di una cooperazione che avvantaggia abbondantemente i paesi occidentali cooperanti. Nonostante la retorica degli obiettivi dichiarati, la stragrande maggioranza degli interventi di cooperazione allo sviluppo ed ancora più di quella commerciale pone in realtà le condizioni per una dipendenza tecnologica e finanziaria, tipica dell'era postcoloniale. Anche quando si parla di interventi per lo sviluppo, una quota molto elevata, a volte superiore al 60% della donazione globale, è spesa in beni e servizi del paese donatore. Si crea sempre un rapporto squilibrato e di dipendenza che è quello che si stabilisce fra chi dona e chi riceve (come illustra bene una recente raccolta di saggi, Il dono perduto e ritrovato, edita da Il Manifesto). E ancor più lo squilibrio si genera se si passa dalla donazione al credito, perché il credito, anche se a tassi d'interesse sussidiati, genera per lo più un meccanismo perverso. Se gli investimenti non producono nei tempi previsti il programmato aumento di produzione - situazione molto comune - i crediti accesi anche a tas~i ~'interesse b_assicreano nuoyi biso~~i finanz1an: occorre ncorrere a nuovi prestiti per pagare gli interessi e gli ammortamenti del primo credito e così via di seguito. Non ci sono, a tua conoscenza, esempi che si sottraggano a questa logica?So che l'anno scorso sei stato, per una consulenza su questioni agricole, in Bangladesh e hai potuto discutere laggiù del progetto, di cui era giunta notizia anche qui, della costruzione di un grande sistema idraulico per evitare i periodici disastri delle inondazioni che in passato hanno causato anche migliaia di morti. Nel caso di interventi a scopo umanitario, come questo, che comportano costi insostenibili per i paesi poveri, non si configurano rapporti diversi, almeno di maggiore reciprocità, fra le due parti cooperanti? Sono molto scettico a questo proposito. Partiamo proprio dall'esempio che citi. In Bangladesh si sta progettando un grosso intervento per la regolazione·dei due grandi fiumi, il Gange ed il Brahmaputra, nel loro corso finale dove creano il più grande delta fluviale del mondo. L'idea di questo enorme progetto venne lanciata da Mitterrand nel 1988 a seguito dell'impatto anche emotivo di inondazioni eccezionali e devastanti verificatesi in due anni successivi ('87 e '88). Mitterrand aveva in testa una grossa operazione politica: captare l'immaginazione del mondo occidentale su un grande progetto attorno a cui coagulare energie e risorse che potrebbero, a suo parere, rovesciare l'attuale situazione di povertà e sottosviluppo. Una filosofia questa esattamente opposta a quella che faticosamente si è imposta nel mondo della cooperazione allo sviluppo. L'operazione comunque è nata su una impostazione tutta tecnocratica di esperti ingeo COOPERAZIONE INTERNAZIONALE gneri francesi che hanno previsto grandi opere di arginazione dei due fiumi per lunghissimi tratti: un'opera ingegneristica di proporzioni ciclopiche. Si sono poi aggiunti studi e f roposte finanziati dagli Usa, dall'Onu e da Giappone: ciascuno dei quali ha focalizzato aspetti diversi dell'intervento, giungendo a conclusioni in molti casi contraddittorie. Si sono poi aggiunti fra gli sponsor della fase conoscitiva anche la Ue, la Germania, la Gran Bretagna e l'Olanda. Infine il compito di coordinare il grande sforzo di progettazione e di futura esecuzione del progetto, che è stato chiamato Flood Action Plan, è stato affidato alla Banca Mondiale. Questo grande progetto può essere visto come una metafora della cooperazione nei suoi aspetti più negativi: viene proposta una soluzione che, se realizzata secondo il progetto attuale, sovverte sostanzialmente tutta la struttura idrologica, geografica, produttiva e sociale delle campagne del Bangladesh. Dal punto di vista tecnico si prospetta un nuovo sistema idraulico a controllo totale dei flussi delle acque superficiali sulla maggior parte del territorio con la costruzione e gestione di un imponente sistema di argini, canali, porte idrauliche e reservoirs. Di fatto si tratterebbe di trasformare un sistema di drenaggio delle acque di piena, costruito attraverso il lavoro di centinaia di anni, in un sistema di irrigazione controllata. Un sistema costosissimo non solo per la costruzione e gestione delle infrastrutture ma anche dal punto di vista ecologico e in termini di perdita di terre coltivabili. Al momento attuale esiste un sistema di regolazione delle piene dei fiumi basato sulla temporanea inondazione delle terre da coltivare: una complicata rete di canali, in parte naturali, ed un sistema di piccoli argini che vengono di volta in volta rinnovati servono a far defluire le acque dai campi inondati, che nel frattempo hanno ricevuto il benefico apporto di sostanze e microrganismi che ne ricostituiscono annualmente la fertilità. La soluzione prospettata non solo sovvertirà l'attuale sistema costruito attraverso l'esperienza ed il lavoro di centinaia di anni, ma creerà un nuovo problema perché i fiumi arginati non potranno più ricevere le acque di deflusso dai campi allagati dai monsoni. Infatti un corso di acqua che scorre fra argini tende a sollevarsi dal piano di campagna per effetto dei depositi di detriti portati dall'acqua e quindi a rendere impossibile il deflusso naturale delle acque piovane con inevitabili ristagni. Inoltre si perde l'effetto benefico delle temporanee inondazioni come è già avvenuto per il delta del Nilo dopo la costruzione della diga di Assuan. :• Ma quali sono le motivazioni che vengono portate a sostegno di un così gigantesco progetto, che comporta radicali alterazioni ambientali in un intero sistema geografico e sociale?Mi pare che tu denunci il rischio di soluzioni ingegneristiche che, limitandosi a scongiurare la mi-

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