La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 1 - febbraio 1995

Camminando da Nord verso Sud Nei pressi di Gondar (una città di re etiopi e di imperat◊ri che si ?-ttraversa quando dalla baia di Aden passando per Gibuti ci si sposta verso El Obei~, Tersaf Njamena e il lago Ciad) incontro un uomo che si dirige a piedi da Nord verso Sud. Questo è tutto quello che so di lui; è la cosa che lo distingue. Scopro che sta cercando il fratello perduto. · È a piedi nudi, indossa un paio di pantaloncini rattoppati e quella che una volta avremmo chiamato una maglietti: Con sè, porta soltanto tre oggetti: un bastone da passeggio; un pezzo di stoffa che usa a pranzo come tovaglia, di giorno come copricapo per ripararsi dal sole e la sera come coperta per dormire; e una boccia di legno con un coperchio che porta sulle spalle. Non ha denaro. Vive della gentilezza degli estranei. Se non trova da mangiare, gli resta la fame. È sempre stato affamato. Cammina verso Sud perchè quando se ne è andato da casa suo fratello ha preso questa direzione. Quando è stato, chiedo? Molto tempo fa. Tuttò il passato di quest'uomo sembra riassumersi in una sola frase: "molto tempo fa". È partito dalle montagne dell'Eritrea, da Keren. È partito molto tempo fa. Sa come andare a Sud. La mattina cammina seguendo la direzioné del sole. Chiede a tutti quelli che incontra se conoscono Solomon, suo fratello. Nessuno si stupisce della domanda. Tutta l'Africa è in movimento. Alcuni fuggòno la guerra, la sete; la fame e tornano a casa. Spesso perdono la strada. L'uomo che cammina verso Sud è solo uno dei tanti. Gli chiedo perchè vuole trovare suo fratello. Scrolla le spalle. Per lui, la domanda si risponde da sé. Scrolla le spalle: prova pietà per quest'uomo, per questo str.aniero che magari sarà anche b~n vestito 11:aè chiar~~~nte, seriament_e,p_rivo d1 qualcosa d1molto pm rmportante. Gli chiedo se si è accorto di aver sconfinato, di essere passato dall'Eritrea in Etiopia. Mi risponde con· un sorriso d'intesa. Per lui c'è solo una terra che brucia e un fratello che cerca suo fratello. Dedre Libanos Lungo la stessa strada, ma ai piedi di una collina, sul ciglio di un canyon scosceso, c'è un monastero: Dedre Libanos. Dentro la chiesa fa piacevolmente freddo, ed è come se fossi stato spinto in una tenebra assoluta. Lentamente, i miei occhi si abituano al buio e scorgo delle pareti affrescate e un gruppo di pellegrini etiopi, vestiti di bianco, sdraiati faccia a terra sul pàvimento coperto soltanto di stuoie di paglia. In un angolo, un vecchio monaco canta i salmi in Gyz, una lingua morta. La .sua-voce monotona è fievole, e sembra sempre sul punto fii dissolversi completamente. È un momento di silenzio e di misticismo; un momento che non è un momento e che non fuoi pesare o misurare. Oltre l'esistenza, oltre i tempo. Da quant'è che i monaci stanno qui, sdraiati a pregare? Non lo so. So solo che lascio la chiesa e poi rientro. Continuo a entrare e a uscire diverse volte durante la giornata. I monaci sono sempre lì, immobili. Un giorno? Un mese? Un anno? Lungo come l'eternità? ♦ Questo testo, gentilmente fornitoci dall'autore, è apparso su "Granta" n.48 (estate 1994) e fa parte di Ebony, una grande inchiesta-riflessione sull'Africa ancora incompiuta.© R. Kapuscinski 1994. BibliotecaGinoBianco miere ondulate dei tetti, uno contro l'altro. I rari spazi più ampi erano occupati da donne che vendevano manioca abbrustolita o polenta di miglio. Entrammo soloper una attimo a casadi Steven. La porta di legno malferma dava l'accesso a quello che vedevo solo come un antro nero. Steven mi fece sedere su un minuscolo sgabello in legno mentre .Nyash mi sorvegliava restando in piedi sull'uscio. Quando gli occhi si abituarono all'oscurità vidi un telo appeso a una corda che divi'deva in due l'ambiente, e da quello uscì una donna anziana ossuta che Steven mi presentò come sua madre. I s.alutif urono gravi ma distratti, la donna andò verso l'uscio e consegnò un catino di metallo a Nyash, che lo svuotò con un gesto rapido del braccio, gettando l'acqua un paio di metri più in là. Aspettammo che Steven riempisse la propria borsa a tracolla con qualcosa che gli serviva, poi lasciammo la casa continuando per la nostra strada, senza salutare la mamma di Steven. Steven e Nyash camminavano qualche passo davanti a me, chiacchieravano tranquilli. Saltavano con agilità le pozze fangose, salutavano con un cenno gli amici che incontravano. Erano sulle strade di casa. Dicono questo, le statistiche: che il cinquantaquattro per cento degli abitanti di Nairobi vive sul cinque per cento dei terreni edificati. Che le densità abitative sono di millecinquecento persone per ettaro. Che in quartiericittà come· quello di Kibera, affacciato sulla pozza artificiale f armata dal fiume Motoine, non ~siste sistema fognario, l'acqua potabile è rivenduta attraverso chioschi che servono ciascuno più di duemila persone, e le latrine pubbliche a pozzo nero servono cento persone ma in genere sono intasate, a volte l'accesso è impedito da vere e proprie montagne di escrementi. La raccolta dei rifiuti è inesistente, e la spazzatura ostruisce gli stretti passaggi tra le case, impedendo il deflusso delle acque piovane che inondano aree intere nelle stagioni umide. Tutte le mattine, da Kibera·, partono almeno centocinquantamila persone dirette verso il luogo di lavoro - sia esso una fabbrica, un ufficio, o uno dei cosiddetti irripieghi informali - a piedi come una migrazione biblica o ag-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==