La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 1 - febbraio 1995

nuovo edificio in costruzione vicino alla Africa Hall, ogni volta più imponente e più lussuoso. Anche se la società africana sta cambiando e mentre cambia diventa sempre più povera, gli affari del governo sembrano proliferare in modo incontrollato. È il caso dell'Africa Hall. Non ci sono vincoli o regolamenti. I corridoi, le sale per le conferenze, gli uffici sono sepolti sotto pile di carte accatastate, alte fino al soffitto . Altre carte sporgono dagli armadi..e dai casellari. Altre ancora sono cadute dai cassetti o ruzzolate giù dagli scaffali. E ovunque, dietr-0 tutte le scrivanie, riunite il più possibile vicine, ci sono delle belle donne. Sono le segretarie. Sto cercando un libro intitolato Lagos Pian of Action f or the f,conomic Development of Africa 1980-2000. E il resoconto del vertice di tutti i capi di stato africani tenutosi a Lagos nel 1980 per far fronte alla crisi africana. Il piano elaborato a Lagos doveva essere una sorta di bibbia, di panacea, di grande strategia per lo sviluppo dell'Africa. . La mia ricerca è infruttuosa. La maggior parte della gente non ha mai sentito parlare del volume. Alcuni ne hanno sentito parlare ma non lo conoscono nei dettagli. Una minoranza dice di averlo letto ma di non averne una copia. Però possono riferirmi nei dettagli il contenuto di alcune risoluzioni. Per esempio, una che riguarda la produzione di noccioline senegalesi. e il suo possibile incremento. O quella sulla mosca tzètzè in Tanzania e su come fare per debellarla. O quella sulla siccità in Senegal e sulle misure per limitarla. Ma nessuno sembra ricordarsi la risposta alla domanda chiave del vertice di Lagos: come salvare l'Africa? Un paradosso del nostro mondo Alla Africa Hall, parlo con il giovane ed energico Babashola Chinsman, il direttore delegato dell'agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite. Viene dalla Sierra Leone. Il suo caso è abbastanza straordinario: Chinsman è uno dei pochissimi africani rappresentati nella nuova "classe dirigente globale". Vive in una villa ad Addis Abeba (per via del suo incarico) e possiede una villa a Freetown (che ha affittato all'ambasciata tedesca) e un appartamento a Manhattan (non sopporta gli alberghi). Ha una màcchina, l'autista, la servitù. Domani dovrà andare a Madrid per una conferenza; tra tre giorni sarà a NewYork; la settimana prossima prenderà un aereo per Sydney. La domanda che domina qualsiasi discussione è invariabilmente la stessa: che fare per la fame in Africa? La nostra conversazione è interessante e amichevole. Chinsaman mi dice: "Non è vero che l'Africa ristagni. L'Africa si sviluppa. Non è soltanto un continente affamato; il problema è più ampio, va posto su scala mondiale: centocinquanta paesi sottosviluppati rumoreggiano alle porte di venticinque paesi sviluppati, dove però c'è la recessione e la crescita demografica è bloccata ... Nel frattempo, l'Africa non può mettersi alle spalle l'ostacolo costituito dalla straordinaria arretratezza delle sue infrastrutture: i trasporti inadeguati, le strade cattive, l'insufficienza di mezzi pesanti e di vetture e di autobus, un pessimo sistema di comunicazioni" "l{no dei parados~i del n?stro mondo st~ tutto m questo esempio: pensiamo a quanto c1 costa garantire un pasto - un pugno di grano - a un rifiugiato in un campo profughi, in Sudan poniamo: tra spese di trasporto, immagazzina- ➔ BibliotecaGinoBianco NAIROBI: ;' UNACITTÀCOMELEALTRE? Andrea Berrini Telefono a Nairobi per avere conferma. Sì è · vero, ci sono stati scontri in baraccopoli tra etnie diverse. Questa volta tra Luo e Somali, i morti sono più di trenta. Padre Paulino mi rassicura, nessuno dei loro è rimasto coinvolto, non ci sono feriti tra le persone che conosco laggiù. Paulino è ugandese, Comboniano, e mi parla dall'ufficio di Mji ya Furaha, il centro giovanile che ha la sua sede sul ciglio del vallone scavato dal fiume Ghytathuru. Bisogna sollevarsi oltre il muro che recinta il giardino del Centro per vedere giù le baracche, accatastate a ridosso del fiume. Nelle baracche, a Nairobi, vive il cinquantaquattro per cento della popolazione di questa pur piccola metropoli, che contiene poco più di due milioni di abitanti, ma ha un tasso di crescita dell'otto per cento. Più o meno quel che accade in tutte le capitali africane. Secondo certe proiezioni, entro quindici anni un africano su quattro vivrà in baraccopoli. L'ultima volta che sono passato dall'ufficio · di Paulino ci ho trovato i ragazzi della cooperativa di produzione di batik. Stavano preparando un catalogo da mandare in Italia. Scene di mercato, donne con bambini, un elefante. E poi i ragazzi di strada mentre sniffano la colla, e l'uomo che raccoglie i rifiuti nella discarica, con il saccosulle spalle. Un Cristo crocefissosopra a un copertone che brucia: intornq, i simboli della giustizia sommaria cosìfrequente nello slum, un sasso, una tanica di benzina, un fiammifero. Il collare di fuoco è la punizione atroce per chi è sorpresoa rubare. Eravamo andati giù fra le baracche, Steven e Nyash ci tenevano a mostrarmi il posto dove lavorano. Percorrevamo stretti passaggi tra casupole di fango e graticcio, attenti a non mettere i piedi nell'acqua lurida o su~li escrementi dappertutto, e a non tagliarci la Jaccia sulle la-

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