Studi Sociali - anno V - n. 29 - 21 aprile 1934

STUDI SOCIALI 5 Frattanto i fascisti, nel tempo stese° che distrug- gevano i sindacati liberi, s'impossessavano, con l'aiuto dell'autoritil ufficiale, delle loro sedi, dei lo- ro fondi sociali, dei loro documenti legali. General- mente il procedimento era questo. Dove c'era un sindacato operaio con un po' di capitali le squadre , delle camicie nere impedivano con la violenza che Il sindacato funzionasse, ne sbandavano col terrore gli associati e raccoglievano i più deboli in un sin- dacato fascista. Questo si presentava allora come il successore legittimo dell'altro, e s'impadroniva, con la sanzione legale delle autorita, del danaro e dei beni del suo predecessore. Ed anche se nessun membro del vecchio sindacbto fosse passato al nuo- vo, l'operazione si realizzava sempre perché le au- torita mai esigevano delle prove. Lo stesso si faceva con le cooperative e con le societa di mutuo eoc- corso. Molte di queste ultime, dopo esser passate in mano degli amministratori fascisti, scomparvero attraverso una rapida decadenza. I sindacati fascisti, ripeto, anche se adottavano a volte e solo nel linguaggio giornalistico il nome di -corporazioni — messo di moda da D'Annunzio a Fiume — non ebbero, nei loro primi quattro anni di vita, nessun carattere che li avvicinasse al tipo di sindacalismo di Stato basato sulla collaborazione di classe, che é presentato dai teorici attuali come la essenza stessa dell'idea fascista. La trasforma- zione é lenta e dovuta sopratutto a motivi contin- genti che si riassumono in uno solo: la necessita di distruggere, fino nelle possibilita burocratizhe, la organizzazione operaia libera che costituiva al tempo stesso un pericolo pel capitalismo e una mi- naccia per lo Stato fascista. Le tappe di questa lenta evoluzione sono o sembrano talvolta insigni- ficanti. Anzi tutto, il governo dette lacolta ai pre- fetti (rappresentanti del potere esecutivo nelle pro- vincie) di sciogliere qualsiasi organizzazione per semplice motívo d'ordine pubblico. Naturalmente, questa misura era una prima arma legale contro i sindacati non fascisti. In seguito, con una legge del 24 gennaio 1924, il governo si attribuiva il con- trollo diretto di questi sindacati. In tutto l'anno 1924 e nel 1925 le condizioni re- starono cosi. Dal punto di vieta formale, continuava *d esserci la liberta di organizzazione. Nella resina, quel poco che ancora restava doveva limitarsi ad una attivita semi-clandestina, giacché, nelle singole localita, il vero potere non risiedeva nelle mani di coloro che erano ufficialmente incaricati di far ri- spettare le leggi, ma in quelle dei gruppi fascisti d'azione che imponevano col revolver ed il pugnale un'altra legge, la legge reale e brutale che antici- pava nella pratica ciò che fu sanzionato giuridica- mente più tardi. Abbiamo visto cne nel 1925, dopo tre anni di dominazione fascista, le elezioni delle commissioni interne di fabbrica dettero un risultato estremamente favorevole ai socialisti. Questo fatto e la resistenza sorda e passiva delle masse, furono I principali fattori che spinsero a poco a poco il governo pel cammino del totalitarismo espresso nel- la formula: "tutto nello Stato, nulla fuori dello tato, nulla contro lo Stato". (Il seguito al prossimo numero.) LUCE FABBRI. (Da un libro in lingua spagnuola "Camisas Negras"uli prossima pubblicazione.) Diamo qui, per norma dei volenterosi, gli in- dirizzi di alcuni dei principali Comitati di soc- corso, cui rivolgersi con le offerte per venire in aiuto alle vittime politiche: Comitaln Nazioliqle Anarchico pro Vittime politiche. — Rivolgersi a: V. P. JEAN RE- BEYRON, boite postale 21, Bureau 14, PA- RIS 14 (Francia). Comitato pro figli dei Carcerati politici — Rivolgersi a: CARLO FRIGERIO, Case poste Statici, 128. GINEVRA (Svizzera). Comitato Internazionale Libertario d'assi- stenza alle vittime politiche. — Rivolgersi a: COMITATO INTERNAZIONALE LIBERTA- RIO, P. O. Box '565, WESTFIELD, N. JER- SEY (Stati Uniti). Comitato pro Vittime politiche dell'Unione Sindacale Italiana. — Rivolgersi a: JEAN GI- RARDIN (U. S. I.) Boite postale n. 58. PARIS 10 (Francia). SPUNTI CRITICI E POLEMICI CHE COSE' IL SOCIALISMO? -- Nel noetro numero scorso ci stupivamo che A. Labriola, a- mante di liberta, consentisse a dare il nome di "socialismo" (pur mostrandogliei ostile) a quella specie di stataliemo capitalieta che, col pretesto di meglio organizzare tecnicamente la produzione, tende ad estendere sempre più il potere del go- verni centrali ed a consolidare, con l'estenderne l'autorita nel campo dell'economia, i vari faacismi e regimi dittatoriali che oggi deliziano il mondo. Lo stataliemo, noi dicevamo in «istanza, non é il socialismo, ma la sua negazione o, nella ipotesi più ammissibile, una sua ignobile sofisticazione. Un recente articolo del Labriola in "Critica" di Buenos Aires (del 29 marzo u. s.) viene a darci ragione nella sostanza, pur lasciando nel suo dire un errore logico e teorico. Nazismo e fascismo so- no, secondo lui, una "forma morta" di socialismo, la negazione dello spirito socialista e la guerra contro di questo, — mentre "come spirito., cuore, anima il socialismo é una liberazione e una auto- nomia. La essenza della liberazione voluta dal so- cialismo é la condanna delle ideologie tradizionali religiose, morali, nazionali e culturali. Contro que- sta liberazione sorge la reazione fascista e nazhita". Benissimo! ma.., non basta. Nazismo e fascismo non sono socialismo neppure come "forma morta" materiale. Labriola vede nella reazione fascista un dopp:o carattere: "una realizzazione della forma ma- teriale del socialismo e la negazione della sua for- ma spirituale". Qui persiste l'errore, logico e teo- rico insieme. Logico, perché lo spirito e la rea- lizzazione materiale di un'idea, se non riescono mai ad essere la stessa cosa, se fatalmente la seconda é sempre più limitata del primo, restano però sullo stesso piano e non possano mai arrivare ad essere l'una negazione dell'altro. Se negazione v'é, o non é socialista lo spirito o non lo é la realizzazione. Ed é poi un errore teorico, quello di Labriola, per- ché il socialismo é statZ, sempre, fin dalle origini, un programma di liberazione, non solo spirituale ma anche materiale, da tutti gli sfruttamenti e le oppressioni dell'uomo sull'uomo. Ninna organizza- zione tecnica della produzione potrebbe dirsi socia- lista, se non attua tale programma di liberazione. Perciò il nazismo e il fascismo, con qualunque or- ganizzazione tecnica si ,mascherino nel Campo del- l'economia, poiché non sono altro che lo sfrutta- mento e l'oppressione umana elevati al massimo grado, sono la negazione più assoluta di qualsiasi socialismo, di ogni sua forma matefiale come d'ogni sua ferma spirituale. 5 PER NON FAR L'ALTRUI MESTIERE. — Non vogliamo, per spirito polemico, finir col fare... la zuppa nel paniere, come chi vuol far reltrui me- stiere. — secondo il vecchio proverbio popolare. Ciò accadrebbe se ci assumessimo noi il compito di difendere il movimento "Giustizia e Liberia" dal- la estesa critica rivoltagli dal compagno M. S. ne "L'Adunata dei Refrattari" di New York, n. 49 del 9 dicembre u. s. Vero é che quella critica vien fatta in polemica con un nostro precedente arti- colo; ma in reali(' non ci riguarda, poiché, — a parte il tono che ci sembra forzi alquanto le tinte, — dessi) é una critica che, parola più parola meno, potremmo far nostra. E se vi fosse per caso qual- cosa d'ingiusto che a noi sfugga, é a "Giustizia e Liberia," che spetta d'interloquire. non a noi. In sostanza Si. S. dimostra molto bene che quelli di "G. e L." non sono antirchlei e che fra il pro- gramma loro e nostro vi sono forti incompatibilita. Del che però eravano persuasi anche noi da prima, e non lo avevamo taciuto. E' per questo che, mal- grado alcune tendenze e atteggiamenti simpatici di quel movimento, noi non vi aderiremmo e credM- mo sarebbe errore degli anarchici l'aderirvi. "G. e L." é un movimento a scopi statali, e quindi ci é avversario: é chiaro. Ma questo si può dire più o meno di tutti i mirini e movimenti antifascisti, proletari e rivoluzionari non anarchici, aventi cia- scuno un suo proprio programma autoritario, fra i quali nonostante vi sono differenze notevoli che accrescono o diminuiscono la loro lontananza da noi. In base alle pubblicazioni di "G. e L." noi e- sprimevamo la nostra opinione su di lei, basandoci però non sopra un solo schema o scritto, ma su tutti quelli apparsi nella rivista omonima fino al moniento in cui scrivevamo, specialmente su quelli redasionall o degli autori che più parevano inter- petrarne le direttive. Anche dopo le osservazioni di M. S. non abbiamo cambiato di parere, pur ammettendo che potremmo mutarlo in base ad altri atteggiamenti o fatti di 'G. e L." che venissero a nostra cognizione, trat- tandosi di un movimento con cui noi non abbia- mo a che fare e che si muove sopra un piano assai diverso dal nostro. Con tutto ciò, resta un punto importante di dis- senso fra noi e gli amici de "L'Adunata": quello dell'atteggiamento nostro di anarchici verso i vari movimenti a carattere rivoluzionario e antifascista, specialmente verso quelli animati da un maggiore spirito di liberte, da una maggiore avversione per le soluzioni totalitarie e dittatoriali, come ci pere che sia "G. e L.". Restiamo dell'opinione che sia consigliabile verso di essi, dal di fuori e in com- pleta indipendenza di spirito e di organismi, un - - atteggiamento -di serena cordialite che avvantaggi la nostra propaganda e nel medesimo tempo4asel sempre possibile una libera quanto efficace coo- perazione comune nel campo dell'azione diretta e rivoluzionaria contro il comune nemico. Ma di ciò torneremo a parlare separatamente in migliore occasione. * * METTENDO QUALCHE PUNTO SUGLI I. — Nel quaderno n. 10 di -Giustizia e Liberia" di Parigi, del febbraio scorso, Angelo Tasca ci tira in ballo in una sua polemica col compagno Alberto Mesciti, In modo da costringerei a dire qualche cosa in merito. In nna sua lettera cc "O, e L.- il Meschi aveva fatta un'appassionata difesa del movimento anar- chico spagraiolo e sopratutto una carica a fondo contro la politica del governo di Azana e dei so- cialisti suoi allea ti nei primi due anni della re- Pubblica, dei quali é sopratutto la colpa ne oggi le de.are reazionarie dominano il governo dietro il debole paravento di Lerroux. Per nove decimi e più l'articolo di Meseld potremmo sottoscriverlo anche noi, eccezion fatta di qualche frase più da comizio che meditata. da cui Tasca prende argo- mento per replicare, e ai un certo spirito sindaca- lista che ci pare un po' eccessivo. Certamente Angelo Tasca ha ragione quando os- serva a Meschi che non c'è un metodo anarchieco unico e solo, tanto vero che se fra gli anarchici una divisione c'è,- e non troppo superficiale, essa é appunto per questione di metodi. Metodo gene- rale, comune a tutti gli anarchici, é quello dell'a- zione diretta rivoluzionaria, individuale e collettiva, libera e velontaria: ma nella sua applicazione pos- sono sorgere dissensi non lievi. Però. quando Ta- sca porta per esempio della diversittí dei metodi anarchici quello dello spagnuolo A. Pestagna, egli cade in grave equivoco. Il Pestagna ormai si é messo fuori dell'anarchismo ed il suo metodo scia- sionista e confusionario, determinato più dai suoi rancori personali e dalla voglia di predominare che da un reale desiderio di bene, é troppo politicante ed antilibertario per conservare diritto di cittadi- nanza in mezzo a .noi. La citazione di ciò che noi dicevamo tempo fa sull'anarchismo spagnuolo. fatta da Tasca quasi in sostegno della posizione di Pestagna e di ciò che, a difese di questi, scriveva la sindacalista fran- cese Pelletier. é quindi fuori posto. Anche se Pe- stagna può aver detto talvolta cose giuste, l'averle egli annegate sotto la sua rabbia antianarchica gli toglie ogni considerazione. E se pure la "Confe- deracien-Nacional del Trabajo" di Spagna e la "Fe- deracien Anarquista Iberica" han commesso degli errori, — la qual casa siam lungi dal negare, — dobbiamo dirli senza ambagi per evitarne la ripe- tizione; ma restiamo, nonostante, al fianco di quel- le. solidali non solo contro il potere statale e ca- pitalista che le colpisce ferocemente, benst anche contro tutti i confusionisti ed i transfughi che le Insidiano da destra e da sinistra con l'unico risul- tato di moltiplicare nll'infinito le divisioni proletarie e danneggiare sempre più la causa della rivolu- zione. UN'INSISTENZA DEGNA DI MIGLIOR CAUSA. E' quella con cui il compagno li:. Macchi replica alle spiegazioni di fatto date da nei nel n. 25 di "Studi Sociali" in merito alle polemiche successive all'attentato del -Diana" di Milano del 1921, che si ebbero nel nostro campo, e su cui il Macchi a- veva dato un giudizio che ci parve cosi ingiusto ed offensivo, da non poterlo »piegare se non con una sua poca conoscenza delle polemiche 81121CCCII- nate. Ma il Macchi pubblicava nel n. 50 del 15 di- cembre n. e. de "L'Adunata dei Refrattari" di New York una specie di comunicato, con cui, replicando in tono altezzoso a quelle nostre spiegazioni del tutto amichevoli, non ne tien conto, ci fa su del- l'ironia di dubbio gusto, confonde fatti, cose e persone, e insiste col suo arbitrario giudizio, arri- vando a parlare di mancanza di "coraggio civile" a proposito delle dichiarazione dell'Unione Anar- chica Italiana sull'attentato suddetto. Noi che a suo tempo, come membri dell'U. A. I., approvammo e facemmo nostra quella dichiara- zione. che ci parve e ci pare ancora altamente do- verosa, — e la difendemmo a lungo nella nostra stampa contro coloro che non volevano capirla o per spirito fazioso la falsavano, — lasciamo che il Macchi ci giudichi come vuole, senza <curarcene oltre. Non ne vale la pena. Ma poiché egli insi- nua. chisstl perché, che noi siamo "forse pentiti del nostro contegno di allora", ci teniamo asl as- sicurarlo che non siamo pentiti affatto, e che quello che scrivemmo, approvammo o disapprovammo al- lora lo riconfermiano completamente oggi come la espressione di un pensiero che, su quell'argomento ed altri consimili, ci sembra sempre il più corri- spondente all'ideale umano dell'anarchia e all'inte- resse superiore della rivoluzione sociale. Il che non ci vieta — e se Stacchi non capisce una cosa tanto semplice, non sappiamo che farci — di restare lostesso solidali, contro la persecuzione borghese e statale che li colpisce, con tutti i ri- belli, anche quando qualche loro fatto ci sia parso un errore, e di rendere il più commoeso omaggio al loro disinteresse e al loro sacrificio. CATILINA.

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