Studi Sociali - anno V - n. 29 - 21 aprile 1934
4 STUDI SOCIALI • ferrovieri (molto forte, nel quale avevano non poco seguito gli elementi anarchici). Nel 1914, alla vigilia della guerra, la Confedera- zione Generale del Lavoro era arrivata a contare 3.21.858 aderenti. E a questo progresso delle orga- nizzazioni operaie corrispondeva un livello sempre più elevato dello "standard" di vita delle classi umili e insieme un progresso costante nello svi- luppo industriale, progresso in cui le giuste esi- genze dei produttori tenevano la loro parte di me- rito, poiché obbligavano gli industriali a non dor- mire nella comoda poltrona dei vecchi sistemi di lavoro. Esistevano anche numerose e forti associazioni sindacali cattoliche, che erano sorte dopo la enci- clica "Rerum Novarum" di Leone XIII; ma il loro programma collaborazionista, cioé antisindacale e antiproletario la indeboll non poco, facendola passare nel periodo che va dal 1903 al 1911 da 400.000 . a 104.164 membri (1). Dopo la guerra, la crisi economica, l'aumento ver- tiginoso dei prezzi ed una 'quantità di fattori psico- logici che tutti conoscono e che sarebbe qui inutile enumerare, ad:aizzò il conflitto fra il capitale e il lavoro, non solo in Italia ma in ogni dove. Le necessità di questa lotta spingono gli operai in massa verso le organizzazioni. In un anno, dal 1918 al 1919, la Confederazione Generale del La- voro quasi quintuplica i suoi membri. L'Unione Sin- dacale arriva a contare circa 300 mila affiliati. Gli scioperi si succedono rapidamente gli uni agli al- tri, senza che i salari, in quella pazza carriera, riescano quasi mai a raggiungere l'indice del costo della vita. Questi scioperi, malgrado l'atmosfera ri- voluzionaria che s'era creata in Italia, erano quasi selmpre riforniteti, come riformiate erano le coope- rative e le eocieta di assistenza che andavano sor- gendo in quegli anni. Gli organismi per la, ricostruzione economica della società su basi più giuste sorgevano in ogni parto con ritmo accelerato. Mancava l'organizzazione della difesa armata di quei medesimi organismi e, sopra- tutto, mancava iniziativa tra le masse, abituate a ricevere ordini e ad aspettarli dalle superiori ge- rarchie sindacali e di partito. I capi, come sempre, mancarono alla loro missione e l'organizzazione o- peraia italiana fu schiantata, quando i capitalisti, feriti nel loro interessi, passarono bruscamente da una timorosa aspettativa all'azione violenta ed e- stralegale. Oggi i fascisti si vantano di aver salvato l'Italia dal disordine rosso e parlano del periodo dell'occu- pazione delle fabbriche come di un momento ver- gognoso della vita italiana. Eppure in quel periodo, Mus- oliai, proseguendo la sua tattica demagogica con gli operai e di ricatto con gli industriali, esal- tava il gesto rivoluzionario delle masse produttrici. La sua campagna contro le organizzazioni socialiste e sindacaliste si basava spesso sull'accusa di man- canza di spirito rivoluzionario. Gli stessi sindacati fascisti, che cominciavano a sorgere e contavano un numero insignificante di affiliati, non tenevano una linea di condotta uniforme. Erano rivoluzionari dove gl'industriali o i proprietari rurali si negavano a riconoscerli; ma si trasformavano in crumiri al servizio dei padroni dove questi li aiutavano. Be un movimento anticapitalista fosse scoppiato, in molte parti d'Italia avrebbe trovato immediata- mente gli strumenti adeguati per una evoluzione verso una economia nuova. Alcuni esempi: — La provincia di Ravenna, su 250.000 abitanti, contava 20.000 organizzati. Le cooperative di consumo ave- vano 12.000 membri e i suoi negozi giungevano an- nualmente ad un movimento di 25 milioni di lire. Nel 1921 le cooperative di lavoro e di produzione avevano eseguito lavori per un valore di 7.728.000 lire. Le cooperative agricole coltivavano 9.605 et- tare di terra ( 2). In Bologna, dove io vivero In quel tempo, l'Ente autonomo dei congumi" assorbiva gran parte del commercio. Il sindaco socialista, organizzatore e animatore di quell'istituto, non era un rivoluzio- nario, però dichiarava che se, contro il suo desi- derio, si fosse prodotta una rivoluzione anticapita- lista, egli avrebbe potuto impegnarsi ad approvvi- gionare tutta la zona attraverso la rete delle coo- perative. Ed infatti, durante la guerra, mentre cittit importantissime, come Toririo, erano qualche volta restate senza pane, Bologna, grazie a quell'orga- nizzazione della distribuzione, aveva continuato un ritmo di vita quasi normale. (1) Buozzi e Nitti: "Fasciame et Syndicalisme". — Edit. Vaiolo, Paris. (2) Buozzi e Slitti, Opera citata. Molinella, la piccola città della pianura emiliana che resisté disperatamente fino all'esaurimento, (»- al di eroi tra la massa grigia dei rassegnati, aveva un sistema di cooperative agricole, il capitale delle quali ascendeva a molti milioni e che controllava praticamente tutta la produzione di quel settore. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi: Milano, Reg- gio Emilia, Novara... E lo sviluppo della coopera- zione era strettamente legato al movimento sinda- cale. Le classi dominanti si spaventavano dei canti ri- voluzionari delle moltitudini, ma si impaurivano an- Cnr più per questo lavoro tranquillo e pratico che minava lentamente il loro dominio. E quando vici- dero che, dietro gli inni non c'era una seria prepa- razione armata, incominciarono l'offensiva, trovando 11 loro strumento adatto nelle squadre d'azione del partito fascista, Le spedizioni punitive, poste a servizio dei grandi industriali e dei grossi proprietari di terre, molte volte organizzate e pagate da loro, protette dalla polizia, appoggiate dalle forze armate, non ci mi- sero molto tempo a distruggere tutto ciò ch'era stato pazientemente costruito. I primi edifici incen- i(Mti (dopo l'incendio contro I"Avanti!" del 1919) furono le cooperative, le camere del lavoro, le biblio- teche operaie; le prime vittime del pugnale fascista furono organizzatori operai. Scoppiava uno sciopero: con un colpo di telefono l'industriale chiamava le camicie nere; e si ripetevano le scene di terrore delle spedizioni punitive. Gli operai non dispone- vano di danaro né di automobili per riunirsi in gran numero rapidamente; precedenti perquisizioni della polizia avevano lasciato senz'armi le case dei pro- letari. La sconfitta era quasi sempre fatale. Gli scioperi cominciarono a diminuire e i proprietari dei mezzi di produzione, resi insaziabili dai favolosi guadagni del periodo bellico, approfittarono dell'im- potenza degli operai per ribassare immediatamente i salari. Questo i fascisti chiamano ora "aver sal- vato l'Italia dal disastro". La dimostrazione della vitalità, creativa del movi- mento operaio italiano fu data dal clamoroso epi- sodio dell'occupazione delle fabbriche da parte dei lavoratori, che parve il principio di una vita nuova e si ridusse all'applicazione di un metodo inedito alla consueta lotta sindacale per miglioramenti im- mediati. Avrebbe dovuto scaturirne una società di produttori emancipati dal capitale e ne usci... la promessa del controllo operaio nelle fabbriche. Quando i padroni degli strumenti di produzione vi- dero che la classica montagna •partoriva il classico topolino, misurarono le proprie forze e quelle dei loro avversari e alimentarono col proprio danaro il fascismo, il loro strumento immediato di difesa, 11 futuro campione della dittatura capitalista in Eu- ropa e nel mondo. • • • Nel 1927 Alfredo Rocco, che fu ed é il princi- pale giurista fascista, scriveva: "Non sempre l'idea che dette impulso alla rivoluzione, trionfa nella ri- voluzione; é il caso del bolscevismo russo, che, dopo aver fatta la rivoluzione per realizzare il comunismo marxista, s'incarnímina nettamente verso uno stato di cose che non é né comunista né mar- xista... Il fascismo, al contrario, figura tra le ri- voluzioni che, malgrado gli inevitabili addattamenti imposti dalle necessità storiche, realizza la sua ideo- ›ogia" (I). Alfredo Rocco conosce bene la storia del fasci- smo. Si potrebbe, quindi, credere, sulla sua parola, che le modificazioni Imposte dal fascismo alla so- cietà italiana non furono altro che 11 logico e coe- rente sviluppo evolutivo di principii basici già. Pre- stabiliti, COME, ragione e impulso dell'azione pra- tica. Vediamo le linee principali di questa evoluzione nel campo sindacale, dal programma del 1919 fino alla recente organizzazione corporativa della vita italiana, dove il sindacato é superato e assorbito nel sistema totalitario della vita nazionale. Parlerò per ora dell'evoluzione teorica e législativa, non dello sviluppo dei fatti che segue una linea paral- lela, si, isa diversa. Vediamo anzitutto gli articoli del primo program- ma fas,ista del 1919, che si riferiscono alla condi- zione degli operai. Art. 11: "Proibizione del lavoro dei bimbi che abbiano meno di 16 anni. La giornata di lavoro di 8 ore". Art. 12: "Riorganizzazione della produzione secondi il principio cooperativo e parte- cipazione diretta degli operai agli utili. Inoltre: partecipazione dei rappresentanti del lavoratori al W Alfredo Rocco: "La trasformazione dello Sta- to' — Edit. "La Voce", Roma. 1927. — (Pag. 7). funzionamento tecnico delle industrie; salario mi- nimo; autorizzazione alle organizzazioni proletario di amministrare le industrie e i servizi pubblici. Nel terreno politico — ci debbo entrare per le necessità del paragone, poiché il Parlamento cor- porativo attuale é un organismo politico teorica- mente basato sui sindacati — il programma del 1919 reclamava nel suo Art. 2: "Discentralizzazione. So- vranità del popolo, esercitata per mezzo del suf- fragio universale, uguale e diretto, da tutti i cit- tadini d'ambo I sessi, riserbando al popolo il di- ritto d'iniziativa con il referenilum e il veto". In quel periodo Mussolini appoggiava nel suo gior- nale l'occupazione operaia delle fabbriche e scri- veva (6 aprile 1920) frasi come queste: "lo sono Partigiano dell'individuo e sono in guerra contro lo Stato... Lo Stato é una macchina terribile che di- vora gli uomini vivi e li restituisce morti come numero" (1); o quest'altra: "La terra spetta a co- lui che la lavora" (2). Questo é il punto di partenza. Intanto, in pratica, Il fascismo organizzava I suoi sindacati, che sorsero senza nessun carattere definitivo, avendo come u- nico compito la lotta contro i sindacati rivali della Confederazione del Lavoro, dell'Unione Sindacale, dei cattolici. L'idea corporativa non affiorò mai nel- la politica sindacale fascista dei primi anni, nep- pure come presentimento. I sindacati fascisti erano all'inizio piccole minoranze turbolente, destinate ad ingrossare con i contingenti operai che la violenza delle squadre d'azione staccava dalle organizzazioni libere. Il numero dei loro affiliati, infatti, fu Insi- gnificante fino alla fine del 1921; però, man mano che s'intensificavano gli assalti e gli incendi, man mano che l'appoggio padronale al fascismo si faceva più deciso e definitivo, il contingente ne aumentava con una rapidità straordinaria, non riuscendo però a raggiungere la cifra di organizzati che contava la Confederazione del Lavoro se non molto tempo dopo della marcia su Roma (3). Questo incremento dei sindacati fascisti si dovette non solo al terrore, bensi anche alla tattica degli industriali che li proteggevano e davano lavoro preferibilmente agli iscritti in quelli. Piuttosto che organizzazioni di difesa operaia erano strumenti di lotta antioperaia e talvolta anche strumenti di ricatto verso i datori di lavoro, giacché i sindacati fascisti erano sempre molto rivoluzionari contro quei padroni che non vo- lessero riconoscerli e appoggiarli. 11 terrore delle squadre nere incominciò nelle cam- pagne, dove l'intimidazione era più facile e gli av- versari si trovavano più dispersi. Per ciò i primi progressi numerici dei sindacati fascisti si realiz- zarono tra gli agricoltori. Il proletariato industria- le, eccetto minoranze senza importanza, non comin- ciò ad aderirvi che molto più tardi. Ma le adesioni, sia in campagna che nelle città, non erano né pro- fonde né sincere: erano la prova di una volontà. debole di una piccola parte delle masse produttrici, e quasi mai frutto di una convinzione autentica o di autentici interessi collettivi. Posso affermare ciò per esperienza diretta, per la conoscenza che ho dell'ambiente. Peró, siccome nessuno é obbligato a credermi, citerò alcuni episodi che han valore di prove, avvertendo che li scelgo fra moltissimi. "Nel comune di Andorno v'erano 420 cappellai: il sindacato della Confederazione era stato distrutto violentemente e sulle sue rovine era sorto il sinda- cato fascista, forte di 200 membri. Nel 1923, quasi un anno dopo la marcia su Roma, credendo sicura la vittoria, i fascisti tollerarono che i cappellai vo- tassero a suffragio libero e segreto se volevano ap- partenere alla Confederazione Generale del Lavoro oppure alla Confederazione dei Sindacati fascisti. Orbene: su 420 voti, 397 furono per la C. G. del L., 14 poi sindacati fascisti e 9 in bianco" (4). Questo era lo spirito delle 'masse. Più tardi, nel 1925, si realizzarono nelle fabbriche le elezioni per le com- missioni interne e, malgrado la semi-inesistenza del sindacalismo libero nel campo pratico e del nu- mero di affiliati che contavano i sindacati fasci- sti, quelle elezioni furono un trionfo per i socia- listi e i comunisti. Basti citare il risultato nelle officine della Fiat, la famosa fabbrica di automo- bili di Torino: 4.740 voti comuniati, 4.463 sociali- sti, 760 fascisti (5), (1) "Il Popolo d'Italia" di Milano, del 6 aprile 1920. (2) idem, dell'il aprile 1920. (3) Hermann Heller: "Europa y el fascismo". — Edit. EspaSa, Madrid. 1931. (Pag. 182). (4) Buozzi e NItti, Opera citata, pag. 118. (5) Hermann Heller, Opera citata, pag. 185.
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