Lo Stato Moderno - anno V - n.15-16 - 5-20 agosto 1948
350 LO STATO MODERNO anche quei 400.000 ulteriori che occorrerebbe predisporre ogni anno per tenere il passo con l'incremento demografico costante che grava sul paese. Ne! gioco oratorio del Ministro comparve anche la citazione, a consolazione nostra, dei malanni altrui, quando ricordò l'inerzia e miseria dell'edilizia postbellica in Francia ed Inghilterra; cita– zione che 'in un congresso nazionale sarebbe stato forse meglio omettere, essendo così facile veder rispuntare le antenne ciel na– zionalismo, sempre uso a pascolarsi delle sventure altrui e sem– pre i!"produttivo. ••• Meno divagata ed accademica riuscì la trattazione di due te– mi dell'Urbanistica, il primo che suonava: « Stato e Regione dopo la nuova Carta costituzionale di fronte ai compiti della organiz– zazione unitaria del paese. Aggiornamento dell'attuale legislazione:>; ed il secondo: « Organizzazione e realizzazione dei piani territo– riali e dei piani regolatori generali>. La trattazione di entrambi fu diretta dal prof. Cesare Chiodi di Milano, e per suo merito si palesarono abbastanza nette le discordi tendenze e si giunse , votare mozioni conclusive non prive di chiarezza. Sulla legislazione vigente molti al Congresso invocarono varia– zioni più o meno profonde: favorevoli alla applicazione della e legge urbanistica> del 1942, furono invece ovviamente coloro che a quella legge dell'era fascista avevano collaborato, e anche chi ammetteva che in essa molte buone intenzioni evolutive erano sta– té escluse in seguito ad una serie di transazioni che lasciarono pre– valere intenti privatistici, detti impropriamente della « scuola li– berale>, e c!Je meglio si direbbero della « scuola feudale>. Ma ap– parve di profondo significato il pensiero di un egregio funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici, il dr. Francesco Cuccia, il quale a chi deplorava la mancanza di un regolame11to della legge stessa, ebbe a dichiarare che quel regolamento era pronto da un pezzo, ma gli uffici ministeriali erano troppo convinti della irrazionalità ed inattualità della legge per assumersi la responsabilità di ren– derla esecutiva! Talchè se il Congresso si fosse proposto di fissare con esattezza la situazione giuridica di fatto,• avrebbe dovu_to con– statare e dichiarare lo stato di vacatio legis in cui ci troviamo oggi in Italia, mentre il paese invoca opere pianificate e depreca le improvvisazioni di governanti novellini e di burocrazie rugginose e vecchie. E come già avvenne dopo l'esperienza della legge di Napoli del 1885, detta « del risanamentp >, ma che non risanò Napoli, !e menti più attente e studiose si volgono indietro, alla legge sugli espropri per pubblica utilità del Pisanelli, che è del 1865, e tro– vano solo lì, ancor oggi, un corredo giuridico al quale vorrebbero ricondursi, liberanàosi di tutta la contraddittoria legislazione suc– cessiva e di una tradizione procedurale intricata e mutevole. Ma perchè un Congresso nazionale di urbanistica potesse giun– gere ad un intento chiarificatore di tanto valore, sarebbe occorso l'incontro di più cose: 1•) una esatta cognizione dei mali determinati dalla legge di Napoli; 2") una decisa antitesi contro la tendenza al megas che pri– ma e durante' il fascismo sconvolse tante città d'Italia, da Roma a Milano, da Brescia a• Matera, da Bolzano a Verona; ;f) una consapevole valutazione delle condizioni reali del paese, dilaniato da trent'anni di guerre e ricondotto a costumi bar– barici (delinquenza, pauperismo, anarchismo) in forme che crede– vamo sorpassate per sempre; paese animato al tempo stesso eia una vitalità prorompente che mantiene il segno positivo all'indice demografico, agli indici del traffico interno, agli indici della popo– lazione scolastica secondaria ed universitaria, pur restando l'Italia chiazzata di macchie di analfabetismo che dal 18-20% in Toscana e nel Lazio, escorrono verso il Sud sino a raggiungere il 48% in Calabria; 4°) un'indipendenza spirituale dalla cornice magnifica cli Ro– ma, tanto ingannevole e sconcertante per l'attività dello spirito, quanto Io era Ca1>ua per la combattività degli eserciti ibernanti; 5") la ,,-,aturazione di nuove tendenze scolastiche ad opera di nuovi maestri. Ma al Congresso di Roma la volontà di metter mano non ai rami ed alle frcnde ma al tronco ed· alle radici dell'albero, non era nei più, autorità di governo e burocrazia statale e professori universitari essendo più propensi a «ricostruire> antiche trame che non a tentarne di nuove, più agili, più flessibili, più libere' V~ro è, tuttavia, che qualche tendenza nuova si fece luce, e du~ tra queste parvero più salienti e nette: una mirante a decentrare formazione ed attuazione dei piani territoriali, l'altra invocante delle norme di legge che facciano cessare l'iniquità connessa agli espropri per l'attuazione dei piani regolatori urbani. Vogliamo dare qui qualche notizia su entrambe. Prima tendenza. - Si trattava di un indirizzo regionalistico contrapposto alla intenzione di accentrare e di uniformare l'eia'. borazione dei piani regionali. Questa tendenza era espressa in una memoria della « Commissicne di studio costituita dalle Provincie e dai Comuni della Regione lombarda>, la quale proponeva che l'organizzazione preparatoria ed il metodo stesso degli studi non siano promossi e fissati dal Ministero dei Lavori Pubblici, nia elaborati dall'associazione delle amministrazioni pubbliche ·locali. Tendenza mirante a non far coincidere il concetto dell'unità ~e! paese con quello della uniformità delle sue strutture e provvidenze di cgni ordine; tendenza che ncn' nega affatto l'inscindibile unità delle Regioni d'Italia, pur opponendosi ad una metodistica imposta dal centro, inesorabilmente livellatrice. Contro questo pensiero si pongono ovviamente tutti i tradi– zionalisti, i « ricostruttori> delle forme e delle formule passate, tra i quali non sono solo gli uomini della burocrazia, ma anche - e spesso in buonissima fede - taluni studiosi, vincolati dalla natura loro ad un conformismo, ad una ortodossia conservatrice. E' la schiera a cui appartiene un ingegnere che nella rivista l'ln– ,;egnere di qualche anno fa invocava la cessazione della scanda– losa varietà nei modi di copertura delle case d'Italia, che in talu– ne regioni sono coperte con tetto. in altre con terrazza: e voleva che si scegliesse una buona volta e per sempe: o tutti tetti o tutte terrazze. Seconda tendem,a, - Si tratta dei modi in cui avviene in Ita– lia l'acquisto delle aree di espansione delle città, ~iusta le deci– sioni, praticamente inapellabili, dei piani regolatori. L'argomento era stato illustrato in una notevole relazione clell'ing. Erik Silva, funzionario del Comune di Milano, e fu da lui co1Tmentato ver– balmente con pacata chiarezza. Come tutti coloro che hanno esplo– rato ~argomento degli indennizzi d'espropriazione, il Silva affer– ma l'inanità e l'iniquità dei metodi escogitati in Italia, dal '65 in poi. Di fronte all'ingiustizia che ogni piano regolatore determina provocando plus valore e mim,s valore fondiario vuoi alla cieca (ed è questo il caso eticamente meno grave, anche se stolto) vuoi oculatamente (pel gioco di interessi privati che con atti furbesdti influenzano la compilazione dei piani), il Silva propone che il Comune abbia ad incamerare tutto il plus-...alore dove esso insor– ge, solo così potendosi escludere la divisione, condannabile dall'e– tica e dalla scienza eccnomica, in cittadini beneficati e cittadini impoveriti dal fenomeno collettivo e fatale degli sviluppi urbani. In sintesi l'aspirazione prospettata dal Sii va 'è che le conse· guenze economiche del fatto urbano non modifichino nè in bene nè in !Tale lo stato economico dei proprietari privati. :.Mail Silva, vuoi per sua convinzione, vuoi per ragioni di 01,· portunità da lui onestamente valutate, arresta le sue proposte alla prima fase dell'iniziativa fondiario-urbana, mentre un chiaro eco' nomista nostro, Ulisse Gcbl::i, ccndusse gli studi sullo stesso ar· gomento a ben più profonda ed esauriente definizione. , Quegli studi vennero evocati al Congresso, in sede di discus– sione della mozione Silva, dall'arch. Giuseppe de Finetti, che rias· sunse la tesi illustrata da Ulisse Gobbi in un Congresso delle So– ciet/, economiche tenutosi in Milano nel 1900. Tesi che, premes:;o il buon diritto dell'ente urbano di considerare bene collettivo ' non privatistico il plus-valore che consegue àll'ingrandirsi della città, afferma che l'utile contenuto nel giusto prezzo del suolo ur– bano deve spettare semprl! al Corrune che delibera ed attua il pia· no regolatore; e che questo mirabile intento si può raggiungere in tm solo modo: facendosi cioè il Comune acquisitore delle aree o prima che su di esse si formi il valore urbano o compensando il valore urbano già •acquisito. precedentemente dall'area; e 11°• alie1ia11dole mai, co!Te non aliena nè le pubbliche strade, nè i pub– blici giardini, nè i cimiteri ma concedendole all'uso edificatorio
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